‘Silenzio, s.m, condizione ambientale definita dall’assenza di perturbazioni sonore”.
Questa la definizione che si legge sul dizionario alla voce ‘Silenzio’.
Il silenzio, tuttavia, non si può descrivere come una la semplice assenza di suoni, quanto più come ‘elemento dinamico’ capace di interagire con l’ambiente e in grado di influenzare la qualità della vita.
Dunque, che cos’è veramente il silenzio e come si fa a contrastare i cosiddetti ‘rumori intrusivi’, cioè quei suoni sgradevoli e fastidiosi capaci di compromettere anche la salute?
Questo è l’interrogativo di partenza affrontato dal sound designer Andrea Cera e dal centro di ricerca dell’Università di Genova InfoMus-Casa Paganini, inserito nell’ambito del progetto europeo ReSilence.
L’obiettivo della ricerca è quello di studiare e individuare nuove tecnologie in grado di dare una risposta alle esigenze della popolazione e migliorare il paesaggio sonoro degli ambienti in cui viviamo e delle città del futuro.
La collaborazione tra Casa Paganini, da sempre punto di riferimento nell’indagine sulle qualità del movimento umano e delle emozioni, ha visto il prezioso apporto del sound designer che ha posto l’accento sull’intrusività sonora.
“L’intrusività sonora - spiega Cera - è la capacità che certi suoni hanno di ‘irrompere’ nel nostro sistema uditivo senza che noi lo vogliamo. Nel progetto ReSilence abbiamo compiuto una importante ricerca sugli ultimi vent’anni di letteratura in merito, su quali siano le caratteristiche che rendono intrusivi i suoni come timbro, rugosità, gravità, capaci di rendere suoni anche poco forti estremamente fastidiosi”.
Durante alcuni esperimenti, è stata notata la stretta correlazione tra movimento e suono. In condizioni di quiete, i partecipanti hanno compiuto movimenti fluidi, naturali, l’opposto di quanto accaduto aggiungendo fastidi sonori: “Abbiamo visto che quando ci sono rumori, suoni intrusivi, chi stava partecipando tendeva a scontrarsi, a fare movimenti più veloci e poco fluidi”.
L’indagine della correlazione tra suono e movimento ha coinvolto gli studenti e le studentesse del corso di laurea in Digital Humanities – Affective Computing, Arts and Cultural Welfare, che, sotto la guida dei docenti e dello stesso Cera, hanno realizzato una serie di laboratori per far comprendere quanti e quali possono essere rumori capaci di indurre stress e situazioni poco salubri.
“Il tema - racconta il professor Antonio Camurri, professore ordinario del Dipartimento di informatica, bioingegneria, robotica e ingegneria dei sistemi - DIBRIS - è migliorare la qualità della vita e la salute delle persone intervenendo sì sull’aspetto della città ma anche sul paesaggio sonoro. È noto che un suono intrusivo, fastidioso, crea problemi che a lungo andare possono coinvolgere la salute, oltre alla qualità della vita”.
Traffico urbano, motori endotermici e numerosi altri elementi sono in grado di disegnare un panorama acustico che può diventare invivibile ma la tecnologia e l’interdisciplinarietà sono pronte a venire in aiuto della popolazione.
Lo spiegano bene proprio gli studenti e le studentesse al secondo anno del corso di laurea magistrale, che hanno messo in luce l’enorme potenziale della tecnologia per migliorare la qualità della vita.
Si va così dalla misurazione del livello di intrusività della propria voce alla misurazione della sensibilità ai rumori, passando per un’app capace di ‘cancellare’ i rumori fastidiosi dell’ambiente circostante grazie a un paio di cuffie e un microfono, fino alla correlazione tra movimento e suono che Cera ha sviluppato in ‘Catastrofi del Silenzio’ un progetto artistico basato sulle tecnologie interattive: “È uno spazio sensibile che reagisce all’intrusività del nostro movimento. Il sistema modificando il suo comportamento, risponde diventando una sorta di specchio di quanto succede quando l’uomo entra in contatto con la natura”.
Amir ha lavorato su un progetto che ha preso le mosse dall’installazione di Cera concentrandosi sull’interazione tra movimenti ed emozioni: “Abbiamo sviluppato un sistema che utilizza Mediapipe, un framework di Google, per analizzare i movimenti del corpo e interpretare le emozioni, restituendo feedback visivi e sonori. L’obiettivo è aiutare persone con difficoltà motorie a migliorare il proprio benessere ma può essere impiegato anche da chi danza per guidare i movimenti”.
Proprio l’interazione e i suggerimenti di una coreografa, poi, hanno permesso di affinare il progetto: “Grazie a lei abbiamo imparato come un movimento può essere un mezzo per trasmettere emozioni in modo efficace”.
Non c’è solo il rapporto tra tecnologia ed emozioni, punto chiave della ricerca, ma si affrontano temi cruciali come l’inclusività e la privacy. Ne parla Margherita Cademartori: “Possiamo riconoscere le emozioni senza raccogliere dati biometrici sensibili. Questo aspetto è fondamentale in contesti educativi dove è importante rispettare la privaci degli individui”.
Lo studio delle posture corporee è un altro elemento chiave: “Una postura aperta - continua la studentessa - comunica emozioni positive e favorisce l’interazione. Al contrario, posture chiuse possono contribuire all’isolamento sociale. Analizzare questi aspetti può migliorare il benessere nei gruppi”.
Ad accomunare studenti e studentesse è stata l’emozione per la sperimentazione e la possibilità di misurarsi ‘sul campo’, come ha raccontato Sara: “Ho veramente apprezzato il progetto e mi ha fortemente ispirato. Lavorare in tre gruppi mi ha permesso di sperimentare qualcosa che vedo anche nel mio futuro. Suono, scenografia, parte tecnica, è perfettamente in linea con il nostro scopo. Abbiamo lavorato con le persone, abbiamo lavorato tra di noi, c’è stato interazione tra arte e tecnologia che per noi è importantissima. Ogni possibile aspetto del nostro corso di studi è incluso in questo progetto, per questo lo ritengo perfetto e sono molto grata ai professori, soprattutto Camurri, Volpe e Ceccaldi e ad Andrea Cera che ci ha accolto e supportato. Siamo rimasti collettivamente sconvolti dalla sua gentilezza e dal suo genio”.
L’APPROCCIO INTERDISCIPLINARE PER IL FUTURO
L’approccio multidisciplinare è un riflesso del corso di laurea in Digital Humanities.
A raccontare il corso di laurea magistrale è la coordinatrice, la professoressa Ilaria Torre: “La nostra magistrale prepara gli studenti a lavorare con tecnologie digitali che sono sempre più invisibili ma potenti”
Il corso si articola in due curricula: uno focalizzato sulla produzione creativa per i digital media e la Mixed Reality, e l’altro sull’Affective Computing e il Cultural Welfare.
“Il nostro corso di laurea - prosegue Torre - fornisce competenze multidisciplinari con una base informatica e tecnologica ma raccoglie gli apporti di tutte le altre discipline umanistiche, del design, della comunicazione. Il nostro obiettivo è quello di cercare di far conoscere il corso prima di tutto agli studenti stessi. Tecnologie come l’intelligenza artificiale generativa che oramai è ampiamente presente, stanno diventando sempre più ‘invisibili’ incorporate in tutto quello che facciamo. Quanto più sono trasparenti, tanto più invece sono da tecnologicamente avanzate e richiedono approcci e metodologie per poterle utilizzare”.