Se ne incontrano poche oggigiorno, ma ancora diverse sono rimaste a testimoniare l’antica usanza di riempire gli angoli dei portoni d’ingresso o di alcuni vicoli particolarmente stretti o bui per evitare che venissero usati come orinatoi.
Sono le pietre dette ‘igieniche’, ossia quei conci di marmo, pietra o grate sporgenti, che evitavano che qualche ubriaco, uscito dalle locande, potesse usare le rientranze dei palazzi o delle strade per i propri bisogni.
Usciti dai locali con qualche bicchiere di troppo, spesso gli avventori usavano gli angoli, magari un po’ nascosti, per alleggerire le proprie vesciche.
Oltre all’odore, il rischio era anche quello del diffondersi di malattie. Da lì l’idea: installare dei ‘dissuasori’ per far si che non si potessero più usare gli angoli come vespasiani e chi, impavido, ha deciso di infischiarsene si è ritrovato con le braghe zuppe.
Queste pietre avevano anche una seconda funzione, evitare che qualche malintenzionato si nascondesse negli angoli bui per compiere agguati o sfuggire ai gendarmi.
Questo sistema non era in voga solo a Genova.
Si hanno notizie certe di quelle che venivano chiamate ‘gobbe antibandito’ a Venezia: pietra d’Istria o ferro battuto mettevano al sicuro gli angoli e la popolazione; il doppio ruolo, nella città della Laguna, è valso loro l’appellativo di ‘pissabraghe’.
Esempi se ne trovano anche a Bologna, Cagliari e in tanti altri centri storici d’Italia.
Oggi qualche esempio si può ancora scovare: si tratta per lo più di manufatti facilmente rimovibili, in materiali come alluminio o plastica, che con il principio della forma del piano inclinato che ricorda una porzione di cono, fanno si che gli angoli non diventino accumuli di urina.
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