E' un "day after" amaro, dove poco è il tempo per leccarsi le ferite perché questo uggioso giovedì, in casa Genoa e nel quartier generale di Pegli, significa anche antivigilia del prossimo proibitivo impegno di campionato contro la Juventus di sabato, a Marassi.
Ed è proprio guardando un po' più in là di quello messo in campo ieri sera, dove non solo la differenza di categoria, dal 20esimo in poi, non si è vista ma anzi è sembrata appannaggio inverso di quanto dica la quotidianità dei campionati attualmente disputati, che forse si può inquadrare meglio il momento opaco di Badelj e compagni. Tralasciando l'amarezza e la delusione di aver perso una partita mai banale come il derby.
Che l'avversario si chiami Verona, Venezia o Sampdoria infatti, le prestazioni dell'ultimo periodo hanno palesato più d'una difficoltà del Vecchio Balordo. Situazioni che variano da una coperta sempre più corta, complici gli immancabili infortuni, a un irriconoscibile atteggiamento in campo della squadra di Gilardino, che pure nella sua esperienza finora aveva abituato sì a un gioco offensivo forse non dei più brillanti o divertenti, portando tuttavia il contraltare di un ordine e una solidità difensiva che nelle ultime uscite paiono essersi sbiadite. Il gol di Borini, quello di Dovbyk e il rigore del Venezia: tutte occasioni molto simili tra loro costruite dagli avversari.
Certo non mancano le attenuanti in quello che lo stesso tecnico, nel post partita, ha ammesso essere il periodo più critico finora nella sua gestione. Innegabile sia cambiata la rosa negli ultimi sei mesi, dove si sono persi giocatori chiave (Martinez, Dragusin, Retegui e Gudmundsson) le cui qualità, al netto dell'impiego fattone dal mister biellese, davano tutt'altra consistenza alla truppa rossoblù; altrettanto difficile, fatto salvo il caso portiere con Gollini, affermare siano arrivati sostituti alla medesima altezza, con un mercato estivo che definire "condizionato" è essere magnanimi. Specialmente riguardando a quanto successo un anno prima.
Nel frattempo le cose sono cambiate. Ormai è noto, ne è conscio l'ambiente e ne è conscio lo stesso Gilardino, al quale ora spetta però l'arduo compito di cercare di sistemare la corta coperta di una squadra che in alcuni elementi ha mostrato limiti fisici e pure mentali. Trovare soluzioni col materiale a disposizione è dovere dell'allenatore e del suo staff, una mano però va data dalla società. Forse già ora ricorrendo al mercato degli svincolati, col quale non solo si andrebbe a sostituire l'infortunato Malinovskyi ma anzi si andrebbe a rinfoltire una rosa incompleta, orfana di quel Gudmundsson lo scorso anno ago della bilancia del Genoa e degli schemi gilardiniani e con una panchina sempre molto, troppo giovane.
Intervenire ora su questi temi è però necessario per invertire una pericolosa china discendente, evitando però di gettare il bambino o l'embrione di esso, perché finora questo è parso essere il Genoa e non oltre, con la tanta metaforica acqua sporca, senza cercare un capro espiatorio ma per quanto possibile nei propri doveri in base ai rispettivi ruoli. Con lucidità e magari anche stimolati dall'emotività del momento, che possa far scattare una scintilla d'orgoglio per riaccendere la luce.