Mentre da giorni si parla della riapertura dei centri estivi in Liguria, tra distanziamento sociale e vaucher per le famiglie, arriva il grido d’allarme da parte di nidi e scuole dell’infanzia privati che, invece, non sembra potranno riaprire, neanche dopo le proteste di piazza delle scorse settimane, a Genova come in altre città.
Per questo Rossella Nocenti ha fondato unitaMente – Associazione Nidi Scuole Infanzia Servizi Infanzia 0/6 privati, nata nel capoluogo ligure lo scorso primo aprile, ma che conta, a livello nazionale, quasi 1300 iscritti tra gestori e titolari delle strutture. “Tutto ha avuto inizio da una videocall, e oggi siamo moltissimi, comprese anche le cooperative, per dare voce a nidi e servizi educativi – spiega Maria Teresa Guerrisi del direttivo - ma con una partecipazione attiva anche da parte delle famiglie”.
Tanto che sono stati finora in 8 mila a sottoscrivere la petizione (clicca QUI) per chiedere al Governo un sostegno concreto, che permetta a queste strutture, che sono una risorsa sociale, di sopravvivere. Infatti “solo a Genova il 60% dei servizi educativi, specialmente per quanto riguarda la fascia d’età 0-3 anni, è fornita da privati – continua Guerrisi –: se saremo costretti a chiudere, da settembre il Comune come potrà fare fronte a tutte le richieste delle famiglie senza i posti adatti né le risorse sufficienti?”.
Perché il rischio non si limita ai mesi estivi, durante i quali i genitori possono anche cercare soluzioni alternative – come già le stanno cercando in molti, tanto che unitaMente sta facendo un sondaggio a riguardo –, ma il problema riguarderà l’organizzazione autunnale, in quanto le strutture, che sono chiuse per il coronavirus dal 24 febbraio scorso, potrebbero non riaprire proprio.
E le ragioni dipendono dalle spese cui non riescono a fare fronte, perché si tratta di professionisti con partita Iva, per la maggior parte donne, imprenditrici ed educatrici, che hanno dipendenti a contratto: “Se le linee guida impongono di dimezzare il numero dei bambini nei nidi e nelle scuole dell’infanzia, non possiamo pagare gli educatori, che sono mediamente quattro o cinque in ogni struttura: circa 7 mila euro al mese tra stipendi e contributi”.
A questo, poi, si aggiunge il fatto che domani scadrà la cassa integrazione in deroga: “Come si possono licenziare persone con cui si lavora insieme, gomito a gomito, da anni, e con cui si è creata una vera e propria sorellanza?”, domanda, sinceramente preoccupata e accorata l’educatrice, che continua: “Facciamo un servizio di pubblica utilità, perché sopperiamo alle carenze del pubblico, ma senza le agevolazioni, perché siamo imprese, e così, dopo aver investito tutto in queste strutture e nella nostra formazione, abbiamo ricevuto solo i 600 euro d’indennizzo”. E dovendo continuare a pagare l’affitto dei locali in cui lavorano, che generalmente sono appartamenti “senza agevolazioni catastali e con una spesa di circa 2500 euro al mese”.
Senza dimenticare, infine, che – e questo non è un aspetto meno importante di quelli indicati finora – per i bambini più piccoli, specialmente quelli che hanno dagli zero ai 3 anni, il contatto fisico è fondamentale: “Non ci può essere distanziamento. Inoltre i bambini non vedono gli educatori e l’asilo da mesi: come organizzi l’ambientamento? E poi non siamo intrattenitori, non facciamo la baby dance, creiamo progetti, ci formiamo, siamo professionali perché sappiamo rispondere alle esigenze del bambino e delle famiglie, che in questo periodo abbiamo sostenuto emotivamente, stando per ore al telefono con loro”.
Famiglie che, tra l’altro, sembrano avere difficoltà ad accedere ai vaucher per i centri estivi: “Nessuna di quelle che conosco io ci è riuscita, in quanto è richiesto che entrambi i genitori lavorino ma con un Isee che non superi i 7 mila euro all'anno. Come si fa?”.