Sanità - 12 marzo 2024, 18:00

Aggressione al Galliera, parla l'infermiera vittima di una paziente: “Presa a calci e pugni mentre cercavo di prestare assistenza”

Nella giornata dedicata alla prevenzione contro la violenza sugli operatori sanitari, la denuncia di una lavoratrice del pronto soccorso: “Ormai la violenza verbale è accettata, ma va fermata quella fisica. Non potrei mai cambiare reparto, ma vogliamo sicurezza”

Aggressione al Galliera, parla l'infermiera vittima di una paziente: “Presa a calci e pugni mentre cercavo di prestare assistenza”

Oggi, martedì 12 marzo, viene celebrata la ‘Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari e socio-sanitari’ istituita dal Ministero della Salute: un necessario momento per riflettere e accendere i riflettori sulla preoccupante escalation di violenza che vede protagonisti pazienti  agitati e aggressivi da una parte, e lavoratori occupati a prendersi cura di quante più persone possibili dall’altra.  

Stando ai dati diffusi dai sindacati Uil Fpl Liguria e Uil Fpl Genova, almeno l’ottanta per cento degli operatori sanitari ha assistito o subìto un’aggressione; addirittura il dato arriva al novanta per cento quando parliamo di personale di sesso femminile. L’analisi è emersa dopo l’ultimo episodio avvenuto al pronto soccorso dell’ospedale Galliera nella serata di domenica, quando un’infermiera è stata aggredita da una giovane paziente, che ha poi colpito anche due colleghi intervenuti per cercare di difenderla. 

“La ragazza si è presentata autonomamente al pronto soccorso, lamentando un dolore a una caviglia - racconta la protagonista dell’aggressione -. L’ho fatta entrare, abbiamo iniziato le procedure del triage senza alcun problema. Dopo aver raccolto le prime informazioni mi sono allontanata, e passati pochi minuti sono tornata insieme al medico per visitarla, ma la donna ha cambiato atteggiamento rapidamente: è andata su tutte le furie, mi ha preso per il collo strappandomi due collane, poi ha cominciato a darmi calci e pugni. Ero il bersaglio più facile perché ero esattamente davanti a lei. A un certo punto sono proprio volata a terra per colpa di un calcio più forte, e a quel punto è arrivato in mio soccorso un collega, anche lui però preso a calci da questa donna che era fuori di sé. Solo con l’intervento di un terzo collega siamo riusciti a fermarla”. 

Da sei anni l’infermiera protagonista della vicenda presta servizio al pronto soccorso, ma è dal 2006 che lavora all’interno dello stesso ospedale: “Prima ero in un altro reparto, poi ho proprio voluto proseguire la mia carriera al pronto soccorso perché era il percorso più bello che potessi fare, e non ho alcuna intenzione di mollare. Tanti mi chiedono chi me lo fa fare, ma è una domanda che trovo destabilizzante: non è questo il punto. Il punto è che deve essere garantita la sicurezza. Purtroppo, e dico purtroppo non a caso, sono felicissima del mio lavoro, non sono una persona che si lascia intimidire da questi episodi e non ho mai pensato che essendo pericoloso avrei smesso di lavorare qui”.  

Dalle sue parole traspare la passione e l’impegno con cui, quotidianamente, svolge il proprio mestiere, rivolgendo sempre un pensiero anche ai pazienti: “In questi momenti anche loro sono a rischio. Domenica una persona anziana con il naso rotto ha chiamato a casa per farsi venire a prendere perché aveva paura di rimanere lì. La situazione si è calmata grazie all’arrivo dei carabinieri, che sono sempre gentilissimi con noi e ci fanno spesso tirare un sospiro di sollievo, ma mentre eravamo in attesa ci siamo anche preoccupati per gli accompagnatori e i pazienti in coda per essere visitati”. 

La soluzione, secondo la lavoratrice, sarebbe semplice: “Dovrebbe esserci un presidio fisso di polizia, perché vedere una divisa è già un deterrente di per sé. Noi adesso abbiamo un posto di polizia per dodici ore al giorno, dalle 7 alle 19, ma si tratta di un agente che non ha effettivamente il compito di presidiare il pronto soccorso ma che si occupa delle pratiche che nascono qui, come per esempio quelle legate agli incidenti stradali. Se viene chiamato ha il dovere di intervenire, ma deve comunque chiedere l’intervento di una pattuglia esterna. In ogni locale abbiamo installato dei pulsanti contro le aggressioni, basta premerne uno e scatta l’allarme in tutta la struttura: se sul posto ci fossero sempre agenti pronti a intervenire sarebbe garantito un immediato intervento”. 

In passato era proprio così che veniva gestita la sicurezza all’interno del pronto soccorso: “Fino al 2003 il presidio era fisso e nessuno ha mai pestato nessuno. Oggi l’aggressione verbale è considerata normale, ma non può succedere lo stesso con quella fisica: va fermata, altrimenti si darà il via allo step successivo, l’aggressione armata. In questi anni poi la situazione è ancora peggiorata: prima del Covid c’erano tanti accessi immotivati, poi nel pieno della pandemia le persone erano terrorizzate e non venivano più se non per casi veramente gravi e urgenti. Ora che siamo tornati alla normalità, superato il momento terribile, gli accessi sono tornati normali ma ora le persone sono molto più aggressive. Anche le più insospettabili sono capaci di aggredirti se non rispondi loro immediatamente. Sembra che abbiano bisogno di farti vedere la loro rabbia: non so se l’utilizzo della minaccia sia diventata un fenomeno sociale, pensando che possa agevolare in qualche modo per ottenere risultati, o se succede solo da noi”. 

Nel corso della sua carriera, l’infermiera ha assistito ed è stata protagonista di numerosi episodi di violenza verbale e fisica, anche se spesso passano inosservati: soprattutto quando si tratta di spintoni o insulti e minacce tanti colleghi preferiscono non sporgere denuncia. “Sono stata aggredita verbalmente moltissime volte, mentre una volta un ragazzo minorenne mi ha rotto un dito. Eppure dopo quest’ultimo evento ho pensato veramente che ci fosse bisogno di fare qualcosa: se avesse avuto un coltello mi avrebbe letteralmente fatta fuori. Ho avuto davvero una brutta sensazione: siamo una squadra di persone pronte, non siamo mai completamente soli durante il lavoro, ci impegniamo tanto. Ma questa situazione deve finire. Non potrei mai cambiare reparto, ma nessuno deve avere paura”. 

In queste ore tante sono le voci che si sono levate per chiedere soluzioni immediate: Uil Fpl  Liguria e la Uil Fpl Genova hanno formalmente richiesto a istituzioni e direzioni aziendali di “affrontare seriamente e concretamente la problematica, attivando tutti quei provvedimenti utili a contrastare gli episodi, come il ripristino dei posti di polizia o il continuo presidio nei luoghi più a rischio anche attraverso l'utilizzo ventiquattro ore su ventiquattro di personale adeguatamente formato e autorizzato ad intervenire”.  

Chiara Orsetti

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