Nelle giornate del 22 e 23 Novembre nella Sala della Grida del Palazzo della Borsa, si svolgerà il 31° congresso Nazionale dell’Associazione Nazionale per la lotta all’Aids.
Perché nel 2018 è ancora importante parlare di Hiv e Aids? Perché nonostante gli enormi progressi scientifici fatti, ancora non si riesce ad arrestare l'epidemia. Infatti in Italia ogni anno sono circa 4.000 le persone che acquisiscono l’infezione da HIV e nella nostra regione circa 100 persone all’anno si rivolgono ai centri di Malattie Infettive perché scoprono l’infezione, ma come spesso accade in Italia, la diagnosi è tardiva, ovvero avviene quando le difese immunitarie del soggetto sono molto basse e non consentono il pieno recupero. E questo accade “perché in parte c’è disinformazione – spiega l’infettivologo del San Martino Antonio Di Biagio – le campagne ministeriali nel corso degli anni si sono ridotte dopo quella famosa degli anni Ottanta, 'Se lo conosci lo eviti', e quella di Lupo Alberto nei Novanta, e ora abbiamo molta difficoltà a fare passare il messaggio che la malattia esiste ancora”.
E questo è dimostrato dai dati: “calcoliamo che, solo nella provincia di Genova, almeno 300 persone, abbiano l’infezione senza saperlo, il che significa che possono infettarne altre”. E la causa principale della trasmissione è nel 99% dei casi la via sessuale e non più come accadeva un tempo, la droga, con lo scambio di siringhe infette. Tra l’altro la fascia d’età più vulnerabile è quella compresa tra i 16 ed i 25 anni. “È un problema di comunicazione: non si riesce a fare arrivare il messaggio in scuole, luoghi di lavoro, posti pubblici”.
Eppure basterebbe un test per scoprire l’infezione e arrestare l’epidemia grazie ai progressi scientifici: “Se si lavorasse su informazione e test – continua Di Biagio- si arriverebbe veramente quasi alla fine di contagio e della malattia. Infatti questo avviene in città come San Francisco, che oggi ha gli stessi casi di Genova, pur avendo milioni di abitanti in più. Ma questo è il risultato dell’implementazione dei test nei luoghi in cui le persone hanno comportamenti sessuali a rischio. Una volta facevamo le diagnosi quando le persone stavano ancora bene, grazie per esempio, ai Sert, mentre oggi invece vediamo i malati già ricoverati in ospedale, perché hanno l’Aids”. Con questo scenario è chiaro che diventa obbligatorio parlare ancora oggi di HIV, soprattutto ai più giovani, spiegando non solo l’importanza della prevenzione, ma anche la possibilità di una diagnosi precoce.
E infatti “La seconda giornata del convegno, quella del 23 novembre, vedrà la partecipazione, tra gli altri, anche di una decina di istituti superiori di Genova, Milano e Roma, che hanno partecipato a un concorso di Anlaids sulla prevenzione, video e disegni, sugli strumenti di prevenzione per l’Hiv. Insomma sarà protagonista la società civile, che parlerà e cercherà di capire dove possiamo migliorare”. Appunto il convegno, che proprio da Genova offrirà una nuova occasione di confronto agli addetti ai lavori, alle persone che vivono con l’infezione da HIV, ai media, alla società civile e alla politica, avrà lo scopo di mostrare i successi, analizzare gli errori e colmare i gap ancora presenti nella prevenzione e nella terapia di questa temibile infezione.
Se la ricerca scientifica ha raggiunto traguardi insperati, anche se ancora non definitivi, più complicato è invece stato il percorso sulle tematiche sociali. La paura del “diverso” lo stigma verso chi ha contratto una malattia contagiosa costringe molto spesso la persona con HIV a non dichiarare il proprio status e precipitare in una spirale di solitudine. “Queste persone, per esempio, non possono essere assunte in certi luoghi di lavoro, accendere un mutuo o stipulare una polizza vita – precisa l’infettivologo – Non a caso abbiamo migliaia di pazienti a Genova che vivono con l’Hiv e si curano, ma non lo dicono nemmeno al compagno o ai genitori e tanto meno vanno a fare le campagne dichiarando la proprio malattie. Infatti in Italia la sfido a trovare un personaggio pubblico che dichiari di avere l’Aids”.
E dunque si continua ad ammalarsi e infettarsi, anche perché ormai “Non si muore, non si guarisce, ma ci si può curare con una pillola. Da medico, però, ritengo che questa sia la sconfitta del sistema: dopo 35 anni dal primo caso di Hiv a oggi, che sappiamo come proteggerci, perché le persone devono rischiare di dover fare la terapia in ospedale, esami del sangue ogni tre mesi e prendere la compressa? - conclude - Bisogna scende sotto i 4 mila malati, e uscire dall’isolazionismo di questi anni, parlando di prevenzione e impedendo nuovi contagi e nuovi pazienti”.
Guarda il video della campagna contro l'Aids del 1990.