Il movente, il numero di soggetti presenti sulla scena di un delitto, i vuoti e i pieni di un palazzo signorile, che racconta ancora attraverso i suoi rumori, le sue ombre, i suoi silenzi e le sue voci. Il delitto di via Marsala e la morte di Nada Cella, 30 anni dopo tornano a rivendicare una verità, dall'aula di Corte d'Assise dove ieri si è svolta la terza udienza dal primo processo aperto sul caso, rimasto congelato dal 1996, e ora approdato a dibattimento. Scorrono i testimoni sui banchi dell'aula ancora agenti di polizia, squadra mobile e sezione omicidi, che all'epoca curarono le indagini. E vicini di casa, di pianerottolo, di ballatoio, ognuno con la sua versione, chiamati a circostanziare racconti fatti 29 anni fa, da parte anche di chi non c'è più.
L'impianto accusatorio è concentrato su Anna Lucia Cecere, ex insegnante, accusata del delitto della segretaria 24enne dello studio Soracco, massacrata in un delitto d'impeto rimasto senza un autore, senza un perché. Chi uccise Nada Cella, questa la domanda cui deve rispondere il processo in corso, che accusa Cecere di omicidio volontario, aggravato dai futili motivi.
Gli imputati stanno per diventare solo due: va verso lo stralcio la posizione di Marisa Bacchioni, 93 anni, madre del commercialista 'eterno indagato', scagionato nel '98 dalle accuse di omicidio ma tutt'ora imputato, per favoreggiamento. Marco Soracco ieri era in aula, due udienze su tre svolte fino ad oggi e seguite in presenza, mentre il legale Andrea Vernazza, che difende lui e la madre, avanza richiesta di estromettere l'anziana donna dal dibattimento. Per motivi di salute, perché l'età e le condizioni non consentirebbero di stare in giudizio e fornire una testimonianza circostanziata e fedele.
Con Bacchioni, uscirebbe di scena la figura che i poliziotti incontrarono al loro primo arrivo in via Marsala, che nell'immediatezza dopo il delitto lavò con straccio e secchio l'androne dello studio, un piano sotto l'appartamento in cui viveva con il figlio, e anche parte del ballatoio dal sangue di Nada, intaccando quella che ai temi non venne subito perimetrata come scena del crimine, inevitabilmente pervasa dalla macchina dei soccorsi che aveva come principale obiettivo salvare la vita di una ragazza. Massacrata, e non vittima di un malore o di un incidente, come venne detto sulle prime, nella telefonata al 118.
Ieri in aula si è parlato dei rumori, l'unico chiaro scuro che esce dal muro di omertà in cui 29 anni dopo è ancora immersa la storia: rumori di acqua del rubinetto dal bagno dello studio, che i vicini avvertono e testimoniano, e ricordano ancora oggi. Un rumore insolito in un condominio educato, silenzioso, signorile. E che arrivano dopo le 9 del mattino, orario in cui si colloca l'aggressione fatale per Nada.
Un giallo nel giallo riguarda il libretto di lavoro della segretaria: in un video di archivio, intervista della Rai a Blu Notte sul finire degli anni '90 dopo che Soracco era stato allontanato da ogni accusa, la sorella di Nada racconta degli effetti personali della vittima restituiti alla famiglia. Una borsa, che dentro aveva anche il libretto di lavoro della ragazza. Poi scomparso. Nada non voleva più lavorare lì. Si era confrontata anche con lo zio, con il quale aveva un rapporto confidenziale, raccontando dubbi, perplessità.
Forse paure. Quanto questo abbia pesato sulle circostanze che hanno portato al delitto, sarà il processo a spiegarlo.
L'udienza è aggiornata a giovedì prossimo.