Appena al di sotto di piazza De Ferrari, a buon titolo ritenuta la piazza principale di Genova, si trova un angolo di Medioevo fatto di alti palazzi a face bianche e nere, di loggiati e di una chiesetta che è un piccolo grande gioiello.
È piazza San Matteo, impreziosita dalla chiesa intitolata al santo, che da novecento anni veglia sulla piazza che fu dei Doria.
La piazza e la chiesa sono state testimoni di importanti vicende civili e religiose della città e oggi sono una vera e propria ‘bomboniera’ che offre uno spaccato ancora vivo della Genova che fu, plasmata anche dalla potenza delle grandi famiglie.
Era il 1125 quando, poco più in basso di dove oggi sorge la chiesa, venne eretta la cappella gentilizia della famiglia, voluta da Martino Doria.
L’area su cui venne realizzata la piazza gentilizia, nel XII° secolo, si trovava fuori dalle mura, a ridosso della porta di Serravalle che sorgeva all’incirca dove oggi si trova l’imbocco a monte di salita Arcivescovado.
La scelta di dedicarla all’evangelista non fu un caso: i Doria, di professione gabellieri, scelsero l’evangelista, esattore delle tasse, con il chiaro intento di dare onorificenza alle mansioni da loro esercitate, trovando proprio nel santo un grande predecessore.
Nel corso dei secoli, la chiesa e la piazza subirono diverse modifiche, in modo particolare nel 1278 quando la prima venne rifatta in stile gotico, trovando finalmente un’armonia comune alle costruzioni che affacciano sulla piazza.
Nel Cinquecento, poi, la chiesa fu nuovamente oggetto di modifiche, pensate per ribadire l’importanza della famiglia: Montorsoli ridisegnò presbiterio e cupola mentre il Bergamasco e Luca Cambiaso lavorarono per la decorazione degli interni.
Artefice del tutto fu l’ammiraglio Andrea Doria, certamente una delle figure di spicco della famiglia capace di influenzare anche la storia della Superba.
È proprio l’ammiraglio uno dei protagonisti di una delle più affascinanti leggende che riguardano la chiesa di San Matteo, assieme alla sua spada, a una corda d’oro e a Fabrizio De André.
Alla sua morte, nel 1560, Andrea Doria venne sepolto nella cripta della chiesa, appositamente progettata dal Montorsoli, con tutti gli onori che spettavano a una figura tanto importante per la città. I suoi eredi, seguendo le disposizioni testamentarie di Andrea, non mancarono di seppellire con lui anche la Gran Spada d’Onore, la preziosissima arma che gli era stata donata da papa Paolo III nel 1535.
La spada, con un pomo e la cintura d’oro, era tempestata di pietre preziose che decoravano l’elsa e, sulla lama, recava inciso ‘con raro artificio scolpito’ assieme allo stemma pontificio.
Qualche anno più tardi, nel 1576, la cripta venne profanata e la spada trafugata. Tra lo sconcerto e il panico, venne messa una taglia sul ladro, condannato a morte per impiccagione che sarebbe avvenuta con una corda d’oro.
Qualche tempo dopo la spada venne ritrovata, priva dell’oro e delle pietre preziose, e si risalì all’autore del furto: Mario Calabrese, sottocomito di galea proprio sulle navi dei Doria, giustiziato per impiccagione proprio in piazza San Matteo.
Certo, la leggenda della corda d’oro non è peculiarità della piazza ma per qualcuno potrebbe in qualche modo aver ispirato anche Fabrizio De André, trovando in questa leggenda uno spunto narrativo fortemente evocativo.
Il riferimento è ovviamente a ‘Geordie’, brano appartenente alla tradizione popolare scozzese rivisitato da Faber: Geordie è un giovane che commette un crimine e viene condannato a morte; la fidanzata, disperata, cerca di salvarlo ma invano. Viste le nobili origini di Geordie, allora, si decide l’impiccagione tramite corda d’oro.
È possibile che De André, conoscendo questa storia, l’abbia utilizzata come spunto per arricchire la sua versione della ballata scozzese e la corda d’oro potrebbe esserne un elemento e questa connessione permette ancora oggi alla leggenda di rimanere viva nel tempo.
Quest’anno la chiesa di San Matteo compie novecento anni. Un tempo lunghissimo che fa di questo edificio un luogo unico com’era già nelle intenzioni dei Doria. Basti pensare che sui conci di marmo bianco che decorano i muri perimetrali sono incise le storie della famiglia, un libro che racconta le gesta di questa importante casata.
Per celebrare questo importante traguardo, la chiesa sarà inserita nel circuito dei Rolli già a partire dall’edizione di febbraio. Un altro piccolo tesoro che si aggiunge a un percorso ricchissimo dove ogni tassello contribuisce a creare un mosaico che racconta la complessa e affascinante storia genovese.