27 novembre 1910.
La folla si assiepa sulla collina di San Giuliano. Gli occhi pronti a scrutare il cielo, un brusio fatto di parole bisbigliate tra i presenti che aspettano di vedere l’aeroplano alzarsi da terra.
Poco distante, al campo di volo, Ciro Cirri sta ricontrollando il suo aeroplano, un Bleriot con un motore da 50 cavalli che lui stesso ha costruito in uno scantinato di via Ravecca: rifornimento con olio e benzina fatto, ultime verifiche completate. Si può decollare.
Cirri sale sul velivolo con la sua scimmietta portafortuna, accende il motore e parte. Sono le 15.00 e la gente, dai fianchi della collina di Albaro, lascia partire un lungo applauso. L’aviatore saluta con la mano, compie due giri poi torna verso terra, sorvola la collina, a circa trecento metri d’altezza, ritorna verso il mare aperto per poi puntare al luogo partenza.
L’atterraggio, però, è brusco, il velivolo si rovescia su un fianco, l’ala destra striscia e alcune stecche si spezzano ma Cirri è salvo.
Il primo volo compiuto da un aviatore genovese è appena terminato con successo.
Pochi conoscono la storia di Ciro Cirri, romano, ma genovese d’adozione, tra i pionieri del volo in Italia.
Appassionato di meccanica ed esperto in navale, Cirri fu il primo tassista di Genova e fondatore di una compagnia, lasciata poi a un socio.
Il suo nome, però, si lega all’aviazione. Folgorato dal ‘miracolo’ dei fratelli Wright, Ciro si costruisce il primo aereo e ottiene il brevetto di volo all’aeroporto di Cameri, nel settembre del 1910.
Qualche mese più tardi, la compagnia di navigazione ‘La Veloce’ gli regala un aereo, un Bleriot con cui potersi esibire.
L’anno dopo Cirri è invitato a Voghera per un sorvolo dimostrativo ma proprio mentre si sta librando in cielo, il suo velivolo prende fuoco e precipita. Soccorso, Cirri muore qualche ora dopo all’ospedale di Novara, ad appena trentatré anni, lasciando una moglie e cinque figli piccoli.
Tutto l’incasso della manifestazione, oltre ottomila lire, viene donato alla vedova a cui era toccata la triste sorte di assistere alla tragedia.
Tornata a Genova, la vedova Cirri si rimbocca le maniche per provvedere ai figlioletti: allestisce un banchetto all’aperto in via Ravecca e vende banane e lumache, ma diventando, per tutti ‘la vedova del meccanico che volava’.