Il terrorismo è una roba enorme. La guerra civile in Siria, il destino e le scelte di tanti foreign fighters, le motivazioni per cui lasciano una vita per intraprenderne un’altra, lo scontro tra sciiti e sunniti, le logiche di potere dell’Isis e gli interessi internazionali sul Medio Oriente sono argomenti ancora più enormi. Difficile, anzi difficilissimo, spiegare tutto questo scenario agli adulti. Figuriamoci ai ragazzi delle scuole medie e superiori.
Ma c’è una brava giornalista della Rai, collaboratrice della rivista ‘Limes’ e delle testate ‘East’ e ‘Huffington Post’, che da sempre si occupa di politica e cronaca estera, ad essersi assunta questo compito e a portarlo avanti con impegno e importanti risultati.
Cecilia Tosi, autrice del libro ‘Il terrorismo spiegato ai ragazzi - Jihad? Al Qaida? Califfato? Aiutiamo i nostri giovani a capire’, sarà oggi a Genova per parlare della sua esperienza e presentare il suo lavoro, in un doppio appuntamento. Per chi volesse acquistare il libro e leggerlo, lo pubblica l’ottimo editore emiliano Imprimatur. Per tutti gli altri, si può incontrare e conoscere di persona Cecilia domani.
A Pontedecimo, presso il circolo San Luigi Gonzaga della parrocchia di San Giacomo Maggiore, conferenza pubblica, dalle ore 21, dal titolo ‘Siria: vita, sopravvivenza e giovani speranze’. L’ingresso è aperto a tutti, comprese associazioni e gruppi. Lo stesso incontro sarà anticipato al mattino alle ore 10 e rivolto agli studenti di terza media.
Insieme a Cecilia Tosi, parteciperanno l’Associazione Time For Peace Onlus, attiva nella creazione e nella fornitura di protesi ortopediche per paesi in guerra; l’Unicef; la Comunità di Sant’Egidio. Verrà descritta la realtà di chi è costretto, da anni, a vivere quotidianamente nella paura, nel dramma, in fuga dagli orrori di un conflitto.
Da dove vengono e cosa vogliono i terroristi che hanno colpito Parigi e Bruxelles? Come e quando hanno deciso di combattere? Che cos’è il Califfato e perché è stato creato? Che differenza c’è tra lo Stato islamico e al Qaida? Che cosa significa jihad? A questi e altri interrogativi, Cecilia Tosi risponde in maniera completa e pienamente documentata, trovando la giusta sintesi tra buona informazione e linguaggio comprensibile a tutti.
Dal risentimento arabo verso le potenze occidentali - che affonda le sue radici nei trattati siglati dopo la prima guerra mondiale e nella nascita della questione palestinese - all’invasione sovietica dell’Afghanistan respinta dai mujaheddin alleati degli Usa. Dalle guerre mosse dagli Stati Uniti all’Iraq alla lotta per il controllo delle risorse petrolifere in Medio Oriente fino alla secolare contrapposizione tra sciiti e sunniti. Sono tante e complesse le ragioni che hanno portato alla crescita delle organizzazioni armate che combattono in nome del fondamentalismo islamico.
Da dove nasce l’esigenza di raccontare il terrorismo ai ragazzi, con tutti gli annessi e connessi?
“Parte dal mio lavoro di giornalista, ma anche dal fatto di essere madre. Ho un figlio di quattro anni, è ancora troppo piccolo. Ma il problema me lo sono già posta. Come faremo a spiegargli che cosa succede nel mondo? E come facciamo con i ragazzi che invece sono già grandi e vanno a scuola? Sino a che età è giusto tenerli nella ‘bolla’? Arriva un momento in cui non si possono più proteggere e, a quel punto, è importante che recepiscano informazioni, notizie e spiegazioni nella maniera più corretta possibile. La scuola fa un buon lavoro in questo senso, ma spesso non è sufficiente. A me fa piacere andare a incontrare i ragazzi e i loro insegnanti. Dopo la pubblicazione del libro, mi chiamano spesso. Il passaparola sta funzionando. Spesso sono lezioni in classe. Altre volte, mi invitano gli stessi studenti in occasione delle loro assemblee scolastiche”.
C’è stato un elemento scatenante?
“Direi di sì, la strage del Bataclan a Parigi. Un attentato che ha scosso profondamente l’Europa intera e le nostre vite. Una mia amica mi ha chiesto come ne avrebbe potuto parlare alla figlia. Da lì più o meno è nato tutto. Ho cercato di spiegare in modo semplice situazioni assai complicate. Che è poi il lavoro che dovremmo sempre fare noi giornalisti”.
Nel suo libro, si racconta anche l’attività dei reclutatori.
“Ahmed è un reclutatore e addetto alla propaganda che vive a Raqqa, capitale dell’autoproclamato Stato islamico. Omar è a capo di una cellula di al Qaida nell’Africa settentrionale e dalla Libia organizza attentati come quello di Ouagadougou. Seguendo le loro storie, ci addentriamo nel fenomeno del terrorismo fondamentalista e nelle sue motivazioni geopolitiche, legate alle vicende che da trent’anni sconvolgono l’area che va dal Nordafrica fino all’Afghanistan. Le domande che faccio, anche agli adulti, sono: ce l’abbiamo il quadro preciso della situazione? Abbiamo capito chi sono queste persone che lasciano tutto per andare in Medio Oriente?”.
Una lezione d’attualità, quella che poi sarà storia un domani.
“Purtroppo a scuola la storia contemporanea non si studia per niente. Mi pare una mancanza. Io cerco di essere utile a dare elementi, a informare. I reclutatori trovano spesso terreno fertile nell’ignoranza, nella mancanza di consapevolezza, di fiducia. Ci sono molte insegnanti che preparano i loro studenti, prima degli incontri. E’ tutto importante, perché dobbiamo conoscere quello che sta succedendo, il contesto internazionale nel quale viviamo. Poi ognuno si potrà fare la propria opinione. Io sono dell’idea che l’informazione non debba avere per forza un colore. Ma è sempre giusto darla. Viviamo in un grande clima di insicurezza, gli adolescenti hanno scarsa fiducia nel tipo di notizie che vengono riferite dagli adulti. Molti ragazzi hanno un conflitto aperto con la famiglia, con la società nella quale vivono. Parecchie persone partite per la Siria erano in questa analoga situazione. Vengono convinte, se ne vanno e scelgono di combattere. Senza sapere se mai torneranno a casa”.
Agli incontri ci sono anche studenti musulmani?
“Può capitare. Io spero sempre che ve ne siano. Molto spesso, sono ragazzi molto ben integrati. Con il passare del tempo, ho capito che l’elemento religioso può anche essere marginale, nella nascita di un fondamentalismo. Sono le dinamiche di potere che generano la conflittualità. L’Isis ha sfruttato la guerra civile per conquistare a poco a poco la Siria, creando il sedicente Stato Islamico”.
Oggi di questi argomenti si parla meno.
“Sono d’accordo. E’ perché abbiamo la sensazione che tocchino meno noi stessi. I grandi flussi migratori non ci sono più. E neppure gli attentati. Ma bisogna restare all’erta. La Siria è e rimane un paese martoriato. Basti pensare che sono andate via cinque milioni di persone su ventidue totali. E, tra quelli rimasti, sei milioni sono sfollati. Questo fa capire la catastrofe umanitaria. Ora pare che le potenze internazionali interessate, Russia, Arabia e Iran, abbiano trovato un accordo rispetto alle aree di influenza. Nel frattempo, i territori un tempo in mano all’Isis sono stati quasi tutti riconquistati. Scappano meno persone, ma non è affatto finita”.
Che scenario intravede?
“Il terrorismo non è cessato. Di fatto non si ferma, in quanto non si fermano gli interessi ad esso congiunti. Semplicemente, il terrorismo si sposta. Dall’Afghanistan alla Siria, poco cambia. Dove ci sono finanziatori interessati a trarre economia dalla guerra, ecco che arrivano i terroristi. Ora parecchi foreign fighters stanno andando in paesi come Somalia e Yemen. Sono semplicemente un po’ più lontano, ma ci sono sempre. E bisogna restare all’erta”.