Continua con questo lunedì, e andrà avanti per tutti i lunedì successivi, un servizio seriale de ‘La Voce di Genova’ dedicato alle Botteghe Storiche e ai Locali di Tradizione della nostra città. Siamo partiti con il punto di vista dell’assessora comunale al Commercio, Paola Bordilli, e del segretario generale della Camera di Commercio di Genova, Maurizio Caviglia.Vogliamo raccontare, di volta in volta, quelle che sono le perle del nostro tessuto commerciale, e che ci fanno davvero sentire orgogliosi di appartenere a questa città. Buon viaggio insieme a noi!
Dal 1910, all’angolo tra vico Speranza e vico Inferiore del Ferro, due piccole luci illuminano un bancone in marmo su cui campeggiano pollame, uova, tacchini e, a volte, fagiani.
Un luogo che sembra essersi fermato nel tempo a quando nonna Ines, arrivata da Ovada, aveva raggiunto zia Angela Maria per fare da garzonetta alla bottega ‘in città’.
Oggi, dietro al banco si incontra Matteo Timossi, assieme ai genitori, Anna e Sergio, alla moglie Silvia e a Diego, il collaboratore che, per tutti, è uno di famiglia.
“Io sono la quarta generazione - racconta Matteo - Prima una cugina di mia nonna, poi mia nonna, mio padre e io. Nel tempo si è aggiunta prima mia madre nel 1988, poi mia moglie”.
Matteo ha iniziato giovanissimo a imparare ogni singolo movimento nella preparazione delle carni bianche, sotto lo sguardo attento del padre, per poi ritrovarsi quotidianamente dietro al bancone ad accogliere i clienti che, come dice lui stesso, ‘sono come degli zii’.
“Questo negozio ha la sua routine, che è sempre la stessa, e questa è la sua meraviglia. Io non ho clienti ma zii: mi hanno visto crescere, fare il militare, sposarmi, fare un figlio, stare qui dentro a condurre accanto a mio padre. Se ci penso, il presente per me è l’emozione più grande perché mi dà la conferma che la mia famiglia ha fatto un ottimo lavoro”.
Tutto, dalle porte delle celle frigo, al marmo grigio chiaro del bancone, sono invariati dall’inizio del secolo scorso, testimoni della storia della città e dei suoi innumerevoli cambiamenti: “Non è un cambiamento negativo - continua Matteo - è un cambiamento. Non si potrà mai essere uguali a prima e ciascuno di noi è diverso. Io non sarò come mio padre, mio figlio non sarà come me. Mio padre ha vissuto una Maddalena, io ne vivo un’altra e mio figlio ne vivrà un’altra ancora. Il mondo cambia, non può non cambiare anche il quartiere”.
Dall’arredamento che preserva ancora intatto il fascino del saper fare, alle proposte del banco in cui non mancano polli con le loro creste, non c’è un angolo di questo piccolo locale che non trasudi passione, sacrificio e dedizione. Certo, poi il fascino del colpo d’occhio è per i turisti un vero e proprio richiamo, così non è raro passare di qui e ritrovare file di persone intente a riprendere quanto più si riesce: “Siamo qualcosa che non c’è più - prosegue il titolare - poi, il colpo d’occhio è la prima cosa e il fatto che tutto sia originale ha un fascino diverso. Ci sono state solo le aggiunte per le norme igieniche e per la modernità nel corso dei cento anni. Ma i turisti, quando arrivano qui, vanno fuori di testa, sono affascinati da quello che vedono. Qui ciascuno è seguito e non bisogna arrangiarsi, siamo presenti con chi viene a comprare. Anche i bambini rimangono a bocca aperta perché possono vedere come vengono proposte le cose: c’è chi disossa, chi confeziona, capiscono che la coscia, l’arrosto, l’involtino non nascono dal vassoio ma vengono preparati dal pollo. La manualità affascina anche i grandi perché è un qualcosa che oggi non c’è più”.
Per il futuro la speranza è che il figlio di Matteo e Silvia possa portare avanti la tradizione di famiglia ma solo se lo vorrà: “Per me sarebbe un onore, un orgoglio vedere mio figlio continuare la tradizione, non potrei sopportare di vedere questo posto chiuso. Ma lo farà solo se lui vorrà. Intanto, viviamo il presente”.