Ci siamo mai chiesti perché la nostra società o noi stessi per primi, tendiamo a creare dei gruppi?
Partiamo dal principio: veniamo al mondo davanti a un gruppo di sconosciuti come il medico, l'ostetrica, l'infermiere; poi i bambini da più grandi vengono portati all’asilo, ai giardinetti. Le scuole sono fatte di gruppi. Il catechismo, gli scout, lo sport, piuttosto che da grandi, i cinema e i teatri, o i gruppi di lavoro. Siamo da sempre e del tutto immersi nel gruppo. Persino quando andiamo al ristorante, se ci pensiamo, siamo insieme ad altri sconosciuti a mangiare, e ci si sente anche invasi alle volte, dai gruppi.
Ma perché abbiamo bisogno di tanta gente, di tanto rumore?
Perché il gruppo tiene insieme, sostiene. Ma ancora di più concede di esprimere tante caratteristiche diverse delle persone. C’è sempre quello arrabbiato, il timido, l’impacciato, il restio. Queste caratteristiche degli altri risultano essere fuori da noi, ma in realtà, ne fanno parte. Il gruppo infatti amplifica, il gruppo dà esistenza, offre vita e forma ad alcuni pezzi o parti nostre, caratteristiche che attraverso gli altri guardiamo e osserviamo da fuori, ma che ci teniamo dopotutto vicine. Gli altri servono dunque a esprimere quello che noi, di noi stessi, non riusciamo a tirare fuori, a mettere in evidenza.
Il gruppo stimola, il gruppo crea. Se ci succede qualcosa facciamo riferimento alle persone che ci stanno attorno e ci stanno vicine, spesso più di una, perché il gruppo fa nascere pensieri che noi da soli non avremmo avuto, ci aiuta a trovare strategie alle quali non avremmo pensato.
La società usa i gruppi perché gli altri sono una possibilità di distruggere le nostre certezze e di ricrearne di nuove: il gruppo non ci fa sentire soli. Ogni persona è uno specchio di noi stessi o può esserlo, ogni gruppo siamo noi amplificati, ampliati, più vasti.
Diamo voce agli altri, diamo voce a tutte le nostre parti attraverso gli altri, coltiviamo noi stessi con il gruppo.