Attenta testimone del crocevia tra il porto e la strada che conduceva direttamente alla zona di Castello, la chiesa di San Pietro in Banchi domina la piazza omonima, su cui si affaccia anche la loggia della Mercanzia.
La sua storia va di pari passo con le questioni politiche che hanno animato la Superba per secoli; persino la sua particolare costruzione, a sormontare delle botteghe di vario tipo, non può prescindere dalle vicissitudini che hanno interessato l’edificio e lo spazio circostante.
San Pietro in Banchi si potrebbe definire l’erede di una delle chiese più anche della città, distante qualche decina di metri più a est, verso Canneto. Qui sorgeva la porta di San Pietro (le cui tracce sono ancora intuibili nelle costruzioni che chiudono piazza Cinque Lampadi), passaggio obbligato per l’ingresso alla città o per raggiungere la zona dei prati.
Una zona strategica che vide la chiesa al centro di numerose lotte tra fazioni, come spesso accadeva nel Trecento, e che, proprio alla fine del secolo, fu la causa della distruzione del primo edificio.
Alla fine del Cinquecento, nel momento di maggior ricchezza di Genova, la chiesa venne ricostruita e ultimata, come deciso dal Senato.
Un gesto di ringraziamento nei confronti della Madonna per la scampata epidemia di peste del 1530 ma che in città tornerà con conseguenze pesanti a metà del Seicento.
Il progetto di Taddeo Carlone e Daniele Casella, allievo del Carlone, vide una rotazione dell’orientamento della chiesa, di modo che la scalinata e l’accesso al luogo sacro, avvenissero dalla piazza.
Al progetto, però, parteciparono anche La chiesa, il cui orientamento venne girato per far si che l’accesso avvenisse dalla piazza, si venne a trovare nel cuore della città, e vide la partecipazione di numerosi architetti e artisti: Andrea Ceresola, detto il Vannone, Marcello Sparzo (stuccatore urbinate già attivo a Genova), Bernardino Cantone.
Furono loro a realizzare questa piccola ma preziosissima chiesa che, in qualche modo, strizza l’occhio a un’opera di Galeazzo Alessi: la chiesa dell’Assunta di Carignano.
Ma ancora non è chiaro il perché questo luogo di culto sorge sopra le botteghe.
Tutto si deve ricondurre all’incarico del Governo della città che aveva ‘imposto’ la ricostruzione.
Un gesto importante, di prestigio, tanto che una cappella all’interno della chiesa si trovò di proprietà della Repubblica di Genova, ma i senatori imposero una condizione: l’opera doveva auto finanziarsi.
Ecco allora l’idea: al piano strada, le attività commerciali avrebbero pagato l’affitto garantendo, con gli introiti, la conclusione dell’opera.
Non solo. Dall’affitto arrivarono anche i soldi necessari a ‘indennizzare’ le famiglie Lomellini e De Marini per la demolizione di una casa e di una loggia, distrutte per far spazio al nuovo assetto della piazza.
Ah, il genio genovese.