Attualità - 04 marzo 2024, 08:00

Sciamadde di ieri e di oggi - La Sciamadda di Via Ravecca: quella magia che si ripete sin dal 1874

È una delle attività più antiche della città. Esattamente da cento anni è condotta dalla famiglia Sturla: nel quartiere è ancora indimenticabile la signora Lilli, che sfamava con la farinata tutti i bambini della zona

Sciamadde di ieri e di oggi - La Sciamadda di Via Ravecca: quella magia che si ripete sin dal 1874

Prosegue questo lunedì, e andrà avanti per tutti i lunedì successivi, un servizio seriale de ‘La Voce di Genova’ che abbiamo chiamato Sciamadde di ieri e di oggi. È dedicato a quelle botteghe tipiche dove si porta avanti la tradizione della cucina genovese: di ieri perché hanno ancora la sciamadda, ovvero la fiammata del forno a legna (qui la storia); di oggi perché hanno strumenti un filo più moderni ma la stessa passione e lo stesso rigore nella preparazione delle ricette. Ve le racconteremo da Ponente a Levante, passando ovviamente per il centro storico. In un panorama commerciale dove queste botteghe sono sempre più in via destinzione, ci è parsa cosa buona e giusta tenere alta la bandiera della genovesità. Buona lettura e buon appetito.

Certi giorni più di altri, passeggiare per via Ravecca evoca ricordi d’infanzia, racconti tramandati da anziani parenti o vicini di casa con i capelli bianchi, immagini che riaffiorano alla mente come piccoli pezzi di quella memoria collettiva di cui ciascuno è portatore e difensore.

Certi giorni più di altri, attraversare le torri di Porta Soprana e imboccare la strada tra le più antiche della città, porta dritti dritti davanti al bancone della Sciamadda.

Il piccolo locale racconta di una storia iniziata nel 1874 all’interno di un edificio che sembra possa risalire all’XI secolo.

“La storia di questo locale parte nell’Ottocento - racconta Simone mentre controlla il testo della farinata in forno - Inizialmente, il locale era in legno, con banchi messi su cavalletti. Nel 1924 lo ha rilevato la famiglia Sturla, che lo porta avanti ancora oggi. Negli anni Sessanta sono stati fatti alcuni lavori di restyling e diversi adeguamenti ma il forno che ancora accendiamo è lo stesso”.

Simone, che con Ania porta avanti la tradizione centenaria della sciamadda, ancora oggi prepara le prelibatezze della gastronomia genovese seguendo le ricette originali che gli sono state tramandate.

Così, farinate, torte salate, ripieni e frittelle di baccalà, ma l’elenco sarebbe ancora lungo, incrociano la storia di ciascuno noi mantenendo intatto quel saper fare ricevuto in dote. 

“Gestiamo il locale da vent’anni. Prima, a parte una breve parentesi negli anni Duemila, c’è sempre stata Liliana, la mia prozia, e prima di lei la sua famiglia”.

Liliana, fino all’ultimo, ha dedicato la sua vita alla sciamadda. Per chi è nato nel quartiere tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta è impossibile non ricordarla in piedi sullo scalino di marmo, poggiata allo stipite della porta in alluminio che ancora oggi segna l’ingresso nel locale, pronta a regalare ai bambini del quartiere un triangolino di quella mistura di farina di ceci e olio che, quasi fosse stata una magia, diventava qualcosa di buonissimo pronto per essere gustato.

Per tutti, sentir chiamare sciamadda tra via del Colle, piazza Sarzano e vico del Dragone voleva dire chiamare ‘la Lilli’ e, ancora oggi, per tanti la parola sciamadda fa tornare alla mente il suo volto sorridente e il suo immancabile grembiule.

“Portiamo avanti la tradizione e per noi è importante rivolgerci agli autoctoni - spiega ancora Simone - Io sono nato qua, la mia famiglia è nata qua e mi rivolgo alla gente di qua. Tutti sono ben accetti, sia chiaro, ma a chi non è del posto è necessario far conoscere le peculiarità della nostra tradizione gastronomica, che apprezzano”.

“La nostra filosofia personale ci porta ad apprezzare particolarmente i viaggiatori, gli eredi di quel Grand Tour settecentesco che visitavano i luoghi per conoscerli e scoprirne usi e costumi, non i turisti in senso stretto che siamo abituati a vedere noi oggi. Ci piacciono i viaggiatori che vengono per conoscere, che fanno un viaggio con un lascito culturale”.

Nonostante le ricette tramandate e la lunga attività dietro al banco, per Simone e per Ania ogni giorno c’è sempre qualcosa da imparare. “Capita che mi dica ‘che belina che sono, avessi fatto così avrei fatto prima e meglio’ ma questo mestiere non ha segreti, solo accorgimenti portati dall’esperienza”. Su una cosa però non si transige: “Serve la buona materia prima. Per esempio, serve l’olio adatto che, sì, è buono, ma che ha il sapore giusto per il prodotto. L’unica farina di ceci per fare la farinata è quella macinata a Pegli, altrimenti certo, viene buona, ma non è la farinata della tradizione”.

Isabella Rizzitano

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