Prosegue questo lunedì, e andrà avanti per tutti i lunedì successivi, un servizio seriale de ‘La Voce di Genova’ che abbiamo chiamato ‘Sciamadde di ieri e di oggi’. È dedicato a quelle botteghe tipiche dove si porta avanti la tradizione della cucina genovese: di ieri perché hanno ancora la ‘sciamadda’, ovvero la fiammata del forno a legna (qui la storia); di oggi perché hanno strumenti un filo più moderni ma la stessa passione e lo stesso rigore nella preparazione delle ricette. Ve le racconteremo da Ponente a Levante, passando ovviamente per il centro storico. In un panorama commerciale dove queste botteghe sono sempre più in via d’estinzione, ci è parsa cosa buona e giusta tenere alta la bandiera della genovesità. Buona lettura e buon appetito.
La serranda in tarda mattinata è ancora abbassata, l’orario di apertura è fissato per le 12.10 ma c’è chi, diligentemente, si mette in coda e aspetta di poter entrare per portarsi via qualche ripieno o un po’ di farinata.
Scene che non hanno nulla di strano per chi frequenta via di Santa Zita, dove, dal 1986, si trova ‘Farinata Santa Zita’, una delle sciamadde più apprezzate di Genova.
Non solo farinata, perché la cucina di Mirella Spano, storica titolare dell’attività, del figlio Arcangelo D’Agostino e dei nipoti tutti è da oltre trentacinque anni un vero e proprio riferimento di quartiere per la gastronomia tipica genovese.
La storia dell’attività familiare, però, inizia nel centro storico come ricorda Arcangelo: “Fino al 1986 abbiamo avuto un’attività in vico Dietro il coro delle Vigne, poi ci siamo spostati e abbiamo aperto qua dove ci troviamo ancora oggi”.
Entrando sembra di fare un salto indietro nel tempo: il bancone su cui sono sistemati i testi e le teglie, colmi di ogni ben di Dio tutto preparato ‘rigorosamente come a casa’; i tavoli stretti, poco più avanti, con le sedie di paglia; le caraffe col vino rosso che svettano sulle tovagliette. Tutto è capace di catturare l’attenzione mentre lo sguardo vaga curioso da un dettaglio all’altro.
In una cornice, ritagli di giornali italiani e di stampa estera che raccontano l’attività sono esposti come premi alla fatica di (quasi) tre generazioni.
“Gli arredi sono del 1952”, racconta il figlio della titolare, con una punta di malcelato orgoglio, riflesso dell’amore che quotidianamente mette nel suo lavoro.
“Quando è mancato mio padre - prosegue Arcangelo - abbiamo continuato io e mia mamma. Ora ci sono anche i miei figli. Siamo in cinque a lavorare qui”.
Ogni giorno la cucina del locale al civico 35 si anima di profumi e pietanze di ogni tipo arrivano in tavola: pasta e fagioli, pansoti in salsa di noci, acciughe fritte, trippe in umido e tanto altro, pronti per essere serviti a chi si accomoda nella saletta o in veranda, incurante delle basse temperature.
Ma qual è il segreto per fare bene la farinata?
Arcangelo non ha dubbi: “Bisogna dedicare tempo, come in tutte le cose. Io ogni mattina inizio alle 6.00 e so che servirà tempo per fare tutto. Certo, serve anche avere il forno giusto, la farina giusta e l’olio giusto, bisogna saper mettere tutto insieme. Sono tante piccole cose che, messe insieme, fanno un buon prodotto”.
Così, tra polpettone e baccalà, torte di bietole e cipolle, mentre i clienti al bancone si susseguono senza sosta e il via vai trai i tavoli si infittisce, Arcangelo sorride mentre affonda il coltello in un testo di farinata: “Mi piacciono tutte le torte genovesi, ma la mia preferita è la torta di riso”.
C’é poco da fare, queste realtà dal sapore familiare che portano avanti la tradizione gastronomica sono, oggi più che mai, vere boccate d’ossigeno e chi ci lavora, con fatica e dedizione come Arcangelo e la sua famiglia, è capace di quei piccoli gesti di attenzione, di saluti e cortesie, spesso quasi nascoste, che sono il vero motore della vita.