Con l’esecuzione dell’Inno di Mameli e un minuto di silenzio in ricordo delle vittime del nazifascismo, si è aperta questa mattina la seduta solenne del consiglio regionale per il 25 Aprile, 79° anniversario della Giornata della Liberazione.
Alla presenza delle massime autorità civili e militari, il presidente del consiglio regionale, Gianmarco Medusei, ha aperto la mattinata ricordando che il 25 Aprile “è la giornata di tutti e non di una sola parte, dei cittadini e della società civile, non può e non deve esserci divisione. Il Comitato di Liberazione Nazionale racchiuse uomini e personalità diverse tra loro: socialisti, anarchici, democristiani, comunisti, liberali, repubblicani, mazziniani, che fecero un fronte unitario, poi confluito all’interno del Parlamento e dei primi governi della neonata Repubblica Italiana. Non può e non deve esserci divisione in questa celebrazione, sebbene vi siano e vi siano stati dibattiti anche accesi, poiché fu un momento storico alquanto complicato, che però non dovrebbero appartenere a quella che è ufficialmente una festa istituzionale e nazionale, identificativa di quella stessa natura eterogenea della Resistenza, che vide il coinvolgimento di uomini e donne di diversa estrazione sociale e politica. L’Italia è un Paese che continua a godere di una eredità preziosa da proteggere”.
“Siamo riuniti per celebrare la seduta solenne, per dare il giusto e doveroso risalto ad una giornata fondamentale nella storia del nostro Paese, il primo passo che ha condotto l’Italia a quel percorso istituzionale che l’ha trasformata in una Repubblica Democratica, fondata sui principi della Costituzione che ancora oggi, saldamente, ci protegge e ci innalza al ruolo di nazione moderna e libera - ha aggiunto Medusei nel proprio discorso introduttivo - la libertà è un concetto che oggi ci appare un qualcosa di scontato, implicito all’interno dello stato di diritto. Sappiamo però che nel Novecento, la libertà, in Europa come in Italia, non era cosa certa. Il Ventennio si lasciò dietro macerie e una scellerata alleanza con la dittatura nazista, anche adeguandosi ad infami ideologie che portarono alle leggi razziali. Quel frangente fu, infatti, il culmine di una politica fondata sull’annullamento di tutti quei principi che la nostra Costituzione ha invece riscoperto e consolidato, sancendoli su carta e ridando all’Italia la sua vera identità di Nazione fiera, libera, repubblicana, in cui la democrazia rappresenta l’unica forma di governo possibile, che le istituzioni devono esprimere e far rispettare”.
“Quando finiranno le polemiche sul 25 Aprile l’Italia sarà maturata e avrà fatto sì che sia una festa di tutti - ha commentato il presidente Giovanni Toti a margine della seduta - occorre ribadire che la nostra è una Repubblica fondata sull’antifascismo, che nasce dalle ceneri di una guerra tragica che ha devastato l’Europa in cui la Resistenza partigiana ha riscattato un Paese facendolo sedere tra le democrazie che hanno vinto questa guerra. Occorrerebbe che tutte le cultura del nostro Paese riconoscessero che è una festa di tutti, delle grandi democrazie a partire da Stati Uniti e Gran Bretagna e delle forze partigiane. Tutti rispondiamo alla Costituzione, sarebbe l’ora di smorzare le polemiche, di evitare ogni distinguo, chiudere l’epoca in cui qualcuno ritiene questa festa più sua che di altri e celebrare tutti insieme un elemento fondato del nostro Paese”.
Il professor Guido Levi ha sviluppato una ricostruzione delle vicende della Resistenza a Genova: “Il 25 aprile rappresenta tante cose insieme: la fine dell’occupazione tedesca, la liberazione dal fascismo dopo 20 anni di dittatura, la vittoria della Resistenza con il contributo fondamentale degli Alleati, un momento di protagonismo popolare forse unico nella storia italiana, la pace dopo cinque anni di una guerra spietata e sanguinosa, l’inizio dell’avventura della nuova Italia democratica i cui valori sarebbero stati scolpiti di lì a breve nelle pagine della Costituzione italiana, la speranza di un futuro migliore”.
Lo studioso ha aggiunto: “Genova e la Liguria furono protagoniste assolute di questa vicenda, si trattò di un evento preparato da tempo, dato che per la prima volta si iniziò a discutere di piani per la liberazione nell’estate del 1944. Gli ordini venivano dal Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia. Il momento sembrava propizio, in virtù dell’avanzata degli Alleati lungo la penisola, della liberazione di Roma avvenuta a giugno e soprattutto della liberazione di Firenze in quel momento in corso”. “Nel giro di poche settimane – ha proseguito - lo scenario tuttavia sarebbe cambiato e il momento della Liberazione si allontanò nuovamente e fu solo con l’anno nuovo che i piani insurrezionali furono predisposti”.
Il professor Levi ha, dunque, ricostruito nel dettaglio i preparativi dell’insurrezione genovese e ha precisato: “Il nodo più problematico era rappresentato dal rapporto con gli Alleati, in quanto era evidente la volontà di subordinare agli Alleati le forze partigiane. Chi stava combattendo da mesi e aveva pagato un enorme tributo di sangue alla causa non poteva tuttavia accettare queste condizioni; ma venne comunque trovato un accordo” Levi ha ricordato che l’insurrezione scoppiò in anticipo, la sera del 23 aprile, su iniziativa delle Sap del Ponente cittadino, ansiose di scongiurare la ritirata tedesca iniziata nel corso della mattinata e dal ponente le operazioni militari si estero al centro, dove si mossero per primi i gruppi addetti al sabotaggio delle mine tedesche dislocate nel porto: “La mattina del 24 aprile l’insurrezione divampò, con le Sap protagoniste nei vari quartieri della città, e tanti cittadini comuni che impugnarono per la prima volta le armi per portare un loro contributo alla liberazione della città e i piani insurrezionali predisposti con tanta cura dai comandi si modificarono sotto l’incalzare degli eventi”. Lo storico ha poi illustrato, nel dettaglio le fasi successive fino all’atto di resa avvenuto nel pomeriggio del 25 aprile. “Si trattava – ha sottolineato - di un risultato eccezionale, un caso unico in Europa di un corpo d’armata tedesco che si arrendeva alle forze partigiane, la liberazione delle città fu, dunque, insomma frutto di un’azione coordinata di partigiani a alleati, e la Resistenza non fu neppure solo un fenomeno italiano bensì europeo, poiché in tutti, e ribadisco proprio in tutti, i territori occupati dalle truppe nazifasciste si verificarono forme di resistenza in nome di quei valori di libertà e di democrazia che erano stati calpestati, o in nome di un rinato spirito nazionale che proprio nella temperie della guerra si era affrancato dalla retorica patriottarda del fascismo. Nella Resistenza furono, pertanto, gettate le fondamenta della nuova Italia democratica, i cui principi e valori furono nell’immediato dopoguerra magnificamente tradotti nel linguaggio giuridico della nostra Costituzione. Non si deve tuttavia dimenticare che la Resistenza era erede dell’antifascismo ed è stata anche un evento che ha avvicinato e affratellato i popoli del vecchio continente nella lotta contro un comune nemico, chiudendo di fatto quel ciclo terribile della guerra civile europea iniziato con la Prima guerra mondiale e proseguito poi con la pace punitiva di Versailles”.
Lo storico ha concluso: “Molti storici indicano nelle vicende della Resistenza europea le radici di quel processo d’integrazione continentale che ufficialmente viene fatto iniziare con la Dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950 o, l’anno successivo, con la firma del trattato istitutivo della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio da parte dei rappresentanti di Francia, Germania, Italia e dei tre Paesi del Benelux. A spingere in questa direzione era soprattutto un anelito di pace dopo la tragedia di due guerre mondiali. Era necessario modificare l’ordine internazionale per evitare che simili tragedie potessero ripetersi”.
Levi ha aggiunto: “Di qui l’importanza dell’articolo 11 della Costituzione italiana che da un lato “ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli” e dall’altro “consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni. Dalle vicende della Liberazione ricaviamo una grande eredità politica e morale, per l’Italia così come per l’Europa, che ci porta a riflettere sul significato della libertà, della democrazia, della giustizia, sulla necessità di preservare, e se possibile rafforzare, valori e principi che rappresentano le più alte conquiste della nostra”.