È un disegnatore nel vero senso della parola, un artista del racconto visivo. Perché parlare di fumettista, almeno per come si intende ancora in Italia questo genere, è riduttivo. Tanto che ha lavorato, e viene pubblicato, in Francia, dove il graphic novel è concepito come letteratura. Si tratta del genovese Andrea Ferraris (anche se attualmente vive a Torino), che ha presentato di recente, al Book Pride, la sua ultima fatica, “La Lingua del Diavolo” (Oblomov edizioni), in cui si narra, e soprattutto descrive, un evento straordinario avvenuto nel 1831: l’emersione e la scomparsa di un’isola nel Canale di Sicilia. Perché la passione per i fatti storici, attuali e del passato, è evidente nelle opere di Ferraris, che con Renato Chiocca ha pubblicato anche “La Cicatrice”, sul muro che separa gli Usa dal Messico e “Churubuscu”, sulla battaglia dei San Patricios nel 1846. Ma senza dimenticare che alle spalle ha vent’anni di lavoro per la Disney, oltre a collaborazioni con quotidiani come Il Corriere della Sera e Internazionale.
Partiamo da “La lingua del Diavolo”: a cosa ti sei ispirato?
Avevo ritagliato l’articolo di questo fatto avvenuto realmente nel 1831 da una rivista intorno al 2000 e l’avevo messo nel cassetto per farlo sedimentare. Dopo molti anni a Parigi, Silvia Davoli un amica italiana, per puro caso, mi accennò dell’isola Ferdinandea. Lo presi come un segno del destino e cominciai a lavorarci di buona lena. Rilessi “I Malavoglia”, Sciascia, il Vittorini delle “Conversazioni” e naturalmente cominciai ad accumulare foto e immagini che fossero di stimolo per il lavoro. Nella descrizione si legge “romanzo grafico pirandelliano”, ma a me ricorda anche i Malavoglia di Verga, o sbaglio? Non sbagli, i capoversi dei quattro capitoli con cui ho diviso il racconto iniziano con una citazione tratta dai Malavoglia, anche se per me l’ispirazione principale arriva dal cinema. “Stromboli”, “La terra trema” e i film di Herzog, “Fitzcarraldo” e “Aguirre, furore di Dio”.
Sbaglio o è tutto in bianco e nero?
Sì, ma un bianco e nero che diventa quasi colore. Uso una matita molto grassa e ne utilizzo tutte le gradazioni. Così i personaggi, gli ambienti, il paesaggio sono lavorati con diverse pressioni della matita arrivando ad avere una gamma di grigi che ricorda un film in bianco e nero.
Il tuo tratto, a differenza di altri, in voga, sembra più pittorico e ricorda un po’ Goya: è esatto?
E’ così. Già questo tipo di riferimenti era presente in “Churubusco”, il mio libro precedente. Appena arrivato a Parigi ho avuto la fortuna, di visitare una mostra di Goya sulle sue incisioni in bianco e nero, con gli orrori della guerra, Ne rimasi affascinato. Sentivo che parlavano di cose vicine al mio racconto. il catalogo che comprai quel giorno è sempre stato sul mio tavolo da lavoro. Questo sguardo è rimasto presente anche nei lavori successivi “ La Cicatrice” e ora “ La lingua del Diavolo” E poi il cinema di Rossellini, il Visconti de “ La Terra Trema “ è un cinema ruvido, duro, che mi ricorda moltissimo il tratto di Goya che disegna visi storti, contorti. Visi che anche a me piace disegnare e che, soprattutto, trovo molto veri.
Da dove nasce la tua passione per la storia?
È sempre stata una delle mie grandi passioni, fino dai tempi della scuola. Banalmente mi verrebbe da dirti che la storia parla del presente. In ogni caso, nelle mie storie, non faccio un semplice ricalco dei fatti ma anzi li utilizzo per calarci personaggi di fantasia e metterli alla prova della vita. Così è successo in Churubusco con il siciliano Rizzo che deve decidere da che parte stare e così succede a Salvatore Cavalca il protagonista de La lingua del Diavolo che cerca di approfittare della nascita dell’isola per cambiare la propria vita. In questo modo cerco di comprendere, guardando attraverso gli occhi dei miei protagonisti, il significato dei fatti che racconto. Infatti ne è derivata “La Cicatrice”, sul muro tra Messico e Usa.
Perché questo titolo?
Sono cresciuto con film e letteratura americani. Con il cinema di John Ford, che raccontava la conquista del West. I libri di McCarthy, la trilogia della frontiera, sopratutto. Un immaginario potentissimo. Quel muro che attraversa quei luoghi, oltre che una frontiera fisica, è come una cicatrice del mio immaginario. Ecco il perché del titolo.
“La Cicatrice” è una storia reale e dura: il pubblico italiano sa effettivamente apprezzare questo genere di fumetti?
Il pubblico c’è. So che l’anno scorso c’è stata una notevole impennata nelle vendite di questo tipo di fumetti e ho speranza che si possa capire che è un mezzo con la stessa capacità di un romanzo di raccontare il mondo.
Torniamo indietro al periodo in cui hai lavorato alla Disney: perché l’hai lasciata?
Non ho lasciato la Disney. Sono andato a lavorare per un altro editore. A Barcellona, per la precisione. In Spagna c’era il centro creativo di un altro editore europeo, Egmont, che curava i personaggi Disney e ho iniziato, con loro, una collaborazione che dura tuttora. Dopo due anni rientrai in Italia, a Cagliari, un posto splendido dove vivere. Sempre a Cagliari ho conosciuto Igort, fondatore di Coconino e di Oblomov che è diventato l’editore italiano dei miei libri.
Fumetti Disney in Usa e Italia sono diversi?
Non fanno quasi più fumetti Disney in Usa, l’industria Disney è concentrata su cinema d’animazione e parchi tematici. Esistono licenziatari ed editori, come Egmont in Europa e Panini in Italia. Le storie che disegniamo qui in Europa, sono vendute in 27 Paesi, compresi gli Usa. Il Topolino italiano è su tre strisce, con tratto a pennello, dinamico, moderno che ha come maestro Giorgio Cavazzano. Lo stile di Egmont è più classico, con pennino, più rigido, con personaggi legati alla tradizione classica. Quando disegno per Egmont il mio modello di riferimento è Carl Barks. Un gigante.
Hai dei maestri cui ti ispiri?
Alberto Breccia e Jose Munoz sono i miei principali punti di riferimento. Ma anche Micheluzzi, Toppi, Battaglia. Tra i francesi amo molto lo stile di Blain e quello di Prudhomme.
Cosa consiglieresti a chi vuol intraprendere la tua carriera?
È un momento magico per fare fumetti d’autore, c’è voce per tutti, non è impossibile trovare un editore che pubblichi il lavoro. È come il punk, ognuno può avere la propria band. Questo, però, ha come rovescio della medaglia che c’è meno visibilità per tutti, per cui si deve sgomitare per far vedere il proprio lavoro. Ma tu ci sei riuscito. Sono riuscito a farlo diventare un mestiere, ma erano altri tempi. Ora è più difficile, per chi inizia sopratutto riuscire a farlo diventare un lavoro. Ma lo spirito per chi vuole iniziare dovrebbe essere un altro. Raccontare delle storie. I soldi si possono fare anche in altri modi.
Il prossimo graphic novel che storia tratterà?
Sarà ambientata a Genova, dove sono nato e ho vissuto. Protagonisti tre ragazzi e una prostituta. Lo scenario sarà quello della Città vecchia, la Genova che adoro.
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