Attualità - 11 dicembre 2023, 17:35

Aldo Moro, la figlia Agnese incontra gli studenti genovesi: “Gli assassini di mio padre? Persone a cui voglio profondamente bene”

Riflessioni sull’eredità paterna e sull'educazione civica: “La politica è la cura del mondo ma per me è un cruccio”

Aldo Moro, la figlia Agnese incontra gli studenti genovesi: “Gli assassini di mio padre? Persone a cui voglio profondamente bene”

In un confronto stimolante, Agnese Moro ha coinvolto 200 studenti provenienti da scuole superiori liguri, approfondendo la memoria del padre Aldo Moro e l'importanza dell'educazione civica. Il dialogo, lontano da una tradizionale conferenza, si è incentrato su discussioni franche suscitate da fotografie personali dello statista.

Rivolgendosi agli studenti, Agnese Moro ha sottolineato l'essenza della politica come "cura del mondo", riflettendo la prospettiva del padre. Tuttavia, ha riconosciuto il disincanto della sua generazione verso la politica, esortando la generazione più giovane a non ripetere l'errore di abbandonare l'impegno politico.

ALCUNE DOMANDE DEI RAGAZZI

Suo padre è stato un grande esponente politico. Che cosa rappresenta per lui la politica e cosa rappresenta per lei oggi?

“Una volta ho letto in una sala ‘la politica è la cura del mondo’, credo che sia esattamente questo che lui vedeva. Prendersi cura del mondo, delle persone, prendersi cura. Per me è un grande problema la politica perché la mia generazione ha creduto tantissimo nella politica, ha pagato anche un prezzo al modo con cui ha creduto nella politica. Una generazione che poi è rimasta delusa dalla politica forse perché c’erano tante speranza.

Non siamo stati capaci a capire che c’era una speranza di un mondo buono nella generazione prima di noi, abbiamo pensato che la nostra fosse diversa dalla loro e non abbiamo visto nella politica che ci veniva proposta lo spazio dove quelle cose potessero diventare vere. Per me è un cruccio la politica.

Come generazione abbiamo fatto tantissime cose: tutto quello che oggi noi chiamiamo società civile viene dal nostro lavoro però la politica noi l’abbiamo abbandonata e oggi ci lamentiamo di non avere persone che siano all’altezza. 

Voi potreste non fare lo stesso errore e interessarvi della politica raccogliendo queste speranze perché credo sempre che la politica sia la cura del mondo”.

Come ha vissuto il periodo del rapimento di suo padre anche in relazione alla linea della fermezza che lo Stato ha deciso di mantenere?

“È stata una linea molto strana perché contraddice quelle che sono le basi della nostra Costituzione. Le motivazione per cui si disse che non era possibile trattare per la vita di papà erano che questo avrebbe offeso la dignità dello Stato: siamo tornati esattamente nel mondo precedente alla nostra Costituzione dove lo Stato è tutto e le persone non sono niente mentre nel mondo della nostra Costituzione ogni persona è preziosa e quindi noi lottiamo per la vita di ogni persona”.

Si parla spesso di perdono, ai familiari delle vittime spesso si chiede se hanno perdonato gli assassini dei loro cari, lei e la sua famiglia siete riusciti in questo?

“La parola perdono la trovo molto scivolosa, difficile. Presuppone che ci sia qualcuno buono che perdona qualcuno cattivo. Per quanto abbia letto centinaia di pagine sul perdono, sinceramente non saprei rispondere. Parlo solo per me stessa, ho fatto un lungo percorso di giustizia ripartiva nel quale si incontravano persone che erano state vittime della lotta armata e persone che la lotta armata l’avevano fatta tra cui alcuni protagonisti importanti del caso di mio padre. È stato un lavoro molto difficile ma molto utile che ti fa sostituire ai fantasmi che abbiamo nella testa delle persone in carne e ossa. Persone che hanno fatto cose terribili, irreparabili. Queste persone non so se le ho perdonate, quello che posso dire è che sono persone che amo profondamente perché hanno avuto la generosità, dopo essersi fatti decine di anni di galera, di rimettersi in gioco e venire in un posto dove hanno dovuto incontrare me e altri come me. È un atto di grandissima generosità. Non mi devono nulla: sono stati condannati e hanno scontato le loro pene eppure sono venute lì. Nel dialogo che si crea qualcosa loro rimane in noi e viceversa. 

Sono 14 anni che ormai viviamo con questo nuovo modo di guardarci. Credo siamo molto ingiusto metto un microfono sotto la bocca di qualcuno che ha appena perso in maniera tragica qualcuno e chiedergli se ha perdonato l’assassino. Nessuno ha il diritto di fare questa domanda”.

Vivere il tempo con tutte le sue difficoltà è una delle lezioni di Aldo Moro, forse oggi più che mai da attuare soprattutto da parte di noi giovani ma come possiamo ritrovare quel coraggio, quella fiducia necessari?

“Voi giovani avete una ricchezza interiore, una capacità di guardare alle cose, una vicinanza gli uni con gli altri bellissima. Forse dovete riuscire a guardarvi. Una delle cose brutte che noi vi facciamo è che non vi ascoltiamo mai, non c’è alcun posto in cui vi possiamo ascoltare. Forse la scuola potrebbe essere uno di quei luoghi di ascolto. Non so come si possa rompere questa nostra difficoltà, io desidererei tanto un luogo dove potervi ascoltare per ore”.

Qual è il più importante insegnamento che le ha trasmesso suo padre?

“Mio padre è pieno di insegnamenti silenziosi perché lui ti teneva vicino ma è difficile ricordare una predica sua. Quello che mi piace tanto di lui è la sua capacità di sentirsi vicino alle persone, di vederle, di provare tenerezza, di non vergognarsi dei sentimenti. 

Non gli ho mai sentito dire qualcosa di irrispettoso verso qualcuno, questo per me è un grandissimo insegnamento”.

Ce cosa vorrebbe trasmettere alla nostra generazione riguardo alla memoria di suo padre e alla lotta per la giustizia?

“Mi piacerebbe che voi aveste idea che prima di voi ci sono state delle cose buone, c’è stato uno sforzo buono per fare di questo paese un paese bello. A volte ho l’impressione che voi abbiate l’idea di essere cresciuti sul nulla, cioè che dietro non c’è niente di buono. No, questo è un paese in cui tante persone hanno fatto tanto”.

Lei ritiene che questa vicenda abbia cambiato la vita politica del nostro paese? Se sì, in che modo?

“Sì, più che la vita politica ha cambiato la cultura politica. Il fatto che si sia accettato di sacrificare una persona a questa entità astratta che è lo Stato, un po’ è rimasta perché noi siamo diventi delle persone che guardano la storia di questa Repubblica, anziché essere i protagonisti. Negare di trattare significa anche dire che la politica non serve a niente, le parole non servono a niente, quando c’è un problema serio devono entrare in gioco altre cose e questo è rimasto nella nostra politica, soprattutto nella nostra politica estera che ha depotenziato l’aspetto della diplomazia. La diplomazia è fatta di parole, la politica è fatta di parole, di dialogo, di scambio di idee. Appena si dice che le parole non servono si nega qualsiasi importanza della politica”.

Marco Garibaldi

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