L’autofagia è un meccanismo delle cellule per smaltire materiale tossico o danneggiato, che negli animali ha un ruolo protettivo nei confronti di diverse patologie e nel prolungamento della durata di vita. In una ricerca appena pubblicata sulla rivista Plos Biology, il gruppo di Benedetto Grimaldi dell’IIT-Istituto Italiano di Tecnologia a Genova, in collaborazione con l’Università di Manchester, ha individuato un esempio di autofagia nell’uomo la quale è collegata alla vitalità di un particolare organo del corpo: il follicolo umano dei capelli. La scoperta ha risvolti nel campo cosmetico per individuare trattamenti per i capelli, ma anche oncologico: i “capelli di laboratorio” rappresentano un modello preclinico per valutare direttamente sull’uomo l’efficacia di nuovi composti terapeutici per la cura e la prevenzione dei tumori. La ricerca è stata supportata da AIRC.
Grazie all’autofagia le cellule intrappolano all’interno di vescicole le sostanze tossiche prodotte a seguito di un’esposizione ad agenti chimici, come per esempio i farmaci, o ambientali come le radiazioni ultraviolette, per poi degradarle in materiale non tossico che possono utilizzare come nutrimento. Tale meccanismo, oltre ad avere un ruolo protettivo nei confronti di diverse patologie, quali malattie cardiovascolari, disordini neurodegenerativi e sviluppo di tumori, si osserva a livelli aumentati durante un regime alimentare di restrizione calorica, che prolunga la vitalità di molti animali, suggerendo una connessione tra autofagia e prolungamento della durata della vita.
La valutazione dell’importanza dell’autofagia nell’uomo è oggi resa difficile dalla mancanza di modelli sperimentali umani che ne consentano lo studio. La ricerca del gruppo di Grimaldi stabilisce un primo modello con cellule umane, studiando una parte specifica dell’uomo, il capello. Quando il capello viene tolto dal suo ambiente naturale e cresciuto in laboratorio, continua a svolgere la maggior parte delle sue attività andando incontro ad un “ciclo di vita” composto da una fase di “benessere e accrescimento” seguita da una fase di “invecchiamento e morte”. La ricerca mostra che l’autofagia ha un ruolo fondamentale nel mantenere vivo il capello.
I ricercatori hanno osservato due situazioni differenti. Da una parte, hanno rimosso il meccanismo dell’autofagia con modifiche genetiche delle cellule dei capelli e in queste condizioni hanno notato un velocizzarsi della fase di invecchiamento e di morte. Dall’altra parte, hanno analizzato l’azione di alcune sostanze naturali in grado di aumentare il processo autofagico nel capello, riscontrando un prolungamento della durata della fase di benessere e accrescimento. In particolare, i ricercatori hanno utilizzato una delle sostanze che nei modelli animali mimano gli effetti di “pro-longevità” scaturiti durante la restrizione calorica, evidenziando così che anche nell’uomo l’autofagia ha un’azione di anti-invecchiamento.
I risvolti dello studio potrebbero essere in ambito cosmetico e terapeutico: prodotti che stimolano l’autofagia possono ritardare la caduta dei capelli o proteggerli da stress chimici associati a terapie farmacologiche. Un esempio è l’alopecia, un effetto collaterale causato da molti farmaci antitumorali. La ricerca ha, inoltre, una rilevanza più estesa in ambito medico e farmacologico, poiché fornisce un modello “umano” su cui testare direttamente l’efficacia di composti naturali o sintetici che, agendo sul processo autofagico, possono essere utilizzati per la cura e la prevenzione di diverse patologie, inclusi i tumori. I “capelli di laboratorio” forniscono un ottimale modello preclinico per valutare l’efficacia e i potenziali effetti dannosi di queste sostanze direttamente in un tessuto umano.