Mentre la Cina annuncia al mondo la clonazione di cinque scimmiette geneticamente modificate per studiare l’insonnia umana, le Università di Genova e Pisa annunciano che il Centro 3 R, per la sperimentazione responsabile, si estende anche ai Politecnici di Torino, di Milano, e a breve anche alle Università di Brescia, Pavia e Bicocca di Milano.
Nel capoluogo ligure nel Laboratorio di Analisi e Ricerca di Fisiopatologia, LARF, Dipartimento di Medicina Sperimentale, Patologia Generale, Anna Maria Bassi e Susanna Penco svolgono da più di 30 anni ricerca esclusivamente "in vitro". La prof. Anna Maria Bassi, vincitrice nel 2013 del Lush Price per la formazione, è vice-direttrice del Centro 3 R, i cui principi coinvolgono anche i Colleghi che usano animali. L’obiettivo, infatti, è quello di promuovere la sperimentazione responsabile. 3 R, appunto, sta per Reduction (riduzione al minimo del numero di animali per la sperimentazione); Refinement (limitare la sofferenza dell’animale); Replacement (sostituzione dei modelli in-vivo con metodi sostitutivi). A spiegarci in che cosa consiste la sperimentazione con gli animali è Susanna Penco.
Il Laboratorio di Analisi e Ricerca Fisiopatologica che cosa studia in vitro?
Con Anna Maria Bassi, responsabile del laboratorio, ci occupiamo da anni di tossicità di composti chimici, testando composti su cellule di origine umana. Anche l’Oreal, per esempio, ci ha fornito campioni di sostanze da testare per la formulazione di prodotti destinati alla vendita. Nell’ambito di questa tematica le nostre ricerche sono incentrate svariati campi della Fisiopatologia per esempio svolgiamo studi in vitro sul potenziale pro- o antiossidante, antitumorale; in questi ultimi anni stiamo anche allestendo studi sul differenziamento di cellule del tessuto adiposo, prelevate da liposuzioni o interventi alle mammelle, da indurre a diventare cellule neuronali per allestire modelli in vitro per studiare composti potenzialmente tossici per le cellule nervose.
Esattamente il Centro 3R di cosa si occupa?
Il Centro, novità assoluta nel panorama accademico italiano, è un’infrastruttura che si prefigge di avviare un processo di sensibilizzazione di studenti, ricercatori e docenti alla sperimentazione responsabile e ai metodi alternativi all’uso degli animali, in ottemperanza alla direttiva UE 2010/63 sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici, recepita in Italia con il D.Lgs. 26 del 4 marzo 2014. In pratica, è una piattaforma che si occupa di formazione e di ricerca innovativa. Dopo 1 anno dalla inaugurazione, ad oggi Il Centro coinvolge oltre 200 docenti e ricercatori il cui focus è promuovere l’istituzione di corsi, nell’ambito dei curricula delle lauree; creare un’infrastruttura virtuale e ‘open’, caratterizzata dalla multidisciplinarietà delle competenze; promuovere il dibattito scientifico e culturale, offrendo un adeguato supporto alla didattica e alla ricerca in materia di benessere degli animali negli stabulari; riduzione e raffinamento di procedure sperimentali che sono ad oggi ancora considerate necessarie per assicurare il benessere dell’uomo e degli animali; promozione di metodi che possono oggi, o nel futuro, sostituire la sperimentazione animale, sia nella ricerca di base che nella ricerca applicata/traslazionale; promuovere, sviluppare e coordinare studi e ricerche nell’ambito delle 3R, anche attraverso iniziative di collaborazione interdisciplinare con altri dipartimenti e strutture universitarie, con centri di ricerca nazionali ed internazionali, con unità operative di ricerca istituite presso enti pubblici e privati;implementare e promuovere lo sviluppo e l’utilizzo di nuovi metodi integrati in vitro ed in silico nella ricerca di base e applicata alternative alla sperimentazione animale; favorire il trasferimento tecnologico verso il mondo accademico e le imprese, attraverso l’elaborazione di progetti di ricerca e sviluppo congiunti e mediante appositi contratti; favorire l’istituzione di collaborazioni anche a livello internazionale per la condivisione di conoscenze e buone pratiche relative ai principi delle 3R e per lo svolgimento di attività a livello europeo compatibili con le finalità del Centro. Le tre R descrivono i principi etici che i ricercatori dovrebbero rispettare nel momento in cui intraprendono sperimentazioni sugli animali: reduction, cioè riduzione del numero degli animali usati per uno studio specifico; refinement, cioè miglioramento dei disegni sperimentali per diminuire lo stress e la sofferenza agli animali, ma soprattutto è importante il replacement, cioè sostituzione della sperimentazione sugli animali con metodi alternativi.
Che specie di animali si usano per la sperimentazione?
In Italia soprattutto roditori, ma anche cani e scimmie. Per i farmaci spesso si usano i roditori e poi i cani. Tuttavia la maggior parte di coloro che lavorano su animali dichiara di farlo malvolentieri, con la speranza di poter usare altri metodi che non provochino dolore in esseri senzienti quali sono gli animali. Bisogna, inoltre, tener conto del fatto che le condizioni in cui versano gli animali stabulati non sono “normali”, poiché vivono in gabbie: è come se dicessimo che gli esseri umani detenuti nelle carceri vivono una vita normale come i comuni cittadini liberi. La prigionia è una condizione penalizzante, specie per animali che si muovono normalmente molto, quindi il campione non è rappresentativo della normale fisiologia. Gli animali sono infine destinati a morire dopo una vita di contenzione e dopo esser stati sottoposti ad esperimenti in cui non sempre è prevista l’anestesia. Credo che tutti vogliano superare questo limite, che è anche etico, per approdare a sistemi diversi, anche più affidabili, per arrivare all’obiettivo, che è la salute umana, perché penso che nessuno scienziato sia contento di sperimentare su un animale che soffre. Se volessimo usare una cavia più simile a noi allora dovremmo utilizzare il primate antropomorfo, quindi solo le scimmie, che sarebbe più sensato rispetto a un topo, ma costano molto di più ed eticamente, essendo la scimmia più “simpatica”, e simile a noi, ci dà un’impressione diversa. Inoltre i topi sono molto maneggevoli e piccoli, quindi stipabili facilmente. Pertanto, i motivi che spingono i ricercatori ad usare roditori piuttosto che le scimmie sono di natura pratica, economica ed etica, ma non scientifica. Occorre sottolineare, a questo punto, che ci sono problemi di credibilità, attendibilità ed affidabilità dei dati estrapolati dagli animali all’uomo. Lo stesso Ministero della Salute, in una nota del 21 settembre 2015, ha sostenuto che: «Occorre infatti che ogni principio attivo sia studiato sulla specie animale a cui è destinato, con indicazioni e posologie accuratamente sperimentate per ognuna di esse, tenuto conto dei diversi metabolismi e di conseguenza, della differente farmacodinamica e farmacocinetica». Insomma, il buon concetto della specie-specificità. Non è più ignorabile come le numerose e profonde differenze tra i diversi animali utilizzati nella sperimentazione e tra questi e gli esseri umani (che sono biologicamente animali) rendano l’estrapolazione del dato sempre più improbabile. Un semplice esempio è dato dai FANS, farmaci antinfiammatori non steroidei, che a noi fanno passare il mal di testa, mentre se somministrati ad un cane provocano la distruzione del suo fegato. Oppure, il cianuro è il cibo usuale delle proscimmie che vivono in Madagascar: noi moriremmo al primo boccone. Insomma, abbiamo metabolismi diversi come giustamente sottolinea il Ministero.
Quante cavie si possono usare per fare ricerca?
Negli stabulari si può ospitare un numero massimo di cavie, per il loro “benessere”. Ma la differenza la fa la direttiva europea 2010/63. Ci sono regole più severe rispetto al passato: per esempio il Ministero respinge i progetti in cui non viene usato un numero congruo di animali, consigliando, quindi, anche di effettuare prima studi in vitro su cellule. Uno degli obiettivi del centro infatti è creare una banca di dati e tessuti, nella stessa città, interscambiabile, in modo da utilizzare lo stesso animale per vari esperimenti, per mettere in condivisione con altri ricercatori gli organi estratti dal corpo di un animale dopo averlo soppresso, con l’obiettivo di ridurre il numero di animali usati e ottimizzare il lavoro.
Il Refinement, invece, indica la riduzione dello stress e della sofferenza degli animali: cioè?
Il Ministero, che prima del recepimento della direttiva non rigettava praticamente niente, attualmente ha un atteggiamento decisamente più severo: c'è più attenzione soprattutto alle sofferenze animali, che non devono essere sminuite da parte del ricercatore. Le sofferenze che prima della direttiva erano definite “lievi” oggi sono ritenute “gravi”. Gli animali vengono trattati certamente meglio, tanto che ci si preoccupa di come stanno in gabbia: se in condizioni disagevoli, hanno atteggiamenti perfino di automutilazione e cannibalismo a causa dell’inattività, della noia, del sovraffollamento. Attualmente le norme sono più severe, per cui bisogna rispettare il ritmo sonno-veglia degli animali e procurare giochi per il loro svago: il cosiddetto materiale d’arricchimento, che deve essere a norma. Ai ricercatori viene imposto di usarli, in modo che gli animali possano, pur nella loro prigionia, giocare e “svagarsi”. Infine, sono previsti corsi di formazione obbligatori per chi li utilizza.
Ci spieghi cosa si intende per sostituzione degli animali?
A Pisa, i nostri colleghi già hanno messo a punto sistemi che usano bioreattori (brevetto italiano) per mimare malattie come il diabete, l’obesità, le malattie metaboliche, ma anche patologie degenerative del cervello come l’ Alzheimer o lo spettro autistico, ed esistono organoidi umani (piccolissimi organi simili ai nostri) di fegato, cervello, intestino, retina, pancreas, pelle ecc. derivanti da tessuti appunto umani! Tuttavia, della sostituzione dell’animale per ora ci occupiamo in pochi in Italia perché nel nostro Paese si tratta di un campo d’applicazione un po’ snobbato, ma all’estero è invece molto sentito e sono veramente numerosi i gruppi che si occupano di questa R. Tutto nasce dalla necessità di fornire dati realmente predittivi sui rischi per la salute umana e per identificare meglio quali biomarcatori associati a una patologia possano essere identificati sia in ambito di terapie preventive che curative. Ovviamente tutto ciò non riguarda solo la medicina in ambito umano ma anche in ambito veterinario. Ciò si può raggiungere solo utilizzando cellule di origine umana o dell’animale di interesse. In questo modo si possono creare dei tessuti ricostituiti , come per esempio la cute, il tessuto respiratorio, oculare, intestinale, epatico ecc. Questi tessuti poi si possono mettere in comunicazione tra loro grazie a dei sistemi di coltura che prevedano un flusso di terreno di coltura tra i vari compartimenti. Questo è il principio della micro- e della millifluidica tecnologie, tecnologie “pioneerizzate” dai colleghi di Pisa e adesso molto utilizzate dai gruppi di ricerca internazionali. Si sta cercando di creare questi modelli partendo da un unico donatore perché l’obiettivo di noi ricercatori è la medicina personalizzata. Ogni individuo è ovviamente diverso dall’altro e, quindi, non ci si deve sorprendere quando un farmaco risulta utile ed efficace per una persona, ma dannoso e perfino letale per un’altra, anche se si tratta di soggetti che condividono non solo la specie di appartenenza ma perfino grandissima parte del DNA (come ad esempio due fratelli). Medicina personalizzata vuol dire curare la persona, non la malattia. Ne consegue, inevitabilmente, che medicina personalizzata e sperimentazione animale sono una contraddizione in termini e in fatto: la prima esclude la seconda e viceversa. Il Centro 3R considera tutte le 3 R per dare spazio a tutti, chi lavora in vivo, cioè su animali, e in vitro come noi, cercando però, attraverso la formazione e l’aggiornamento dei ricercatori, di far conoscere le nuove tecnologie e i modelli in vitro avanzati che possono e potranno sostituire l’utilizzo di animali.
In quali campi si può sostituire la cavia con metodi alternativi?
La legislatura ancora non lo consente, tanto che per disegnare un farmaco occorre per legge sperimentare sull’animale. Ma noi non siamo grossi topi pensiamo per esempio al nostro cervello che non è certo costituito da neuroni più grossi, ma da un numero maggiore di neuroni con molte connessioni, che consentono all’uomo di essere in cima alla scala evolutiva. Le specie animali sono tutte diverse, e lo sono anche i singoli individui tra loro! Con queste premesse non stupisce che oltre il 90 % dei farmaci studiati su animali non giunga sul mercato farmaceutico per noi umani (sono dati pubblicati su riviste internazionali): e del piccolo numero che rimane, il 51% viene successivamente ritirato dal commercio per effetti collaterali anche gravi non previsti usando l’animale. Insomma occorre, con le attuali tecnologie, trovare altri sistemi più efficaci, meno pericolosi ed eticamente accettabili. Pensiamo all’alimentazione, per esempio: con una tavoletta di cioccolato possiamo uccidere un cagnolino, mentre a noi fa bene. Lo stesso succede con svariati farmaci, come l’Aspirina o la Penicillina: se quest’ultima fosse stata testata sulla cavia, non sarebbe mai arrivata a noi, perché per lei è molto tossica. Altri esempi di diversità: il topo non respira dalla bocca, ma solo dal naso, quindi la tossicità di una sigaretta sul topo non ha senso studiarla in quanto richiede una modalità di esposizione forzata ed innaturale. Ancora, i ratti non sono capaci di vomitare, cosa che per noi è normale dopo aver ingerito qualcosa che ci nuoce! In definitiva, l’uso di animali è ancora necessario per alcuni aspetti (per esempio per lo studio delle sostanze biocompatibili, ci dicono i bioingegneri) mentre per la tossicologia e la farmacologia può essere sostituito da studi in vitro, che sono più affidabili, rapidi, economici e soprattutto testati su cellule umane.
Per quali patologie si potrebbe fare a meno della sperimentazione animale?
La letteratura mondiale è critica sull’uso dell’animale per quanto riguarda la farmacologia e la tossicologia, come abbiamo visto negli esempi citati. Ma anche per malattie ricreate apposta negli animali come la sclerosi multipla, la malattia di Alzheimer, il Parkinson o l’autismo, il modello è fallimentare. Occorre mettere in campo forze nuove e nuove tecnologie, ed investire anche sulla R del Replacement, in Italia come all’estero: la difficoltà sta nel cambiare, visto che la sperimentazione su animali è una pratica consolidata dall’Ottocento. Per questo ci rivolgiamo particolarmente ai giovani, ai quali i cambiamenti non sono ostici come a noi “senior”.
Cosa avviene negli altri Paesi?
Germania, Stati Uniti, Gran Bretagna e Olanda investono più denaro nell’innovazione puntando ai metodi sostitutivi. Per esempio l’Olanda entro il 2025 si è data l’obiettivo di essere leader mondiale nell’abbandono graduale delle procedure su animali. E all’estero i Centri 3 R che spingono per la sostituzione sono moltissimi e ad ogni latitudine!
Cosa pensa delle 5 scimmie nate in Cina e modificate geneticamente per diventare insonni e poi clonate? Era indispensabile?
Sinceramente sembrano esperimenti troppo forzati. Mi fa venire in mente il libro del Dr. Stefano Cagno, psichiatra: “Quando l’uomo si crede Dio”. Al di là del dimostrare che il sistema funzioni e sia attendibile, ed è già molto molto difficile, ci vorrebbe più empatia e senso di pietà per i nostri “fratelli minori”. Bisognerebbe mettersi una mano sulla coscienza e chiederci se possiamo davvero fare quello che vogliamo, tanto più che le evidenze, dai cambiamenti climatici all’inquinamento dei mari, dimostrano che natura ci si sta rivoltando contro chi la maltratta. I ricercatori hanno investito 500.000 dollari per creare 5 scimmie con cui studiare disordini di sonno nel uomo. I disturbi di sonno sono principalmente dovute a “lifestyle”, ognuno ne ha uno diverso quindi la rilevanza di studi scientifici fatti con questi animali clonati è veramente dubbioso. Avrei preferito investire quei soldi per sviluppare metodi innovativi basati su cellule staminali pluripotenti pazienti specifici modificati e non con geni “curativi”. Da notare che lo studio è stato pubblicato in una rivista di cui il “chief editor” è il senior autore della pubblicazione.