Supponiamo di possedere un’opera d’arte, magari un quadro che non vogliamo custodire in caveau, o un falso o la gigantografia del tramonto alle Hawaii, immortalato in vacanza: dove li mettiamo per valorizzarli?
In edicola e online si trovano moltissime riviste e siti web che danno consigli pratici su come arredare la casa; tutti vogliono spiegarci come posizionare i mobili se abbiamo una casa grande, piccola, al mare o in montagna, a New York o Roma, se la sogniamo in stile “easy chic” piuttosto che in quello “country”; oppure vogliono convincerci a seguire le regole del Feng Shui: perché dormire con la testa a nord ci farà stare meglio. Ma nessuno, tranne lei, almeno a Genova, ci spiega come e dove appendere un quadro o illuminare un oggetto a noi caro, per farci emozionare.
Si tratta di Giulia Grillo (giuliagrilloarchitetto.it) architetto “sartoriale” - che ti “cuce” addosso la casa come un abito d’alta moda - e autrice del libro: “L’opera d’arte nell’architettura d’interni” (Erga), che tutti possono leggere, per trarre ispirazione e cambiare arredamento attraverso oggetti artistici.
Perché hai deciso di specializzarti in un settore così di nicchia?
Sono architetto da dieci anni e da circa cinque mi sono specializzata in questo settore. Ho iniziato a occuparmene nel momento in cui mi sono resa conto che mancava una progettazione non solo degli spazi interni, ma anche della collocazione di opere d’arte all’interno di appartamenti che sono solita visitare e che mancano di quella base necessaria quando si possiedono opere d’arte, sia di valore elevato sia più economiche. In generale credo molto nell’architettura “sartoriale” anche da amante della moda intesa come arte. Come noi vestiamo i nostri abiti nella quotidianità, allo stesso modo la nostra casa deve rappresentarci, e anche farci provare comfort, come un abito. Questo è determinato, in architettura, dal corretto posizionamento degli ambienti interni, ma anche da sensazioni positive che possono essere date dai materiali, dai tessuti e dai colori, che conferiscono uno stato emozionale diverso da persona a persona. Quello che appunto faccio è “intervistare” le persone che vivranno la casa, a partire dalle cose che detestano, i colori e le forme che non sopportano, per arrivare a una progettazione che sia il più possibile mirata e su misura per quel preciso nucleo famigliare.
Esistono corsi universitari in questa materia?
All’Università di Genova no, ma direi nemmeno a Milano né in altre grandi città. A Genova l’interior design sembra ancora una materia futuristica! Al massimo si parla di mercato d’arte nelle facoltà di Lettere e Beni Culturali, ma non di collocazione dell’opera. Mancando la figura dell’interior design, manca anche quella dell’architetto che si occupa anche di collocare le opere d’arte: in realtà si tratta di un contesto molto vasto che comprende una serie di caratteristiche che ogni architetto dovrebbe possedere. È una disciplina molto vicina alla scenografia.
Esiste l’Abc che tutti dovrebbero conoscere, senza ricorrere a un interior designer, per arredare la casa con una logica che metta in risalto gli oggetti artistici?
Secondo me l’Abc non può funzionare per nessuno, anche perché l’inserimento e l’esposizione diventano una personalizzazione; inoltre ritengo che occorra un senso estetico, di proporzioni, di forme e volumi, che può avere l’architetto, ma anche una persona che non lavori nel settore. C’è alla base uno studio di forme, volumi e luci, che fa il professionista, ma che scaturisce anche da una sorta di emozione generata dall’ambiente e quindi anche da un senso di appartenenza dell’opera d’arte allo spazio.
Come si può esaltare l’opera d’arte o di design nel contesto casalingo?
L’importante è accompagnarla a elementi come tessuti, basi murarie, elementi decorativi che vanno a riprendere e richiamare anche l’opera, moderna o classica che sia. Negli appartamenti classici, per esempio, l’opera classica è sempre accompagnata, per esempio, da un bell’arazzo ed è quello che a sua volta si lega alla tipologia di tendaggi. Per questo non mi piace parlare solo di posizionamento dell’opera d’arte, ma di un contesto, come una “scenografia”, che deve andare a stimolare l’occhio di chi abita la casa e del visitatore che che vogliamo stupire, rallegrare o anche rattristare. Infatti può essere il nostro angolo di ispirazione quello in cui a volte vediamo opere dal soggetto molto triste. Ognuno ha all’interno della propria abitazione spazi cuciti su se stesso.
Cosa non si deve proprio fare, a parte non appendere un quadro storto?
Quello che io consiglio sempre, nell’ambito della ristrutturazione, è di non inserire un’opera d’arte alla fine della progettazione, e soprattutto di non comprare un quadro per riempire una parete. Il mio compito non è solo quello di posizionare un’opera, ma di andare a generare uno spazio che sia proporzionato e che accolga le funzioni del vivere quotidiano, ma che sia anche piacevole per l’occhio; quindi fin dall’inizio del progetto, creo una sorta di archivio degli elementi che inseriremo nella casa, per poi studiare, in base alle funzioni, agli spazi e alle priorità del cliente, le opere d’arte in un contesto che possa essere proporzionato e che, quindi, abbia basi, come pareti, superfici, colori e volumi, che non siano in contrasto con l’opera: questo si può fare solo quando si inizia a progettare.
Consigli per valorizzare un quadro o una foto, a prescindere dal valore economico?
Il quadro o la foto sono opere bidimensionali che vengono accolte meglio dalla parete verticale, piuttosto che appesa o posata su mobili o strutture che vanno progettate. Inoltre possono essere inseriti in ambienti differenti: il mio consiglio è di selezionare le opere cui si tiene di più per collocarle in luoghi privilegiati: per me il salone è un luogo privilegiato, cioè uno spazio ideale. Se invece desidero riservare solo per me un’opera, potrei posizionarla in un luogo intimo, per esempio nella zona notte, dove ho visto molti quadri con scene erotiche: rappresenta una zona della casa privata in tutto e per tutto.
Consigli per esporre un oggetto, come una scultura?
La scultura, oggetto tridimensionale, è ancor più protagonista della scena, quindi richiede maggiori attenzioni. Nei corridoi siamo soliti appendere i quadri alle pareti, anche se bisogna stare attenti ai punti focali, mentre le sculture solitamente in fondo ai corridoi, quindi in luoghi che vanno a catturare l’occhio per attirare l’attenzione, così da farci avvicinare per vederle meglio.
Anche un “falso” deve essere esposta come se fosse l'originale?
Sì, perché il valore che conta non è quello economico, ma quello che l’opera ha per noi.
Che sensazione deve provare una persona quando entra in casa e vede un’opera?
L’ingresso è il nostro biglietto da visita: ho letto che in cinque secondi, entrando in casa, abbiamo l’idea generale di quella che sarà l’abitazione e della personalità di chi la abita. È davvero così. Mancini nel ‘600 ha scritto un trattato dicendo che le opere d’arte con trofei di guerra vanno esposte nell’ingresso perché chi entra potrà ammirare il prestigio di chi vive lì. Secondo me il discorso è ancora molto attuale: sta solo nella persona che vive la casa scegliere l’emozione che deve essere suscitata dall’ambiente, emozione che non è data solo dall’opera d’arte, ma è anche dal contesto, dato da una somma di ciò che siamo noi.
E chi ci abita cosa deve provare di fronte a un’opera o un oggetto cui tiene?
Penso che ogni casa, arredo e opera d’arte abbiano un tempo, quindi suggerisco sempre, con i cambiamenti della vita e delle necessità, e di cambiare anche l’arredo: basti pensare a come cambiano gli spazi con la nascita di un figlio o, al contrario, la perdita di una persona. La casa deve seguire un po’ quello che noi siamo, di conseguenza anche l’arte, per cui possiamo avere un quadro paradisiaco nell’ingresso, che però a un certo punto della nostra vita potrebbe infastidirci, quindi la soluzione è sempre quella dell’intercambiabilità, cioè di cambiare la casa e l’arte in base alle nostre esperienze e necessità. Anche se si possiede un Picasso o solo un proprio ritratto. Cambiare l’arredamento significare cambiare la vita in positivo.
In base alla tipologia di casa ci sono regole diverse da seguire?
Nell’open space, per esempio, inserire quadri e arredi è sempre più difficile, perché tutto deve quadrare e seguire un filo logico ed estetico, perché il nostro occhio deve essere pronto, da una posizione, al cambiamento e alla scena successiva. Noi progettisti con cromie, cornici e passepartout dobbiamo fare in modo che l’occhio non sia disturbato, ma che faccia una sorta di passaggio graduale tra un ambiente, quindi un’opera d’arte, e un altro. Quando invece abbiamo stanze separate, si ha più libertà per il posizionamento delle opere, ma consiglio sempre di seguire un filo rosso che colleghi tutte le opere, che non deve essere la cornice dell’opera, ma che, per esempio, può essere determinato da un contrasto con la parete, o da un richiamo ai tessuti: quindi ci vuole un legame tra opera, materiali e contesto e in questo gioca molto la parete, quindi i contrasti cromatici e i materiali usati.
Lo stile della casa, classico o contemporaneo, quanto influisce sul tipo di opere d’arte da inserire nel contesto?
Il classico sul classico è un senza tempo, una certezza, come il moderno sul moderno. Ma secondo me il valore aggiunto di un ambiente che mescola antico e moderno è dato proprio dall’arte e dall’oggetto di design. Infatti quello che va di più è l’unione tra lo stile un po’ parigino con boiserie ed elementi moderni, ma anche con opere d’arte classica. È il giusto mix tra elementi più estrosi e basi architettoniche più rifinite e particolareggiate. E quello che fa molto e che valorizza l’opera d’arte, anche nelle case del nostro Centro storico, è avere la personalizzazione degli arredi con le rifiniture realizzate da artigiani, come la boiserie fatta da falegnami: c’è sempre una ricerca sull’opera d’arte che segue il filo della casa, cosa che si perde un po’ ora col minimalismo.
Qual è l’opera d’arte più preziosa che hai posizionato in casa?
La più preziosa è l’"Ultima cena" di Andy Warhol di un collezionista di Milano. A Genova mi è capitato, anni fa, di aiutare a inserire un De Chirico.
Tu vedi tante case: a Genova si nascondono molte opere d’arte?
Sì, soprattutto quando si parla di appartamenti prevalentemente classici, in cui si è pensato, in passato, a una valorizzazione delle opere attraverso carte da parati, tessuti e materiali che potessero accompagnare questi elementi. Cosa che oggi non avviene. In particolare sono case del Centro Storico, dei caruggi e in Via San Lorenzo; quando invece si finisce nella zona più residenziale di Albaro, si trovano ma è un esporre diverso, credo più per prestigio che per amore dell’arte. Molte volte mi capita di lavorare per chi veramente è amante dell’arte e chi sente il bisogno di possederla per una certezza economica futura e dimostrare qualcosa. È anche un vezzo del collezionista.
Un esempio a Genova?
All’interno di Palazzo Rosso, progettata dall’architetto Albini, c’è Casa Marcenaro, abitazione di una collezionista, che espone in modo semplice e spontaneo un appartamento che accoglie l’arte e il design; eppure si parla di anni Cinquanta, non di qualcosa di futuribile, ma forse è una materia che si trattava più una volta rispetto a oggi.