Attualità - 20 settembre 2024, 13:21

Un tributo alle ‘donne invisibili' che hanno fatto grande Genova, in Sottoripa una targa ricorda le prostitute

Appena dietro a Palazzo San Giorgio, il ricordo delle meretrici che, con il pagamento di cinque soldi, tra il XIV e il XV secolo contribuirono a finanziare le opere nel porto, rendendolo il più grande d’Europa. Fu così che nacque il detto ‘A l’è cheito u-nna bagascia in maa’

Un tributo alle ‘donne invisibili' che hanno fatto grande Genova, in Sottoripa una targa ricorda le prostitute

Tra il XIV e il XV secolo, a Genova, le prostitute potevano esercitare la loro attività versando cinque soldi alla Repubblica. Con i proventi di tale gabella, la repubblica finanzio importanti opere monumentali. Tra queste la costruzione e l’ampliamento della ‘fabbrica dei moli’, area del Porto in cui a questo donne era proibito entrare. Da qui nasce un famoso detto popolare genovese usato per sottolineare un evento fuori dall’ordinario”.

Da oggi, chi passa per via di Sottoripa, all’altezza dei civici 11 e 13R, proprio alle spalle di Palazzo San Giorgio, può leggere queste parole, scolpite su una targa di marmo, che ricordano proprio l’impegno e il sacrificio delle prostitute che, con le loro tasse, hanno contribuito a rendere il porto di Genova il più grande d’Europa.

Un riconoscimento fortemente voluto dalla Fondazione Amon che ha visto l’impegno del Comune di Genova e del Municipio I Centro Est che, per sette anni, hanno lavorato per arrivare alla posa della targa.

Una scopertura, quella di stamattina, che arriva nel sessantaseiesimo anniversario dell’approvazione della legge Merlin che ha portato alla chiusura dei bordelli.

Con il contributo delle prostitute, Genova potè avere moli all’avanguardia - ricorda Marco Pepè, segretario del circolo culturale Fondazione Amon -Tra il XIV e il XV secolo le prostitute, termine che deriva da prostituere cioè mettere in mostra, potevano lavorare indisturbate all’interno di un perimetro, il postribolo di San Francesco, che sorge all’incirca dove oggi si trova via Garibaldi, la via Aurea dei genovesi. Dovevano però versare cinque soldi al giorno che venivano ritirati da un podestà che riceveva l’incarico dalla Repubblica. Con questi soldi sono state finanziate alcune opere importanti della città tra cui i moli”.

Raccontando ancora della Genova di seicento anni fa. Pepe prosegue: “Queste donne lavoravano all’interno, erano protette, curate se ammalate, e dovevano obbligatoriamente rimanere all’interno del postribolo tutti i giorni tranne il sabato, giornata in cui potevano andare in giro per la città”.

Tra gli altri divieti che riguardavano le meretrici, uno in particolare ha dato origine a un detto che indica un evento fuori dal comune: “Alle prostitute - prosegue Pepè - era fatto divieto di avvinassi ai moli perché, finanziati anche con il loro lavoro, potevano creare situazioni imbarazzanti. Da qui nacque il detto A l’è cheito u-nna bagascia in maa,  a cui è stato aggiunto, senza bagnase a indicare un fatto che comunque non si sarebbe potuto verificare”.

Alla presentazione della targa questa mattina è intervenuta anche l’assessora ai Servizi Civici Marta Brusoni: “Abbiamo lavorato affinché questa targa potesse avere il giusto riconoscimento. Come sappiamo, era una professione nascosta per diversi motivi però, indubbiamente, pagando una tassa, queste donne hanno dato un grosso contributo alla crescita di Genova e del suo porto, soprattutto. Oggi non è un giorno a caso perché ci riferiamo alla Legge Merlin, così insieme col comune e con il municipio che da sette anni desiderava arrivare a questa giornata, possiamo ricordare tutte queste donne di diverse età e origini, con caratteristiche diverse, ma tutte caratterizzate per aver dato un grosso contributo alla nostra città”.

Fondamentale è stato anche l’impegno del Municipio I Centro Est: “Come municipio - aggiunge il presidente Andrea Carratù - quando si parla di storia, cerchiamo di incentivare. Sotto l’aspetto sociale dobbiamo ricordare che la prostituzione è un aspetto sociale che va ricordato, anche in questa occasione. Sappiamo che nella storia della Repubblica, si è approfittato del sacrificio di queste donne per fare qualcosa che ha portato a essere Genova grande. I moli che si intravedono negli scavi sono stati pagati dalle prostitute. Avere oggi la presenza di chi fa questo mestiere è stato un modo per ricordare anche ancora c’è gente che sacrifica la propria vita”.

La cerimonia è stata l’occasione per accogliere anche la preziosa testimonianza di Rossella Bianchi, presidente dell’Associazione Princesa, creata da don Andrea Gallo: “Amo Genova, per tutto. La sento mia” ricorda con una punta di emozione prima di ripercorrere la storia recente: “Non potevi uscire di casa, dal Ghetto. Se venivi fermata, ti portavano in Questura, ti facevano una foto segnaletica, venivi schedata. Qualche tempo dopo iniziarono anche a mandarci in carcere ma quando i giudici completavano l’interrogatorio, ti mandavano a casa ma intanto avevi fatto dei giorni in cella solo per il fatto di esistere. Oggi è una sorta di armistizio definitivo con la pubblica sicurezza”.

Nella memoria di Bianchi affiora anche lo spirito della città, fatta di via vai di porto: “Abituata alla provincia, alle discriminazioni, all’essere offesa e non solo a parole, arrivare nel centro storico, nel ghetto, mi ha fatto sentire protetta. Qui nessuno mi discriminava, nel ’65 non eravamo tante ma io ero una di loro. Poi, negli anni successivi, siamo aumentate. Genova era conosciuta come una specie di oasi dove si poteva stare quasi protette. Non eravamo sui viali alla mercé notturna”.

Quello che vedevo quando ero operatore di strada - conclude Domenico Chionetti, detto Megu, educatore e ex operatore sociale - era un grande sommerso, ma anche uno stigma. Potrei dire oggi come allora, forse più di allora perché in qualche modo seicento anni fa ci fu una regolamentazione, una zonizzazione dove esercitare il meretricio e pagare il dazio di cinque soldi che poi diede vita al più grande porto europeo insieme ad Anversa. Il contributo fu fondamentale ma erano comunque stigmatizzate, ai margini, in una situazione di riconoscimento. Oggi c’è un sommerso totale, una crisi di supporto anche dal punto di vista di lotta alla tratta, nella zona angiportuale c’è sempre una prostituzione, una tratta di schiavitù di donne soprattutto dell’Est europa. C’è molto sommerso, non ci sono risorse io credo sufficienti, come per moltissime altre situazioni, del comparto per sostenere l’uscita da una situazione di prostituzione che riguarda la schiavitù. C’è una porzione di libera scelta di donne, uomini e persone trans che deciso di vendere il proprio corpo liberamente ma sono una grandissima minoranza ed esercitano magari tramite portale web”. 

Quel delicato omaggio che si incontra nelle canzoni di Fabrizio De André, dove gli ultimi che popolano la Città Vecchia diventano protagonisti dei suoi racconti, oggi si trasforma e trova un nuovo rimando nella targa che ricorda il sacrificio e l’impegno di tante donne che hanno contribuito alla grandezza della Repubblica di Genova e del suo porto.

Una porta sul mondo, su una città che ha saputo accogliere senza pregiudizi.

Che fosse il mestiere più antico del mondo era già noto, che avessero il potere di sostenere economicamente una città certamente era meno risaputo ma si sa che i genovesi sono gente dalle mille risorse.

Isabella Rizzitano

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