Inizia questo mercoledì, e andrà avanti per tutti i mercoledì successivi, ‘I mestieri di una volta’, un ciclo di servizi de ‘La Voce di Genova’ dedicato a chi ancora svolge quei mestieri antichi, con il medesimo impegno e la medesima passione. Ogni settimana vi racconteremo storie di ingegno, di orgogliosa resistenza, di rinascita, di ritorni alla moda: storie fatte di mani sapienti, di teste pensanti, di tantissimo amore e attaccamento alle proprie radici. Buona lettura!
Le dinamiche del lavoro e dell'economia sono in continua trasformazione e le tradizionali botteghe di un tempo sono ormai sempre più rare da trovare sul nostro territorio. Ci sono, quindi, antichi mestieri che, oggi come oggi, sembrano un lontano ricordo di tempi passati ma invece c’è ancora chi continua ad essere presente e a portare avanti tradizioni fatte di cultura, rispetto del prodotto e qualità.
Il nostro viaggio inizia nella delegazione di Sestri Ponente, precisamente in via Soliman, in una bottega che, appena varcata la soglia d'ingresso, l'occhio umano si perde in una miriade di colori e di stoffe, riposte tra uno scaffale e l'altro: parliamo di 'Tappezziere Gianni', dove oggi, a distanza di cinquantasette anni, si continua a coltivare un'autentica arte artigianale, capace di preservare un sapere prezioso, dove la manualità, la qualità e il rispetto del prodotto sono regole inviolabili.
"L'attività nasce nel 1968 dalla volontà di mio papà Gianni - racconta Antonietta Denurchis -. Ai tempi, al nostro posto c'era prima Macciò dei mobili e facevano rivestimenti delle poltroncine da camera. Dopo diverse esperienze personali, che lo hanno visto impegnato in varie botteghe di artigiani del mestiere, mio padre decide di aprire ufficialmente il negozio proprio qui in via Soliman".
Papà Gianni che per oltre trent'anni porta avanti il negozio, fino a quando nel 2003 subentrano ufficialmente Denurchis e il marito, Mauro Pedrazzi: "In quell'anno mio padre ci ha inserito e Mauro veniva dagli allestimenti fieristici - afferma Denurchis -. Abbiamo deciso di mantenere la dicitura 'Tappezziere Gianni' perché sul territorio era molto conosciuto, considerando il fatto che negli anni '70 i tappezzieri erano circa quindici a Sestri. Ricordo che, dopo esser subentrati, papà era sempre presente: per lui era un hobby, non un lavoro. Ed ecco che, così, siamo arrivati fino ad oggi ma devo dire che inizia ad essere dura perché per far capire alle persone che un oggetto si può far diventare com'era all'inizio appena acquistato non è semplice".
Da esperti artigiani di una volta, Antonietta e Mauro seguono una filosofia ben precisa, ovvero non buttare ciò che ha valore (anche in termini di qualità) e che si è pagato, bensì recuperarlo: "Oggi bisogna far capire al cliente che ciò che si ha, talvolta, è sinonimo di qualità, una qualità che oggi non c'è e che, quella poca rimasta, dev'essere pagata - chiarisce Denurchis -. Ad esempio, una sedia di legno di quarant'anni fa sicuramente vale la pena farla perché la struttura è legno. Oggi come oggi, invece, tante altre sedie non ne valgono la pena. Noi, quello su cui puntiamo, è in primis la qualità".
Ma che cosa significa essere artigiani tappezzieri oggi, in una società dove la cultura del fare, del recuperare e dei materiali tendono sempre più ad essere un lontano ricordo? Antonietta non ha dubbi e precisa fin da subito che si tratta di un mestiere, come gli altri mestieri legati all'artigiano, che "devi avere nel sangue". "Ricordo che a mio papà dicevo 'papà, non si riesce più con il lavoro, si fa fatica a mettere qualcosa da parte' e lui ci rimaneva di stucco, non credeva dato che all'epoca si guadagnavano dei bei soldi", afferma Denurchis, incalzata da Pedrazzi che precisa come sia anche un discorso di "tasse altissime pari al 73%".
Una cultura del prodotto che sa davvero di altri tempi quella che Mauro e Antonietta portano avanti tutt'oggi in un contesto dove la massificazione e il consumismo sono padroni nella logica dell'acquistare: "Noi facciamo ancora l'imbottitura con le molle che tanti dicono non esistere più - prosegue Denurchis -, ma in realtà bisogna essere semplicemente capaci a farla. E ancora le tende le cuciamo rigorosamente a mano. Noi quando vediamo un oggetto, cerchiamo di dargli un valore, un significato e un rispetto per il prodotto presentato. Cerchiamo di fornire un tessuto che ne rispecchi l'uso. Per quanto concerne i tendaggi, cerchiamo di proporre un servizio a 360 gradi: preferiamo, ancora oggi, andare nelle abitazioni e vedere che tipo di arredamento è presente, prendere noi le misure, vedere cosa potrebbe essere inserito, per poi farli venire in negozio e farli scegliere". A tal proposito, Pedrazzi porta in evidenza un esempio: "Se tu cliente vieni qui e mi porti le misure, io confeziono un prodotto su quelle ma, nell'eventualità, se sono corte poi la conseguenza e che le devi ricomprare", precisa.
Oggi, il rapporto con il cliente e le sue esigenze, sono inevitabilmente cambiati rispetto al passato: ai bei tempi che furono "quando si faceva la comunione, ad esempio, si tendeva a rinnovare la casa con le tende mentre oggi questa cosa non c'è più - racconta Denurchis -. Difficilmente una persona viene e mi chiede di voler rifare le tende per occasioni del genere. Generalmente, oggi, dipende dalle necessità di ognuno, chi per cambiare casa o chi ha bisogno di riammodernare l'ambiente. Però, ci tengo a dire che tutto permea intorno alla qualità. Facendo un esempio, questa settimana dovrò andare a prendere le misura in casa di un cliente in via Trento che ha le tende ancora di quando le acquistò a Sestri, portate ad Albaro e oggi in via Trento. Tutto questo per dire che una tenda, che hai pagato, non va buttata ma si cerca di recuperarla, non con toppe ma restituendo un prodotto integro pari all'originale. Con il cliente? in sintesi, è un rapporto di fiducia e cultura".
Ogni cliente è un caso a parte e non si può generalizzare una specifica tipologia, perché i gusti son gusti, e le abitazioni sono tutte un unicum: "Abbiamo clienti decisi e che hanno fin da subito le idee chiara, ma c'è anche il cliente che entra con un'idea ma che va accompagnato piano piano verso uno specifico indirizzo - afferma Denurchis -. A volte siamo davvero psicologici e dobbiamo entrare nella mente di chi si pone di fronte. Tante volte 'vorrei fare una tenda' è molto generico perché ci sono miliardi di tipologie: abbiamo tantissimi campionari. Alla fin fine lavoriamo, di conseguenza, o per esclusione o per preferenza".
Non solo il cliente, ma anche il commercio, tra internet e le grandi catene, è cambiato: "Noi non vendiamo un prodotto confezionato, noi vendiamo un tessuto sartoriale - afferma Mauro Pedrazzi -. Quindi, quello che propongono su internet, è difficile da prendere in considerazione perché il medesimo tessuto confezionato ha una prima, seconda e una terza scelta e, questo, come si può capirlo? A volte, negli anni abbiamo visto errori per quanto concerne le misure. Altre volte, vedono le riviste dopo un tendaggio sembra bello e pomposo ma nella realtà concreta non lo è. Chi viene da noi, in sintesi, cerca la qualità, un qualcosa che duri negli anni. Per quanto riguarda, invece, le grandi catene, queste propongono prodotti apparentemente belli ma che, in realtà, durano nel tempo pochissimo. Sovente vengono persone che hanno acquistato in determinati posti e, alla fin fine, si trovano con un prodotto sì economico ma che in breve tempo è già rovinato. Il risultato? Il tessuto per poterlo rifare costa più del divano stesso acquistato. Per non parlare delle ecopelli, che è come avessero un timer naturale: dopo un pò, si sgretolano".
Un mestiere, quello dell'artigiano, che si scontra con una realtà sempre più difficile e con Antonietta Denurchis si è riflettuto se, tornando indietro nel tempo, rifarebbe lo stesso percorso: "Io qua ci sono cresciuta e non è facile dirlo - afferma -. Se penso a quello che tutto questo è stato per mio padre, direi di sì. Oggi, però, ci sono momenti in cui ci metterei una bomba perché lavori senza sosta ma senza resa. Molti pensano che noi ci guadagniamo chissà che cosa, ma non è assolutamente così. L'artigiano devi averlo nel sangue e per noi è un lavoro in costante cambiamento. Basta guardare il nostro negozio: non abbiamo mai nulla di uguale, siamo sempre in continua modifica".
Il futuro, invece? "Onestamente, non lo so - afferma Antonietta sospirando -; è un gran punto interrogativo. Nel nostro caso, non avremo un ricambio perché mio figlio fa dell'altro nella vita. Vedremo".