Domani, martedì 12 maggio, si celebra la Giornata Internazionale dell’Infermiere, oltre che il bicentenario della nascita di Florence Nightingale, considerata la madre degli infermieri, tanto che all’estero la ricordano come colei che ha ridotto la mortalità per malattie dei soldati nella guerra di Crimea dal 47 al 2%. Quello che, per analogia, ci si augura possa accadere nell’emergenza Covid-19.
"Gli infermieri ci sono. Lo sanno i cittadini che li riconoscono in questo periodo come unici compagni nei loro momenti di bisogno, sia dal punto di vista clinico che umano – spiega Carmelo Gagliano, presidente dell’Ordine delle Professioni Infermieristiche di Genova -. Lo sanno anche le istituzioni, che ne chiedono l’intervento nelle situazioni più gravi, rendendosi finalmente conto della carenza che la Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche ormai denuncia da anni e che l’Oms a livello mondiale ancora quantifica in almeno 6 milioni di unità. In Italia, ne occorrono 53mila, di cui gran parte sul territorio come infermieri di famiglia/comunità, per una vera assistenza a misura di cittadino".
L’ infermiere di famiglia è una figura che l’Oms ha già descritto e introdotto fin dal 2000, ma che in Italia per ora è solo ufficiale sulla carta, ma non attuata ovunque. "Per il futuro, noi infermieri chiediamo il pieno riconoscimento della centralità che l’assistenza infermieristica riveste per la presa in carico e cura dei nostri cittadini, a iniziare dalle equipe territoriali una forte presenza dell’infermieristica di famiglia e comunità che lavori accanto alla medicina generale. – Continua Gagliano -. Dove l’infermiere di famiglia/comunità c’è si registra anche la riduzione dei tempi di percorrenza sul totale delle ore di attività assistenziale, passata anche dal 33% al 20% in tre anni, con un importante recupero del tempo assistenziale da dedicare ad attività ad alta integrazione sociosanitaria".
Nelle Regioni dove il ruolo dell’infermiere di famiglia è a pieno regime, infatti, i risultati sono rilevanti, a partire da una risposta immediata e tempestiva alle esigenze della popolazione, con una riduzione del 20% degli accessi impropri nei Pronto Soccorsi, e una riduzione dei ricoveri (in quanto si agisce prima che l’evento acuto si manifesti), che porta alla riduzione del tasso di ospedalizzazione del 10% rispetto a dove è presente la normale assistenza di cure domiciliari.
Quanti infermieri di famiglia servono secondo la Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche? "Sul territorio, per rispondere ai bisogni di salute degli oltre 24 milioni di cittadini con patologie croniche o non autosufficienza, abbiamo bisogno di un infermiere ogni 500 assistiti (assistenza continua) di questo tipo, per un totale di circa 20mila infermieri di famiglia/comunità. Un numero che è desumibile anche calcolando un infermiere di famiglia e comunità ogni 3mila cittadini circa. – conclude Gagliano -. Inoltre, l’infermiere di famiglia/comunità può rappresentare una soluzione per quanto riguarda l’assistenza nelle “aree interne”: si tratta della cura di oltre un terzo del territorio italiano (le zone montane coprono il 35,2% e le isole l’1% della Penisola) e la collaborazione tra infermieri di famiglia e di comunità sul territorio, sociale e di cura, per il sostegno in quelle zone che oggi spesso sono spopolate perché prive proprio di supporti sociali e più in generale di servizi pubblici, rappresenterebbe anche uno strumento utile alla riduzione delle attuali disuguaglianze".