Attualità - 19 ottobre 2024, 08:00

Lo Sport che amiamo - Max Gaggino: "Così racconto sui social i retroscena del tennis"

L'ideatore della pagina Instagram 'Backstage Tennis': "Mi piace stare a contatto con i tennisti, perché così facendo miglioro anche io nel mio lavoro. Sono dei pugili con la racchetta in mano"

Lo Sport che amiamo - Max Gaggino: "Così racconto sui social i retroscena del tennis"

Prosegue questo sabato, e andrà avanti per tutti i sabati successivi, ‘Lo Sport che amiamo’, una rubrica dedicata a personaggi e storie di sport della nostra città e della nostra regione. Ci piace raccontare quel che c’è oltre il risultato sportivo: il sudore, la fatica, il sacrificio, il duro allenamento, l’impegno, le rinunce, lo spirito del gruppo. Tanti valori che vogliamo portare avanti e mettere in luce con quello che sappiamo fare meglio: comunicandoli. Comunicarli significa amplificarli, ed ecco perché lo sport può diventare, sempre di più, ‘Lo Sport che amiamo’. Ci accompagna in questo percorso un giovane di belle speranze: Federico Traverso, laureato in Scienze della Comunicazione. L'ospite di oggi è Max Gaggino, videomaker per la Federazione Italiana Tennis e Padel, che racconta i retroscena della vita dei tennisti con la pagina Instagram “Backstage Tennis".

Max Gaggino, partiamo da te. Come sei arrivato a fare ciò per cui oggi sei conosciuto, cioè raccontare storie della vita dei tennisti?
“Ho giocato a tennis fino ai diciassette anni. Poi, come tanti, ho cominciato a odiare questo sport e ho smesso. Quindi sono andato in Inghilterra dove ho studiato comunicazione e cinema, prima di realizzare un sogno che era quello di viaggiare e vivere in un altro Paese. Così ho vissuto per dieci anni in Brasile, dove sono diventato un regista cinematografico, che era il mio obiettivo di vita. Con il tempo, però, ho capito che quello fosse l’obiettivo di altre persone, non il mio, e ho cominciato a cercare in me stesso per capire cosa volessi davvero fare. Nel mentre sono tornato in Italia per la nascita di mia figlia, e a trent’anni mi sono innamorato nuovamente del tennis. Un giorno, così, scrissi su un foglio di voler raccontare storie di sport: riuscire a unire il mio lavoro, cioè il raccontare storie, il cinema e l’audiovisivo, allo sport che amo, cioè il tennis. Mettendo insieme le due cose è nato ‘Backstage Tennis’, dove voglio raccontare storie dell’uomo e della donna dietro l’atleta. Il mio obiettivo è quindi umanizzare il giocatore di tennis, facendo capire come siano molto più simili a noi di quanto pensiamo”.  

La tua esperienza da regista ha influito a sviluppare la tua motivazione a mostrare il dietro le quinte dei tennisti?
“Sì, anche se ho sviluppato la mia identità da regista dodici anni dopo aver cominciato. Per dodici anni ho imitato gli altri, senza sapere davvero chi fossi. Venivano fuori dei lavori buoni, ma che non mi identificavano come persona. Prima interferivo molto in ciò che gli attori, i protagonisti delle mie storie, raccontavano. Poi mi sono reso conto che i miei lavori migliori erano quelli in cui non parlavo: lasciavo che fossero i personaggi a raccontare la loro storia, e lo storytelling veniva fuori nel montaggio. Proprio da lì nasce l’idea di microfonare i giocatori. Loro spesso mi chiedono: ‘Cosa devo fare?’ Io gli rispondo che devono semplicemente essere loro stessi. Il mio punto di vista è diventato quasi quello di un voyeur, rubando e spiando momenti della loro giornata. Il risultato è un prodotto vero, e credo che al pubblico piaccia proprio grazie al suo essere vero. Senza filtri”.

“Dietro l’Atleta” è uno dei primi esempi di ciò che fai oggi quotidianamente, una serie il cui primo episodio riprendeva un giovane Under 18 agli Assoluti di Todi, un certo Lorenzo Musetti…“Quello era un periodo difficile della mia vita. Ero appena tornato in Italia, la situazione economica non era delle migliori e avevo appena preso il brevetto per diventare Maestro di tennis. Quindi quella è stata una scommessa. Mi sono chiesto: ‘Cosa voglio vedere online che già non vedo?’ Così sono stato due giorni con Lorenzo e il suo allenatore, entrambi molto umili e molto aperti. È stato un po’ l’inizio di tutto, l’episodio ha avuto centomila visualizzazioni quasi subito e quindi da lì ho capito che dei contenuti di quel genere potessero piacere”.

Uno dei primi video che hai pubblicato su “Backstage Tennis” è un’intervista a Matteo Arnaldi, ai tempi numero 720 del mondo in cui spiega le difficoltà economiche dei tennisti non ai vertici mondiali. Spesso infatti ci si dimentica che fare il tennista non significhi necessariamente vivere nell’oro…
“Io ho insegnato per tre o quattro anni anche a dei ragazzi agonisti, e in parallelo viaggiavo con i tennisti professionisti. Mi rendevo conto di come i miei allievi, alcuni dei quali volevano diventare professionisti, non sapessero nulla della realtà della vita dei tennisti. Questo vale anche per il pubblico all’esterno. Il tennis è visto come uno sport elegante, praticato da gente benestante, invece non è assolutamente così. Il mondo professionistico è tostissimo, il tennis è uno degli sport in cui è più difficile arrivare al vertice e per farlo ti servono tantissimi soldi. Vedo gente che vive in roulotte, genitori che vendono gli appartamenti per sostenere il percorso dei figli, gente che va in bancarotta, ragazzi che dormono quasi in sgabuzzini come è successo ad Arnaldi… La verità è che sono dei pugili con la racchetta in mano, ed è ciò che voglio far vedere”.  

Hai ripreso da vicino decine e decine di tennisti. Chi è il giocatore che, a livello umano, ti ha sorpreso di più?
“Ce ne sono tanti, anche se ho conosciuto pochi tennisti forti che non siano anche umili. Di solito i più forti sono i più umili, spesso sono grandi uomini prima di grandi atleti. Mi piace stare a contatto con loro, perché così facendo miglioro anche io nel mio lavoro. Mi ispirano, sono degli uomini incredibili con dei valori che possiedono sin da bambini. Uno in particolare, per la disponibilità e l’umanità, è Andrea Vavassori. Ma anche lo stesso Jannik Sinner o Lorenzo Musetti… Sono per certi versi anche ‘infantili’, sono dei ragazzi normalissimi, non ciò che si vede in televisione. Sono davvero come noi, l’unica cosa che li differenzia è il fatto di insistere su ciò che vogliono tutti i giorni. Ciò che li rende ‘diversi’, oltre a un po’ di talento, è la costanza. Per questo a me piace raccontare storie universali, cosicché anche una persona che non conosce il tennis può guardare il mio canale per ispirarsi e migliorarsi come persona”.

Il tuo lavoro mette in luce anche i rapporti quotidiani tra allenatori e giocatori. In questo senso, una coppia in particolare che ti è rimasta impressa?
“Musetti e il suo coach Simone Tartarini, sicuramente. Musetti viene tartassato dal suo allenatore in ogni singolo punto, con Tartarini che gli dà un feedback per ogni colpo giocato. Ciò che mi ha impressionato di più, non me lo dimenticherò mai, era la capacità che aveva Lorenzo di incassare, di non offendersi. Da allenatore, capisco che molti giocatori prendano sul personale le critiche che gli arrivano. Lorenzo, invece, ascoltava e metteva subito in pratica ciò che Tartarini gli chiedeva. A volte senza nemmeno girarsi. Il rapporto che c’è tra Musetti e il suo coach, che molte persone da fuori giudicano come limitato ed esagerato, secondo me invece cela un legame indissolubile, che va oltre. Prima di tutto il resto, sono come padre e figlio. Quindi vedere dal vivo Lorenzo migliorare grazie ai consigli di Tartarini è stato incredibile”. 

Paradossalmente, la tua ricerca di storie vere e genuine ha successo sui social network, noti invece per ostentare il falso e standard irrealizzabili. Così facendo, quindi, proponi un uso sano di queste piattaforme…
“La parola ‘rivoluzionario’ è eccessiva, ma a me piace giocare con gli aspetti che tu hai citato. Tutti i miei video sono lunghi un minuto e mezzo, ossia il tempo massimo disponibile che Instagram mi concede. Ed un minuto e mezzo per raccontare una storia è molto poco. Se invece vieni sul mio canale per guardare quattro secondi e chiudere il video, non mi interessa. I social, se usati per troppo tempo e per i motivi sbagliati, sono tossici. Se usati invece per i motivi giusti, sono molto utili. Mi piace pensare che alcune persone usino Instagram per imparare, non solo sul mio canale, ne esistono molti altri. Faccio parte di una piattaforma che ha il 90% di contenuti tossici, ma nel mio piccolo mi piace pensare che ciò che faccio ispiri, insegni e aiuti le persone ad essere migliori”.

Federico Traverso

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