Proseguiamo il nostro viaggio per scoprire cosa pensano e come si stanno preparando gli chef e i ristoratori alla ripartenza dopo la chiusura per l’emergenza covid-19. Dopo la pubblicazione del documento sul futuro della ristorazione a cura dell’Associazione dei ristoranti della Tavolozza, si è aperto un interessante e vivace dibattito fra gli operatori del settore ed anche con il contributo di molti clienti.
Non sappiamo ancora quando ci sarà la ripartenza del settore della ristorazione e soprattutto non sappiamo quanti e quali cambiamenti imporranno le nuove normative. Dai tavoli distanziati ai camerieri con guanti e mascherine, dal divieto di consumare al banco all’utilizzo dei sistemi di protezione individuale anche per i clienti, tutto oggi è confuso e incerto.
Dalle catene ai ristoranti stellati, dalle trattorie alle piccole aziende familiari, tutto il settore vive con preoccupazione il futuro
Qualcuno prova la strada del servizio a domicilio; altri pensano nuovi format e nuovi modelli di ristorazione; altri ancora ripensano menù e prezzi. Tutti guardano al futuro con grande consapevolezza delle difficoltà, ma è forte la voglia di reagire con speranza e ottimismo. Tutti donne e uomini, sia giovani che con maggiore esperienza, non mostrano alcuna intenzione di cessare l’attività. Superato il disorientamento del primo momento sono oggi alla ricerca di quella soluzione o di quella idea che consenta loro di superare questa fase di difficoltà e ripartire con slancio.
Partiamo dalla provincia di Savona in particolare dal Ristorante Babette di Alassio
Fabio Bonavia
Ecco cosa ci racconta Fabio Bonavia, chef e proprietario:
“Sto vivendo con molta preoccupazione questo momento non tanto per il presente, ma per il futuro. Al momento non ci sono regole chiare e univoche su come ci dovremo comportare per poter svolgere l’attività. Ci sono solo interpretazioni personali e anticipazioni tutte da verificare. Questo clima di confusione genera solo ansie fra gli operatori del settore. Io credo che le attività, che dispongono di locali al chiuso con spazi ridotti e senza dehors saranno fortemente penalizzate. Per loro sarà difficile riaprire e riprendere l’attività. Per quanto riguarda il mio ristorante, io posso ritenermi un privilegiato. Oltre ai locali interni dispongo di un grande spazio esterno con un prato fronte mare. Il vero problema sarà scoprire se la clientela avrà ancora voglia di venire al ristorante o se sarà talmente spaventata e li diserterà ancora per lungo tempo.
Questo è il punto cruciale.
Se i clienti avranno paura ad uscire di casa e non si fideranno della sicurezza dei ristoranti, questi rimarranno vuoti. Le spese fisse saranno nuovamente in carico al ristorante e questa volta senza nessun aiuto, come la cassa integrazione. Come faremo a fare fronte alle spese di una riapertura senza clienti? Dal 16 marzo ho già avviato un servizio di consegna a domicilio ridotto e che svolgo da solo perché i dipendenti sono in cassa integrazione. È un’esperienza positiva. Mi è servita per creare un modello di servizio nuovo, per capirne le dinamiche e le problematiche. Non escludo di mantenerlo anche dopo la riapertura del settore della ristorazione, e per questo mi riservo in futuro una più attenta valutazione. Comunque per quest’anno il mio obbiettivo è semplicemente quello di riuscire a sopravvivere, pagando tutte le spese e senza licenziare nessuno dei miei dipendenti. Non sarà facile, ma se riuscirò in questa impresa, sarò felice!”
Ci spostiamo a Sanremo e precisamente al Ristorante Frantoio Currado
Luca Siragusa
Luca Siragusa patron del locale ci spiega:
“Attualmente siamo fermi e è stato un colpo duro e inaspettato. A dir la verità già a partire dall’ultima settimana di febbraio si iniziava a percepire l’arrivo di qualcosa veramente impattante: l’aumento dei contagi, l’allarmismo, che cominciava a diffondersi e il conseguente drastico calo delle prenotazioni non facevano percepire nulla di buono. Negli ultimi giorni avevo timore anche di servire i pochi commensali presenti, e cercavo di scoprirne la provenienza. Il servizio era diventato difficile, il piatto posato velocemente, ridotto il contatto con i clienti e con la pelle delle mani, che in seguito ai frequenti lavaggi, cominciava a screpolarsi.
Ma il peggio doveva ancora arrivare:
in men che non si dica ci siamo ritrovati con frigoriferi pieni, prenotazioni annullate e la paura di infettare o essere infettati. Tant’è che dopo il flop della festa della donna e la chiusura della Lombardia abbiano deciso opportunamente, in comune accordo con i dipendenti, di chiudere senza attendere il decreto di chiusura. Ora con le serrande abbassate, le spese continuano a galoppare e senza incassare e difficile poterle fronteggiare. Abbiamo pensato al delivery, ma francamente non so quanto possa risolvere il problema. Dal nostro punto di vista è più la spesa che la resa. Senza tener conto di tutte le accortezze che devono essere prese al fine di consegnare un prodotto al top sia dal punto di vista sanitario sia dal punto di vista della qualità Abbiamo voluto sperimentare questo servizio il giorno di Pasqua, ma senza successo e per questo al momento non lo prevediamo.
Tutto ciò ha cambiato profondamente la nostra vita,
ha segnato le nostre abitudini e persino condizionato le nostre convinzioni professionali. Per certo dovremo rivedere il nostro futuro business model a 360 gradi. Dai mezzi agli obiettivi: sviluppo, food and beverage cost, labor cost e così via. Per quanto riguarda il futuro, se prima con un buon forecast poteva essere prevedibile l’andamento mensile della cassa, adesso, vivremo periodi di totale incertezza legati all’emergenza e alla forte crisi economica che comporterà. Il futuro della ristorazione è difficile, ma io sono ottimista e sono più che convinto che, una volta finito tutto, ognuno di noi vorrà tornare alla quotidianità.”
Proseguiamo il nostro viaggio e andiamo al Ristorante dei Pescatori da Antonio
Sergio Verrando
Sergio Verrando lo chef ci racconta:
“Oggi mi sento abbandonato dalle istituzioni, dal sindacato e anche dai media, che in maggioranza ci indicano come “Untori Egoisti”. In trent’anni di attività ho avuto economicamente momenti difficili, forse anche più difficili, in particolare quando ho dovuto gestire situazioni personali complicate e difficili. Lavorare in un ristorante non era forse il mio progetto di vita, quello che avrei voluto fare come lavoro, ma la chiusura del ristorante mi ha fatto capire quanto oggi sia per me importante. Per questo ho attivato il servizio a domicilio, per tornare a lavorare in cucina, un impegno che mi mancava. E lo abbiamo attivato non senza difficoltà a causa delle tante normative ed i decreti, spesso in contraddizione fra loro, che generano confusione.
Il cliente si aspetta a casa la stessa qualità del ristorante.
Non siamo una gastronomia, non serviamo soltanto piatti pronti, ma una cucina di qualità. A differenza del servizio al tavolo, dove puoi catturare l’attenzione e il sorriso del cliente con sfiziosi amuse-bouche e impiattamenti speciali, nel servizio a domicilio devi rivedere le preparazioni, i tempi di cottura, il confezionamento e anche la dimensione delle porzioni, che devono essere più ricche. L’offerta presenta un assortimento inferiore, abbiamo provato la carta del piatto del giorno con prenotazione il giorno precedente, ma con risultati poco lusinghieri dal punto di vista della quantità, ma molto utile dal punto di vista della fidelizzazione della clientela locale. Ho approfittato del tempo libero per fare ordine a casa, ordinare il mio archivio e leggere. Ma soprattutto fare formazione online, sperimentare nuovi piatti e molta autoformazione, io mi considero in prevalenza un autodidatta.
Il Futuro della ristorazione è oggettivamente nero.
Per la mia struttura vedo grandi difficoltà a causa dei costi fissi e delle dimensioni cucina. Non sarà sufficiente lavorare soltanto nei giorni delle feste e dei ponti. Per resistere avremo bisogno di lavorare tutti i giorni per recuperare i due mesi di chiusura totale. Il servizio a domicilio non so se lo manterremo anche dopo. Da un lato questo servizio non compensa i mancati incassi del ristorante e dall’altro l’ospite al tavolo tollera poco i ritardi nel servizio, come succede anche con il servizio di asporto. Alla riapertura e con le limitazioni, che ci saranno imposte, come potremo recuperare la mancata presenza degli stranieri, in gran parte francesi, che rappresentava circa il 60% del nostro fatturato? Ho molti dubbi.
E poi le norme sanitarie sembrano favorire le grandi catene di ristorazione: la distanza tra le linee di produzione e pulizia, noi già le osservavamo pienamente a partire dalle norme HACCP. Ma oggi i ristoranti hanno bisogno di aiuti concreti, che oggi non vedo all’orizzonte”.
Per chiudere questa tappa risaliamo la Valle Nervia e raggiungiamo il Ristorante Colle Melosa
Pierangelo e Laura del ristorante Colle Melosa
I titolari Pierangelo e Laura ci raccontano:
“Pensiamo che appena finirà il lockdown in molte persone avranno tornerà la voglia di tornare in montagna (a piedi o in bicicletta), ci sarà un bisogno ancora maggiore di vivere a contatto con la natura. Il mondo dell’outdoor potrebbe avere una maggior attrattiva rispetto ad altri settori. Questo speriamo sia confermato dai fatti e che il tutto sia agevolato dalle prossime disposizioni. Ad esempio il permanere di una limitazione degli spostamenti da uno Stato all’altro o da una Regione all’altra, potrebbero ulteriormente incidere negativamente sulla situazione. Nella posizione geografica in cui ci troviamo, tra la Liguria e il Piemonte e sul confine Italo-francese, la possibilità di potersi spostare liberamente diventa di fondamentale importanza. La clientela locale per noi è importante, ma per rimanere in piedi abbiamo bisogno di tutti, anche dei bikers piemontesi e l’escursionisti stranieri.
Solo così potremmo provare a superare questo difficile momento.
La nostra location non consente di attivare un servizio a domicilio. Immaginiamo che dovremmo adattarci a preparare piatti da asporto, che si possano consumare sui prati accanto al nostro locale. Non sarà una soluzione gradita a tutti, ma può permettere di consumare un pasto in mezzo alla natura, rispettando le distanze e senza aspettare il proprio turno fuori dal ristorante. Una soluzione che potrebbe incontrare l’interesse delle famiglie o dei gruppi di amici. Manterremo sicuramente la nostra proposta di una cucina basata sui prodotti locali, in particolare della vallata, come i Fagioli di Pigna, l’Olio Extra Vergine, il Rossese e con preparazioni tipiche come il Gran Pistàu o i classici Ravioli alle erbe alpine. Il Territorio sarà un valore sempre più importante nel futuro della ristorazione.
Nel futuro le due filiere del comparto agroalimentare e della ristorazione saranno sempre più strette.
I nostri fornitori locali sono disperati perché in assenza di turisti, solo i Ristoranti potevano rappresentare un salvagente per restare a galla, e se salta la ristorazione salta anche la produzione agroalimentare. I piccoli produttori della nostra valle mantengono in vita culture e tradizioni dei nostri paesi, Quindi sarà fondamentale promuovere e proteggere questa identità territoriale e faremo tutto il possibile per non far morire le nostre piccole realtà e tutto ciò che ci gira intorno”.