Chissà a quanti, passando per via di Mascherona e levando lo sguardo in alto, verso quella che oggi è un’edicola votiva senza raffigurazione, è balzata agli occhi una sfera metallica incassata nel muro.
Si tratta di una palla di cannone delle centinaia sparate durante il bombardamento che il generale Alfonso La Marmora, per ordine del re di Sardegna Vittorio Emanuele II, futuro re d’Italia, lanciò su Genova nel 1849.
A scatenare la rivolta anti sabauda dei genovesi fu l’armistizio di Vignale che aveva messo fine alla Prima Guerra di Indipendenza e sancito la vittoria dell’Austria. I genovesi volevano riconquistare la libertà persa nel 1814 quando in Congresso di Vienna annesse ai territori sotto il controllo dei Savoia anche la Repubblica di Genova.
Il malcontento diffuso, la sconfitta nella guerra e condizioni economiche difficili portarono la protesta a espandersi in tutta la città: i sovversivi, per il re, dovevano essere contrastati con la forza. Dal 5 all’11 aprile Genova venne invasa: La Marmora, dopo aver attraversato la Val Polcevera, arrivò a Sampierdarena, schiacciando i genovesi che, nonostante la resistenza strenua, nulla poterono contro l’esercito sabaudo.
Il comandante arrivò alla Lanterna mentre i forti vennero presi dai piemontesi. I militari genovesi, nonostante fossero un terzo dei sabaudi, resistettero. Arrivò così l’ordine di bombardare.
La città venne distrutta, morirono circa quattrocento persone. Persino l’ospedale di Pammatone (dove oggi si trova il Tribunale di Genova) venne colpito da sedici bombe.
Un massacro a cui si aggiunse il ‘Sacco di Genova’. Quasi fosse un premio, il generale lasciò ventiquattro ore di saccheggio libero e i bersaglieri ai suoi ordini, in appena due giorni, portarono via quanto più possono da case, edifici pubblici e chiese, uccidendo chi si oppose, violentando le donne e compiendo ogni genere di atrocità.
L’oppressione dei rivoltosi, che il futuro re d’Italia aveva definito ‘vile e infetta razza di canaglie’, valse un encomio a La Marmora, direttamente da Vittorio Emanuele.
A ricordo di un episodio che venne cancellato dalla memoria storica, in giro per la città si possono incontrare le palle di cannone che le batterie spararono su Genova.
Spesso vicino a edicole votive, com’è il caso di via di Mascherona o in vico Cartai, i proiettili sparati dai cannoni sono rimasti li a testimonianza della repressione sabauda verso Genova e i suoi cittadini.
Il 26 novembre del 2008, in piazza Corvetto, proprio a pochi passi dalla statua dedicata a Vittorio Emanuele, venne scoperta una targa in onore dei genovesi caduti in quella tragica settimana di aprile.
"Nell'aprile 1849 - si legge sulla targa - le truppe del Re di Sardegna Vittorio Emanuele II al comando del generale Alfonso La Marmora sottoposero l'inerme popolazione genovese a saccheggi bombardamenti e crudeli violenze provocando la morte di molti pacifici cittadini aggiungendo così alla forzata annessione della Repubblica di Genova al Regno di Sardegna del 1814 un ulteriore motivo di biasimo affinché ciò che è stato troppo a lungo rimosso non venga più dimenticato il Comune di Genova pose”.