Innovazione - 01 novembre 2024, 08:00

Coltivare in orbita per un pesto ‘spaziale’, il futuro delle missioni è nelle piante

Alberto Battistelli, fisiologo vegetale, dirigente del CNR e docente all’Università della Tuscia di Viterbo, racconta le sfide e i progressi della ricerca per portare le coltivazioni nello spazio, con tecnologie che potrebbero rivoluzionare anche l'agricoltura sulla Terra

Coltivare in orbita per un pesto ‘spaziale’, il futuro delle missioni è nelle piante

Con missioni umane destinate a esplorare via via il cosmo, verso la Luna, Marte e  luoghi sempre più remoti, la ricerca negli ultimi tempi si sta concentrando anche sulla necessità di rendere sostenibili questi viaggi attraverso la produzione di risorse in loco. 
Accade allora che gli scienziati lavorino per sviluppare nuove tecnologie nel settore della coltivazione per garantire agli astronauti di poter produrre cibo in orbita e non solo.
Lo spiega Alberto Battistelli, fisiologo vegetale, dirigente di ricerca del CNR e docente all’università della Tuscia di Viterbo, che il prossimo 2 novembre sarà protagonista di una conferenza dedicata al tema e inserita nel programma del Festival della Scienza, a cui prenderanno parte anche Patrizia Bagnerini, Mauro Gaggero e Franco Malerba, primo astronauta italiano.
C’è grande interesse a livello internazionale per spingersi nello spazio con presenza umana - racconta Battistelli - Più ci si allontana e più a lungo si sta, più diventa indispensabile riciclare le risorse che si utilizzano e usare le risorse disponibili dove ci si trova”. 
Il paragone con la valigia diventa subito immediato e chiarisce le necessità degli astronauti: “Se andiamo vicino abbiamo una valigia piccola, più andiamo lontano, più abbiamo bisogno della valigia grande. Poi a un certo punto decidiamo che se mai compreremo qualcosa lì o mangeremo quello che troviamo lì”.
L’importanza di usare le risorse che si trovano in loco, come per esempio la luce e la CO2, deve però andare di pari passo con l’utilizzo di quanto portato dalla Terra e usato in modo il più possibile sostenibile: “Attualmente - continua Battistelli - questo viene fatto in parte anche sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS), dove il novanta percento dell’acqua è riutilizzata con metodi chimico-fisici. Ma più ci allontaniamo e più avremo bisogno di produrre in loco, anche per limitare i costi di lancio, costi influenzati dalla massa”.
Così, come sulla Terra la vita dipende dalle piante, anche nello spazio per la produzione di cibo sarà necessario affidarsi a loro “anche perché riciclano l’atmosfera utilizzando la CO2 per costruire nuovo materiale organico e liberare l’ossigeno che serve per respirare”.
Non solo, perché le piante sono in grado di purificare l’acqua tramite il loro componente traspirante nell’atmosfera. 
Il ricercatore aggiunge: “Nello spazio, per vivere per lungo tempo e per avere delle basi permanenti, saranno necessari dei tecno-ecosistemi, ambienti simili a quelli terrestri, gestiti con altissimo livello di tecnologia che ci permetteranno di avere un po’ di quell’utilità che le piante ci forniscono sulla Terra, quindi produrre cibo, riciclare le risorse”.
La scelta del tipo di piante è strettamente collegata al tipo di missione e dalla sua durata, “si può andare da piccole strutture, tecnologie che ci permetto di avere un singolo alimento, come accaduto nell’ISS dove sono stati coltivati insalate e peperoni che gli astronauti hanno potuto assaggiare. Ma per avere contributi rilevanti alle loro diete, servono superfici abbastanza grandi e sistemi tecnologicamente avanzati che permettono di controllare tutti i fattori ambientali per la crescita delle piante, utilizzando poi questi fattori per migliorare l’efficienza della produzione, la qualità e la composizione del cibo”.
Non certo tutto rose e fiori, perché il cibo prodotto nello spazio dovrà essere anche una contromisura ai danni che la vita nello spazio provoca al corpo umano: “Nello spazio si vive un forte stress, avere contromisure alimentari può essere un elemento importante. Anche questo può essere un contributo delle piante, perché le piante producono in particolare un gruppo di composti che sono denominati prebiotici, e quindi noi studiamo anche come produrli, come rendere questi sistemi efficienti”.
Attualmente abbiamo progetti dell'organizzazione spaziale italiana che ci permettono anche di studiare come gestire questa tecnologia con l'intelligenza artificiale, perché gli astronauti sono molto impegnati, più i sistemi sono automatici, meno tempo astronauta serve. Tutte queste attività che noi facciamo hanno anche relazione alla qualità del cibo, al tipo di effetto che il cibo ha sulla nutrizione delle persone, sul benessere, sull'efficienza dei sistemi produttivi, oltre che per lo spazio hanno un'importante ricaduta anche a Terra. Oggi le coltivazioni in ambiente controllato, quindi si parte dalle più banali tunnel di plastica nei campi fino alle serre, che possono essere anche molto tecnologicamente avanzate
Ma c’è qualcosa in comune tra il ‘verticale farming’, la tipologia di coltivazione che si sviluppa in diversi paesi, e la coltivazione in orbita?
La risposta è sì. “Questi sistemi - aggiunge Battistelli - hanno bisogno di approcci simili con grande efficienza, sia energetica sia tecnologica. Circolarità nell’uso delle risorse, poi, è quello che dobbiamo fare anche a terra. Dobbiamo utilizzare il cibo come fonte di benessere e impattare il meno possibile sull’ambiente che ci circonda, in modo da essere sostenibili nel tempo”.
Per coltivare nello spazio, tuttavia, non c’è un singolo sistema e tutto è legato a doppio filo al tipo di missione: “Sulla stazione spaziale internazionale, ci sono piccole strutture come l'Advanced Plant Habitat della NASA, dove si controlla tutto dal punto di vista ambientale, ma sono superfici di crescita inferiore al metro quadrato, circa un quarto di metro quadrato. Abbiamo visto che con un quarto di metro quadrato, con metà di metro quadrato di produzione, si riesce a produrre tutto l'acido ascorbico che serve per una persona, quindi la vitamina C. Più si cresce nella dimensione, più aumenta la complessità. Nello spazio ci sono strutture di queste dimensioni. Per la Luna ovviamente serviranno superfici maggiori, basti pensare che per avere l'ossigeno che serve a una persona si usano intorno ai venti metri quadrati di superfici di coltivazione, per alimentarsi per una persona si vorranno fino a cinquanta, cento metri quadrati, poi dipende molto da quello che si vuole coltivare”.
Un futuro possibile che sta già partendo dall’osservazione a terra: “Ancora non ci sono strutture costruite per lo spazio di quelle dimensioni, però ci sono strutture costruite a terra per studiare quello che succede. Una di queste è stata Eden ISS che è stata una struttura costruita anche con il nostro contributo, un progetto europeo, trova tutto su internet con Eden ISS. Due container affiancati che contenevano tutto quanto serviva per crescere le piante su dodici metri e mezzo di superficie di crescita e questo è stato portato in Antartide e ha prodotto oltre duecento ottanta chili di verdura quando fuori era buio completo e c’erano quaranta gradi sotto zero”.
Sabato, nel corso degli incontri, saranno mostrati anche gli studi che si stanno portando avanti per ottimizzare lo spazio di coltivazione condotti da un gruppo di ricercatori di Genova.
Il futuro di un basilico lunare per un pesto spaziale, in fondo, non è poi così distante.

Isabella Rizzitano

TI RICORDI COSA È SUCCESSO L’ANNO SCORSO A DICEMBRE?
Ascolta il podcast con le notizie da non dimenticare

Ascolta "Un anno di notizie da non dimenticare" su Spreaker.
SU