Attualità - 12 luglio 2024, 08:00

Alla scoperta dei Rolli - L’ingegnoso scalone di Palazzo Stefano Lomellini

Costruito alla fine del Cinquecento, l’edificio, noto anche come palazzo Doria Lamba dal nome degli ultimi proprietari, è il risultato di un ampliamento voluto nel 1776 da Gian Tommaso Balbi e realizzato da Gregorio Petondi. A lui si deve l’escamotage che unisce i due ingressi e supera il dislivello regalando uno scorcio unico

Alla scoperta dei Rolli - L’ingegnoso scalone di Palazzo Stefano Lomellini

Prosegue oggi, e andrà avanti per tutti i venerdì successivi, ‘Alla scoperta dei Rolli’, un servizio seriale de ‘La Voce di Genova’ dedicato a una delle caratteristiche principali della nostra città, che è valsa anni fa il riconoscimento Unesco come Patrimonio dell’Umanità. Si tratta del sistema dei Palazzi dei Rolli: edifici che sono vere e proprie perle del centro storico e non solo. Vi accompagneremo dentro con i nostri racconti, ve li faremo scoprire con le fotografie, vi illustreremo aneddoti e curiosità. Sempre per amore di Genova e delle nostre eccellenze. Buon viaggio insieme a noi!

 

Al civico 18 di via Cairoli, quasi affacciato su largo Zecca, sorge uno dei palazzi che maggiormente ha affascinato studiosi dell’architettura e viaggiatori da ogni parte d’Europa.

È palazzo Stefano Lomellini, oggi proprietà della famiglia Doria Lamba, da cui prende l’estensione della denominazione e sede di uffici e abitazioni.

Inserito nell’elenco dei Rolli già a partire dal 1588 ma nel suo nucleo originale, quello che oggi si mostra è il risultato di un ampliamento voluto nel Settecento e progettato dall’architetto ticinese Gregorio Petondi, chiamato a lavorare da Gian Tommaso Balbi.

Petondi, impegnato nel 1776 nell’ampliamento del palazzo, due anni più tardi venne incaricato della realizzazione di Strada Nuovissima.

Proprio la concomitanza del progetto dell’asse viario, prosecuzione della strada Nuova, fece apportare modifiche e adattamenti all’architettura basata su un complesso edilizio con preesistenze medievali.

Un nuovo portale venne aperto verso la via: l’ingresso è scandito da colonne doriche che si uniscono all’imponenza dell’edificio; la facciata, invece, è scandita da mascheroni e poggioli in marmo.

Considerare dunque la presenza delle due strade, strada Nuovissima da un lato e via Lomellini dall’altro, diede vita a un sistema di due ingressi, uno contrapposto all’altro, messi in relazione grazie a un sistema di corti e atri che circondano lo scalone in marmo, realizzato per coprire ingegnosamente il dislivello tra le due strade.

Proprio questo escamotage fu in grado di attirare l’ammirazione di studiosi e visitatori tra cui non mancarono gli elogi di Cesare Brandi e Rudolph Wittkower.

L’edificio si trovò quindi a diventare un unico complesso, riorganizzato secondo la moda del tempo che dalla Francia portava una serie di camere, salotti e gallerie creando un percorso ad anello.

Gli ambienti, decorati secondo il gusto rocaille, sono impreziositi da una serie di stucchi che, originariamente, dovevano contenere delle tele, oggi in parte perse.

Al secondo piano si trova ancora una cappella in cui era posizionata una statua raffigurante l’Immacolata realizzata da Pierre Puget, donata poi all’oratorio di San Filippo Neri. Oggi, nella sua collocazione originaria, si trova un’opera di Francesco Maria Schaiffino sempre legata al tema dell’Immacolata.

Proprio nell’oratorio poco distante, una targa ricorda la donazione dell’opera dello scultore francese da parte di Stefano Lomellini.

Isabella Rizzitano

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