Il Natale, sulle tavole genovesi, si è sempre contraddistinto per piatti deliziosi e abbondanti, un vero e proprio trionfo di sapori che doveva rendere solenne la ricorrenza della Natività.
Ma quali erano le immancabili pietanze che si trovavano nelle tavole delle famiglie genovesi.
Per aiutare a ricordare cosa veniva offerto nel pranzo natalizio, fondamentale è la poesia ‘Tondo di Natale’ di Niccolò Bacigalupo che racconta di Natalini in brodo, ravioli, secondi di carne e pesce e tanto altro.
Imprescindibili dall’essere serviti in tavola erano i maccheroni in brodo, detti appunto Natalini, pasta lunga e forata, cotta in un brodo speciale preparato con tre tipi di carne: cappone, manzo e maiale a cui si aggiungeva la salsiccia sbriciolata dentro.
I ravioli però, erano per il giorno di Santo Stefano. A Natale si preparava il brodo e con gli avanzi si preparava il ripieno dei ravioli che venivano riempiti il pomeriggio mentre si giocava alla tombola.
Per la seconda portata, carne e pesce a seconda dei gusti. Chi poteva, portava in tavola un’aragosta, ma non poteva mancare il cappone magro, con pesce e verdure, tra i piatti più amati dei genovesi.
La carne avanzata dal brodo, come il cappone stesso, veniva servita e si poteva anche preparare un piatto umido con le parti meno nobili del pollame, come testa e colli, da intingere nella bagnata con crostini di pane.
Tipico era anche il sanguinaccio, preparato con il sangue di maiale, e il ‘bibin’, il tacchino arrosto.
Ad accompagnare iil tutto, poi, radixe de Ciävai per aiutare la digestione.
Il dolce, nemmeno da dire: pandolce per tutti, portato in tavola dal più giovane della famiglia e tagliato perché tutti potessero averne un pezzo, anche il primo mendicante alla porta.
Per i golosi, poi, c’era spazio anche per il latte dolce fritto e per i cubeletti, dei cubetti ripieni di marmellata.
Vini dolci e frizzanti erano il giusto amplificatore di sapori. Tra i preferiti il vino dolce d’Alicante, il vino d’Asti e il rosolio. C'era anche l'usanza di passare una bottiglia di vino tra i commensali, come una grolla dell'amicizia
Anche l'Epifania aveva le sue tradizioni culinarie. Si diceva "Epifàgna, gianca lasagna", perché le lasagne, chiamate anche "mandilli", si facevano solo con acqua e farina, senza uova, per ottenere una sfoglia bianca. Si condiva con sugo di carne, mai con il pesto che, allora, era considerato un condimento semplice, non adatto a un giorno di festa.
Insomma, il Natale genovese era una vera festa per il palato, con piatti ricchi e gustosi che si tramandavano di generazione in generazione.