Si parla del fenomeno “Italian sounding”, quando viene attribuito ad un prodotto la caratteristica del made in Italy, senza che sia realmente stato prodotto in Italia o da un’azienda italiana. La finalità è puramente commerciale in quanto si induce il consumatore all’acquisto.
Si tratta di quel particolare fenomeno diffuso nel mondo, in particolar modo negli Stati Uniti ma anche in Germania ed in Inghilterra, che consiste nel “dare un’immagine italiana a un prodotto agroalimentare di qualità che in realtà non è italiano”.
Più in dettaglio il “trucco” si realizza ad esempio tramite l’utilizzo sulle confezioni di beni che pur se prodotti all’estero, presentano termini e parole italiane, immagini come ad esempio la Torre di Pisa o il Colosseo, la sagoma dell’Italia o il Tricolore, espressioni e richiami espliciti alle origini italiane di un prodotto ovvero di chiari riferimenti geografici (come possono essere ad esempio le parole Tuscan, Sicilian, Apulian, Napoli, Palermo e via dicendo).
Infatti non è raro imbattersi sugli scaffali dei punti vendita all’estero in salumi, formaggi, vini, pasta, sughi pronti e tantissimi altri prodotti tipici che di italiano non includono neanche un ingrediente se non un nome goffo (italianizzato) capace di strapparci anche un sorriso.
In tal modo, i consumatori esteri vengono indotti in errore sull’origine reale di quei prodotti.
Negli anni sono state messe in atto tantissime iniziative volte a tutelare i nostri prodotti d’eccellenza, si sono attivate le Camere di Commercio, sulle etichette state riportati i riferimenti di leggi più severe; addirittura negli ultimi giorni il nuovo Ministro italiano dell’Agricoltura, Teresa Bellanova, ha parlato di blockchain per i prodotti alimentari.
Tutte le iniziative messe in campo per contrastare il “tarocco” dei prodotti tipici Made in Italy, sicuramente contribuiscono a limitare il fenomeno che rimane comunque grave e rappresenta una minaccia costante allo sviluppo dei “veri prodotti italiani” all’estero, tanto che molti imprenditori italiani del settore Food, hanno preso la decisione di tutelarsi attraverso il deposito di marchi e brevetti.
Infatti negli ultimi sei mesi del 2019, sono stati quasi 8.000 i depositi di marchi italiani all’estero; in particolare vengono tutelati soprattutto prodotti come caffè, tè, pane, pasta, gelati, miele (con oltre 2.000 marchi depositati) ; a seguire ci sono prodotti come carne, pesce, olio, uova e latticini (con 1.791 marchi pari al +5,5% rispetto allo stesso periodo del 2018) ed infine anche le bevande alcoliche (con 1.681 marchi pari a +3,4%).
Le invenzioni e i modelli di utilità sono stati circa 200 nei primi sei mesi del 2019 e riguardano soprattutto l’agricoltura, l’allevamento e la pesca, gli apparecchi per la cottura, la lavorazione delle carni e del pesce, gli alimenti conservati, il vino e le bevande alcoliche.
Milano mantiene il primato dell’innovazione nel Food con oltre 400 brevetti concessi (sui depositi fino al 2015), seguita da Bologna, Torino e Roma.
Il deposito è a cura della Camera di Commercio di Milano Monza Brianza Lodi su dati forniti dal Ministero dello Sviluppo Economico - Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (invenzioni e modelli di utilità).
In conclusione per il prossimo futuro c’è da augurarsi che attraverso i vari provvedimenti presi, prodotti come ad esempio la “Salsa pomarola” venduta in Argentina, la “Zottarella” prodotta in Germania, gli “Spagheroni” che si possono trovare sugli scaffali dei supermercati olandesi e persino, il Caccio cavalo brasiliano, in giro per il mondo , non vengano spacciati più per prodotti italiani in quanto non sono nemmeno paragonabili alle vere eccellenze Made in Italy prodotte dalle aziende del nostro bel paese.
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