Politica - 13 novembre 2024, 15:00

Il dilemma di Andrea Orlando tra Roma e Regione: una ‘prima volta’ che potrebbe sorridere a Cristina Lodi

Complesso il calcolo che si dovrà fare negli uffici di piazza De Ferrari per stabilire chi subentrerebbe al posto del candidato presidente uscito sconfitto alle urne

Cristina Lodi (Azione)

Cristina Lodi (Azione)

La sconfitta di Andrea Orlando alle elezioni regionali liguri porta con sé una prima volta destinata a fare scuola. Nelle ore in cui il neo presidente Marco Bucci è alle prese con il nodo giunta, l’ex ministro ‘dem’ deve decidere che cosa fare della sua carriera politica: proseguire da parlamentare Pd o fare da frontman dell’opposizione in Regione?
Ed ecco entrare in scena la ‘prima’ di cui sopra: nel caso in cui decidesse di lasciare il proprio posto in consiglio regionale preferendo proseguire con la sua avventura romana aprirebbe per la prima volta alla successione con chi, di diritto, dovrebbe prendere il suo posto in assise. E qui si scatenano le carte e le calcolatrici.

Inizialmente l’indiziata numero uno era Cristina Lodi, consigliera comunale di Azione (Gruppo Misto) a Genova e candidata alle regionali con la lista ‘Patto civico riformista’, poi è spuntata l’ipotesi del savonese Giorgio Cangiano, ex sindaco di Albenga in corsa tra le fila del Partito Democratico.
I calcoli sono tutt’altro che semplici e, da quando nel 2018 è stata votata la nuova legge regionale, non è mai capitato che il candidato presidente uscito sconfitto abbandonasse il proprio posto in opposizione. Nel 2020, infatti, Ferruccio Sansa rimase in consiglio dopo aver perso alle urne contro Giovanni Toti.

La Legge Regionale Liguria n. 18/2020 presenta una questione non del tutto chiarita: non specifica chi debba subentrare nel caso in cui il candidato giunto secondo decida di dimettersi. C’è chi sostiene che spetti a uno dei sei candidati eletti nell’ultimo quinto, come stabilito dall’articolo 8 della stessa legge regionale, mentre ci sono altri che sostengono che l’interpretazione sia insostenibile perché in contrasto con con il comma 3, lettera a) che stabilisce: “assegna sei seggi al gruppo di liste o ai gruppi di liste collegati al candidato presidente proclamato eletto, nel caso in cui questi abbiano ottenuto non più di undici seggi nell’assegnazione della quota dei quattro quinti dei seggi”.
Ciò implica che, in alcuni casi, all'opposizione non spetta alcuno dei sei seggi. E allora come risolvere la questione del candidato secondo classificato, che ha diritto a un seggio in consiglio?

Questo aspetto non è irrilevante, né si può sostenere che le liste collegate al neo presidente, avendo ora dodici consiglieri, lo risolvano da sole, dato che una legge non può variare nella sua applicazione in base ai risultati elettorali. Ne consegue che la posizione di Andrea Orlando debba essere inquadrata in maniera differente. Come?

L’articolo 3 si limita a stabilire che “un seggio è riservato al candidato alla carica di presidente della giunta regionale che ha ottenuto il secondo numero di voti validi”. Non potendo dunque intervenire sull'ultimo quinto dei consiglieri eletti per garantire la stabilità della giunta (il cosiddetto ‘premio di maggioranza’), si deve ritenere che, in caso di rinuncia al consiglio, il candidato giunto secondo debba essere sostituito all’interno dei quattro quinti dei consiglieri eletti secondo la procedura ordinaria.

È oggettivamente complesso, come lo è il lavoro di chi in questi giorni sta provando a sbrogliare la matassa negli uffici della Regione.

Intanto sullo sfondo c’è Andrea Orlando che non ha ancora sciolto le riserve sulla sua decisione e che dovrà in qualche modo prendere posizione prima che inizi l’attività dell’amministrazione Bucci.
In attesa ci sono Cristina Lodi da Genova e Giorgio Cangiano da Savona. Due storie diverse e due territori che aspettano di sapere se e come saranno rappresentati in piazza De Ferrari.

Pietro Zampedroni


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