Ogni domenica 'La Voce di Genova', grazie alla rubrica ‘Gen Z - Il mondo dei giovani’, offre uno sguardo sul mondo dei ragazzi e delle ragazze di oggi. L'autrice è Martina Colladon, laureata in Scienze della Comunicazione, che cercherà, settimana dopo settimana, di raccontare le mode, le difficoltà, le speranze e i progetti di chi è nato a cavallo del nuovo millennio.
Uno degli stereotipi più diffusi sulle nuove generazioni è quello della svogliatezza. Spesso, chi è più grande guarda ai giovani d’oggi con la convinzione che abbiano poca voglia di lavorare, che siano meno determinati rispetto al passato e che pretendano troppo senza faticare abbastanza. Ma è davvero così?
Partiamo da un dato di fatto: la Generazione Z è cresciuta in un’epoca completamente diversa rispetto a quella delle generazioni precedenti. Anche se ormai sono passati cinque anni, l’esperienza della pandemia ha segnato profondamente il percorso di molti giovani. La didattica a distanza, il lockdown e l’isolamento hanno avuto ripercussioni non solo a livello scolastico e lavorativo, ma anche sul piano psicologico, rendendo più difficile per alcuni ritrovare una stabilità e una motivazione costante. È un aspetto che spesso viene sottovalutato, ma che ha avuto un impatto significativo sul modo in cui molti ragazzi vedono il futuro. A questo si aggiunge la realtà del mondo del lavoro in Italia, dove trovare un’occupazione, soprattutto nel proprio settore di studi, è sempre più difficile. In molti casi, le offerte disponibili sono precarie o mal retribuite, e persino accedere a uno stage può essere complicato. I giovani, quindi, si trovano davanti a un bivio: da un lato, c’è chi sceglie di adattarsi a quello che trova, accontentandosi e limitandosi a fare il minimo indispensabile, spesso perché non vede alternative reali; dall’altro, c’è chi decide di guardare altrove, cercando opportunità all’estero in paesi che offrono stipendi più alti, maggiori possibilità di crescita e condizioni lavorative migliori.
Ma questa tendenza è davvero segno di pigrizia? In realtà, dimostra una grande capacità di adattamento e la volontà di non rassegnarsi a un futuro incerto. Il problema non è tanto la mancanza di voglia di lavorare, quanto piuttosto la difficoltà nel trovare opportunità che permettano ai giovani di costruirsi un futuro solido. In passato, il percorso lavorativo era più lineare: studio, impiego fisso, crescita professionale. Oggi, invece, i giovani devono spesso reinventarsi, affrontare lavori temporanei o mal retribuiti e, in molti casi, rimandare progetti di vita come l’indipendenza economica o la creazione di una famiglia.
E poi, c’è un altro aspetto che viene spesso ignorato: il cambiamento della concezione stessa del lavoro. La Generazione Z non è solo alla ricerca di uno stipendio, ma anche di un ambiente che rispetti il benessere mentale, che offra flessibilità e che valorizzi le competenze personali. Non è questione di non voler lavorare, ma di volerlo fare in un contesto che abbia senso. E se questo non è sempre possibile in Italia, è normale che molti guardino altrove o che cerchino strade diverse da quelle percorse in passato.
Più che di mancanza di voglia di lavorare, forse sarebbe il caso di parlare di mancanza di prospettive. È difficile sentirsi motivati quando ci si scontra con contratti precari, retribuzioni inadeguate e poche possibilità di carriera. E forse è proprio questo che le generazioni più grandi dovrebbero comprendere: la Generazione Z non è pigra, semplicemente si trova a dover fare i conti con una realtà molto più complessa rispetto a quella di qualche decennio fa.