È uscito ieri in libreria il suo terzo libro, “Abbiamo toccato le stelle. Storie di campioni che hanno cambiato il mondo” (Rizzoli), e già promette di essere un successo nell’ambito narrativa per ragazzi. L’autore è il sampierdarenese Riccardo Gazzaniga, di professione poliziotto, che con il libro sui Celerini a Genova, “A viso coperto”, ha vinto il Premio Calvino. Non sono genovesi i campioni di "Abbiamo toccato le stelle", mentre annuncia che lo saranno i protagonisti del prossimo romanzo, che promette essere “una storia potente ambientata a Genova”. Così come lo saranno le storie di cui si sta occupando con Luca Bizzarri, promotore dell’iniziativa benefica “Quella volta sul ponte”, legata al crollo del Morandi, di cui dice: “Senza dubbio nei miei prossimi libri questo fatto entrerà dentro, perché è troppo forte per non condizionare, per non essere raccontato. Si tratta di un momento che segna la storia di Genova per sempre e dunque anche le nostre”.
Siamo alla terza fatica letteraria e questa è per ragazzi. Perché?
Nel 2015 raccontai su Facebook la storia che riguardava Peter Norman, l’uomo bianco sul podio insieme agli atleti neri con il pugno chiuso, alle Olimpiadi di Messico ‘68. Lo feci solo per il web, per raccontarla a chi mi legge. Quel pezzo è diventato un caso mondiale, tradotto in 10 lingue e letto da milioni di persone. Diversi lettori hanno iniziato a chiedermi di farne un libro e ragionando con il mio agente, Stefano Tettamanti, abbiamo considerato che, considerato lo sfondo etico e valoriale di quei pezzi, avremmo potuto rivolgerci a un pubblico di ragazzi, stavolta, oltre che di adulti. Così è nato “Abbiamo toccato le stelle”.
Negli altri casi si è trattato di romanzi, in questo invece si parla di biografie di personaggi del mondo dello sport, ma con storie di vita speciali: per un ragazzo che li legge sono come eroi di libri d’avventure?
La speranza è proprio questa. Lo sport ha di per sé una forte componente epica. C’è un protagonista che insegue il suo oggetto di valore, la vittoria. Ci sono uno o più antagonisti disposti a tutto per batterlo. C’è il rischio di cadere e fallire, sulla strada per il trionfo. Ma se il protagonista oltre alla vittoria insegue una forma di giustizia e ha una forte statura morale, l’epicità è ancora maggiore e lo sportivo assume i contorni dell’eroe.
Spieghiamo perché non ha scelto un Ronaldo né un Mike Tyson, ma Muhammad Alì e Bartali e, per citare una donna, Yusra Mardini che nuotò eroicamente per la salvezza.
Mi interessavano campioni e campionesse che mettessero insieme le doti sportivi alle grandi doti morali. Che avessero compiuto gesti eccezionali anche fuori dal ristretto confine del campo da gioco o della pista o del ring. E, soprattutto, aperti verso il mondo, gli altri, la società civile. Per questo solo alcuni sono nomi. Altri sono sportivi meno celebri, a volte anche perché hanno pagato duramente, con l’oblio, le loro scelte.
Possiamo dire che in tutti e tre i libri il filo conduttore è il coraggio? Coraggio di crescere, di fare delle scelte, coraggio di stare dalla parte giusta?
Sì, lo possiamo dire, sebbene nei romanzi ci sia una molteplicità di elementi anche legati alla struttura narrativa e della trama. In questi racconti connessi al mondo reale il filo conduttore è più netto e riguarda appunto la disponibilità a lottare e sacrificarsi per fare la cosa giusta.
Il primo libro, “A viso coperto”, sui poliziotti del Reparto Mobile, e il secondo “Non devi dirlo a nessuno”, sono opere più autobiografiche, mentre questo per lei cosa rappresenta?
Un altro percorso di autore, di saggistica narrativa che corre accanto ai romanzi. Il prossimo anno pubblicherò un nuovo romanzo, fiction pura, in quel caso, una storia potente ambientata a Genova. Oggi invece escono questi racconti che erano stati concepiti per il web come letture di qualche minuto ciascuno. Ma il successo e la richiesta che sono arrivate di vederli pubblicati da parte dei lettori sono stati tali, come ho detto, che è venuto naturale pensare a un libro, anche perché non finissero dispersi.
Cosa pensa di “ACAB. All Cops are bastards ” di Carlo Bonini, che di “A viso coperto” ha scritto: «Travisati. Gli uni e gli altri. Dietro un casco da Op o una sciarpa da ultrà ci sono la violenza primaria del clan e quella parte inconfessabile di ciascuno di noi che Gazzaniga costringe finalmente a guardare». Sono opere particolarmente affini, oltre al fatto di svolgersi a Genova e di vedere scontri aperti tra celerini e antagonisti?
Penso che “ACAB” sia stato un libro importante, perché per la prima volta ha focalizzato la visuale sui Reparti Mobili e non, genericamente, sulla polizia. Bonini ha realizzato l'importanza storica dell'ordine pubblico e dei suoi riflessi sulla società e ha raccontato una polizia poco nota. Certo, è un testo duro nei nostri confronti perché rappresenta una realtà estrema, ovvero tre poliziotti dalle convinzioni politiche e dalla condotte molto discutibili, persone che hanno difficoltà a collocarsi nel mondo reale e si chiudono nel loro gruppo. È anche un libro collocato in un periodo storico differente ovvero vicino al G8. Il mio libro, quando racconta di polizia, vorrebbe rappresentare invece l'altra parte di uomini che non sono dei marziani, semplicemente conducono una vita normale facendo un lavoro molto particolare che li porta a vivere situazioni difficilissime. Certo poi l’ambientazione genovese sposta di molto gli equilibri, “ACAB” è un libro molto “romano”, quanto “A viso coperto” è senza dubbio influenzato da Genova, dalla sua storia, anche politica.
Ora si sente più un poliziotto o uno scrittore?
Non è una domanda cui posso rispondere in questi termini, sono due parti che convivono dentro la mia vita. Presto servizio in Polizia da 22 anni, è questa la parte lavorativa della mia vita, da sempre. La scrittura riguarda la mia sfera singola e personale, anche lei da sempre. Si svolgono in tempi e luoghi e modi diversi.
Vorrebbe dedicarsi alla narrativa per ragazzi? Ha già in mente altre storie?
Alla narrativa per ragazzi intesa come fiction, come romanzi per ragazzi, ora come ora, direi di no. Penso che i miei romanzi siano comunque leggibili da un pubblico di adolescenti, non a caso sono stati adottati in molte scuole. Ma dal punto di vista dei romanzi, mi continuo a sentire un narratore per adulti. Ecco, la speranza è di trovare un canale comunicativo che riesca a raggiungere entrambi i pubblici, nelle loro diverse peculiarità.
Essendo genovese e abitando vicino al ponte Morandi, non posso non chiederle almeno che cosa ha rappresentato per Lei.
Io sono nato a Sampierdarena, ho vissuto per anni in zona Don Bosco e frequentato le scuole “Casaregis”. Sono cresciuto “prima” del ponte, ora vivo “dopo” il ponte, a nord, e lo vedo dal terrazzo. Il ponte è sempre stato parte della mia vita, ci sono passato mille volte sopra, sotto, intorno, come tutti noi. Da piccolo l’ho ammirato, per la sua somiglianza con i ponti americani dei film, da grande l’ho detestato per quanto deturpava la valle, pur essendo qualcosa di inevitabile, una risorsa di movimento. Il crollo è stato una delle cose più sconvolgenti della mia vita, è difficile esprime cosa significa vedere un pezzo di città di crollare, è una sensazione di smarrimento, di malessere, di paura, di inquietudine per il futuro. Davvero io voglio sperare che questa tragedia offra una possibilità di rinascita alle infrastrutture e i trasporti locali. Ma Certosa e Sampierdarena stanno soffrendo terribilmente, dal punto di vista sociale ed economico. Per questo il tempo è fondamentale, altrimenti questo crollo diventerà un disastro ancora peggiore.
Possiamo dire, parlando di storie di coraggio, che in questo caso tutti coloro che sono intervenuti, partendo dai Vigili del Fuoco, ai suoi colleghi, sono i protagonisti di questa tragedia? Ne scriverebbe un libro?
Senza dubbio nei miei prossimi libri questo fatto entrerà dentro, perché è troppo forte per non condizionare, per non essere raccontato. Si tratta di un momento che segna la storia di Genova per sempre e dunque anche le nostre. Ma non so in quali modi sentirò di raccontarlo, questo è ancora presto per dirlo. Senza dubbio ci sono stati molti colleghi e vigili del fuoco e militi della Croce Rossa che hanno compiuti atti eroici di soccorso, nonostante l’esito fosse chiaramente difficile. Come mi ha detto un collega, ma anche un amico che opera per la Croce Rossa, la cosa più dolorosa di quell’intervento e di quel sacrifico è stata che, purtroppo, molte persone non potessero più essere salvate.
Ha altri progetti artistici?
Sì, diversi. Sto collaborando con Luca Bizzarri e altri artisti genovesi alla scelta di alcuni racconti di memoria del Ponte Morandi per una raccolta benefica con cui fondi aiutare le persone colpite dalla tragedia. Sto ultimando il lavoro su quel nuovo romanzo per adulti che uscirà nel 2019 e, proprio in questi giorni, è uscita la prima puntata di una mia serie di podcast gratuiti dedicata alla storia delle Olimpiadi del 1968, tra sport, record incredibili e lotta politica. Si intitola “A pugni chiusi” ed esce per la nuova piattaforma storielibere.fm che ospita anche una celebre scrittrice e amica, Michela Murgia, con la serie Morgana.