Ci sono mugugni e mugugni. Perché se quella della lamentela è un po’ una specialità genovese e ligure, qualcuno ne sta facendo un’arte. Un’arte vera, da fumetto, con personaggi tratteggiati sapientemente nelle linee e nei caratteri, i cui dialoghi pungenti e immediati sono ispirati a un cult cinematografico, “Pulp fiction”. Ma tutti ci possiamo riconoscere nei “tipi” o nelle situazioni descritte in “Voce del verbo: Mugugnare” del grafico genovese Mirko Figoli, in arte Aka Oni.
Sono “strisce”, le sue che però, a differenza di quelle classiche, cui ci hanno abituato vignettisti d’ogni epoca e giornale, sono verticali e non orizzontali. E questo perché il suo modo di comunicare è così immediato, che al posto dei tipici “balloon” o nuvolette di testo, lo scambio di battute richiama il sistema della messaggistica istantanea. E questo suo modo di scrivere e disegnare piace, tanto che “Voce del verbo: Mugugnare” su Facebook ha superato i 400 like in un solo mese. Senza dimenticare, però, che, ironia a parte, Aka Oni ha anche nel cassetto un graphic novel sulla pena di morte e una notevole cultura fumettistica cui si ispira.
Qual è la tua formazione?
Sono autodidatta; sono grafico pubblicitario, prima ho frequentato l’Istituto d’Arte di Chiavari per un anno, poi l'Istituto di grafica Fassicomo. In realtà avrei voluto fare il regista teatrale, ma visto anche il mio percorso di vita non facile, mi sono sempre arrangiato e ho fatto il barista e il disegnatore per passione.
E il tuo nome d’arte da dove deriva?
Il mio precedente nome d’arte era Mirkolik, da Paperinik. Poi è apparso su Mtv Anime Night Cartoni “Great Teacher Onizuka”, un anime giapponese. E’ la storia di un ragazzo di 22 anni che inizia a insegnare educazione civica, nonostante fosse un attaccabrighe e un donnaiolo. Un po’, a 16 anni, mi ci ritrovavo, anche perché mi sarebbe piaciuto fare l’educatore, siccome era una figura paterna e un’icona per me, che sono stato in comunità dai 13 anni a quasi 18 anni. Oni in Giappone è un demone, personaggio tra i più amati nelle storie popolari e presente in quasi tutti i cartoni animati, come Lamù, per esempio. Quindi mi sono appassionato e i miei amici hanno iniziato a chiamarmi Oni, finché ho aggiunto Aka, che indica il rosso, e che è il colore che amo. Mi piacerebbe, infatti, da regista, creare uno studio di animazione che si chiami Studio Aka, “studio rosso”, per citare anche un altro mio modello, Sherlock Holmes, e il primo libro “Studio in rosso”.
Come hai ideato le strisce sui mugugni?
Si tratta di un progetto creato dal nulla. Nasce dal fatto che ho sempre avuto la passione per le vignette e ho iniziato a disegnare guardando “Calvin e Hobbes” di Bill Watterson, quando in Italia c’erano solo quelle di "Lupo Alberto" e "Cattivik", altrimenti le altre erano importate. Da lì ho iniziato a fare le mie, come “Caruggi”, ma anche altre. E adesso, guardandomi intorno e considerando la produzione attuale, ho ripreso questo genere, immaginando due protagonisti e ispirandomi al mio film preferito, “Pulp Ficton”, in cui i personaggi filosofeggiano su argomenti comuni. Ma, dal momento che sono sempre stato dell’idea che il fumetto deve parlare prevalentemente tramite il disegno, e le battute devono essere poche, ho deciso di creare i dialoghi attraverso “balloon” che sembrano messaggi, per esempio di WhatsApp. Poi ho notato, dalla pagina Facebook dedicata a “Voce del verbo: Mugugnare”, che l’interesse si accentuava quando il personaggio sono io stesso mentre parlo con mia moglie o mio figlio, per cui ho deciso di mettere la mia vita ‘in vetrina’ e mi sembra funzioni, anche se inserirò anche altre citazioni.
Mugugni: ma solo nel titolo c’è il richiamo a Genova e al dialetto.
Sì. “Voce del Verbo: Mugugnare” non è legato al contesto genovese, ma all’idea della lamentela, e dei luoghi comuni, e poi ho pensato a qualcosa che richiamasse per me la familiarità. Amo Genova, amo i vicoli, e infatti avevo già fatto “Caruggi”, che non rappresentavano il centro storico, ma un mondo pazzo. In questo caso ho pensato, come a scuola, alla voce del verbo mugugnare.
Andrea Freccero, disegnatore della Disney, ha definito i tuoi mugugni geniali.
Sì, è stato uno dei primi a sostenermi in questo progetto. L’ho conosciuto perché alcuni anni fa ho partecipato al concorso di Smack!, evento importante per il fumetto a Genova, organizzato da Enrico Testino. Ho disegnato una vignetta e tra i giurati c’erano nomi importanti, tra cui quello di Andrea Freccero, che è una delle matite più famose della Disney. Purtroppo la mia formazione, con studio realistico dell’anatomia, non va bene per la Disney, per cui non potrei disegnare per loro. Essendo, però, sempre in contatto con Andrea, quando ha visto il progetto mi ha detto che è un’idea magnifica, che va presentata a tutti i giornali. Ma ancora non ho disegnato moltissime strisce.
A quali maestri ti ispiri?
Mi sarebbe piaciuto molto ispirarmi a Moebius, fumettista francese morto di recente, ma è troppo particolare. Nel tempo ho cambiato parecchi stili, ma quello in cui mi ritrovo di più è quello di Frank Cho, un coreano che lavora in America per la Marvel Comics. E’ un autodidatta che ha iniziato con le strisce. E’ molto minimalista nel tratto, che è energico e puro. L’ho amato fin dall’inizio e ho ogni sua opera. Ho cercato quindi di prendere molto da lui e a volte si vede, tanto che mi sono accorto che il mio protagonista, che sarei io, e che ha barba e occhiali, assomiglia molto al suo di Liberty Meadows: il mio sembra la sua brutta copia!
Cosa pensi dei fumettisti che vanno forte oggi?
Molti di questi sono ex youtuber e fanno fumetti non sense per il pubblico di Facebook, cui piace leggere cose semplici. Io li definisco fumetti da bagno. Le case editrici sanno che è un mercato fruttuoso, perché piace ai teenager. In realtà sono cose che faceva già Akira Toriyama, il disegnatore di Dragonball negli anni Novanta, ma lui le faceva benissimo.
Precedentemente avevi pubblicato “Leo, un nuovo amico”.
Era il primo numero di una serie a fumetti che avrei dovuto continuare. Racconta la storia di un ragazzo dagli strani poteri. L’idea me l’aveva data Riccardo Visaura, che non disegna, ma canta hip-hop. Io ho dato forma a questa sua idea, aggiungendo caratteristiche anche negative al supereroe. Non ha avuto il successo che meritava, e comunque gli accordi iniziali non sono stati rispettati dall’editore e ho abbandonato il progetto dopo il primo volume. Poi mi sono messo a lavorare al libro sulla pena di morte.
Altri progetti futuri?
Ho sempre tanti progetti nel cassetto che vorrei vedere realizzati prossimamente. Ancora non li ho messi in pratica perché ci sono storie cui non sono pronti i lettori in Italia. Come il libro sulla pena di morte: molte case editrici mi hanno risposto che l’idea è fantastica, ma non commerciabile, per ora, qui, perché è troppo profonda e non siamo più negli anni Novanta.