Prosegue questo sabato, e andrà avanti per tutti i sabati successivi, ‘Lo Sport che amiamo’, una rubrica dedicata a personaggi e storie di sport della nostra città e della nostra regione. Ci piace raccontare quel che c’è oltre il risultato sportivo: il sudore, la fatica, il sacrificio, il duro allenamento, l’impegno, le rinunce, lo spirito del gruppo. Tanti valori che vogliamo portare avanti e mettere in luce con quello che sappiamo fare meglio: comunicandoli. Comunicarli significa amplificarli, ed ecco perché lo sport può diventare, sempre di più, ‘Lo Sport che amiamo’. Ci accompagna in questo percorso un giovane di belle speranze: Federico Traverso, laureato in Scienze della Comunicazione. L'ospite di oggi è Vittorio Benvenuti, pegliese, che da quarantacinque anni organizza in città affollatissimi tornei di tennis tavolo.
Vittorio Benvenuti, come è nato il suo progetto di organizzazione di tornei di tennistavolo?
“Questa settimana è finito il torneo del 2024, che è stato il quarantacinquesimo. È un progetto nato, come molte cose, per caso: lavoravo al Credito Italiano, l’attuale Unicredit, e un giorno lessi una circolare del gruppo sportivo dell’epoca che propagandava un torneo di ping-pong pasquale. Io avevo da poco cominciato a giocare, ero alle prime armi. L’organizzatore di quel torneo mi contattò e mi chiese di venire, e così feci. La cosa però si risolse in un mezzo disastro: al primo turno incrociai un avversario molto forte e persi quasi subito. Dato che quei tornei erano quasi tutti ad eliminazione diretta, la mia avventura finì lì. Per questo, quel tipo di formato non mi era piaciuto…”
E poi?
“Poco dopo, l’organizzatore smise di fare i tornei e un consigliere del CRAL mi chiese di organizzarli. Forse aveva capito la mia insoddisfazione per quel tipo di competizioni. Così organizzai il mio primo torneo. Lo articolai così: giocatori suddivisi in gironi da cinque o sei persone, e tutti tranne l’ultimo classificato avevano la possibilità di andare avanti. In questo modo diedi a tutti, bravi e soprattutto meno bravi, l’opportunità di poter giocare più partite. Questa prima esperienza è andata bene, così di anno in anno organizzavo un torneo sotto Natale e uno sotto Pasqua, con annessi premi tra panettoni e uova di Pasqua”.
Come è arrivato al formato attuale?
“Le persone che partecipavano, e che evidentemente si divertivano, non volevano aspettare mesi per rigiocare un torneo. Così ho cominciato a concepire quella che, con alcune modifiche apportate negli anni, è diventata la nostra attività: un torneo che parte a gennaio e finisce a dicembre. Tutti possono venire a giocare due o tre volte al mese, e con i risultati accumulano dei punti. Le classifiche sono suddivise tra singolo e doppio, e a fine anno i partecipanti che hanno accumulato il maggior numero di punti giocano le finali tra metà novembre e metà dicembre. Si viene così a creare una classifica finale generale. Con questo formato tutti hanno la possibilità di giocare, indipendentemente se abbiano sempre vinto o sempre perso. La porta è aperta a tutti tutto l’anno”.
Lei quindi ha creato qualcosa che prima non c’era e che si distacca dai tornei ufficiali della Federazione. Com’è il livello?
“La nostra è un’attività strettamente amatoriale. In quest’ultima manifestazione si è iscritto un nuovo giocatore, e si è appassionato talmente tanto al ping-pong che ha finito per associarsi a una società sportiva registrata. Così facendo, però, si è precluso la possibilità di andare avanti da noi: chi è tesserato ufficialmente qui non trova spazio. Non è il suo posto, perché chi è troppo forte non si diverte e nemmeno gli avversari. Sono due mondi diversi. Lui però ha apprezzato molto il format del torneo. Non aveva mai visto una cosa così bella, organizzata minuziosamente, tant’è che ha coinvolto tante altre persone a venire. Era persino dispiaciuto di non poter più partecipare”.
Dove si svolgono le partite?
"La sede del torneo, dato che è organizzato nell’ambito del CRAL dell’Unicredit, è il locale del CRAL in Piazza de Ferrari”.
Lei però gestisce anche un’altra attività, giusto?
“Esatto. Nella mia parrocchia di San Francesco a Pegli tanti anni fa mi chiesero di organizzare un torneo per i bambini, e da lì la cosa è cresciuta fino a diventare l’appuntamento settimanale per tutti che c’è oggi. La prima volta nel salone della parrocchia c’era un solo tavolo ed era al buio, mentre oggi i tavoli sono otto e ognuno è ben illuminato. Per questa attività ci vediamo ogni giovedì sera dalle 21 alle 23 circa, e l’ingresso è libero”.
Questi tornei evidenziano anche il potere di socializzazione proprio del ping-pong e, in generale, dello sport.
“Sì, i nostri incontri sono anche un grande momento di socialità. Il ping-pong è una cosa che affratella, che accomuna le persone. È in primis uno sport, per cui bisogna avere delle capacità per praticarlo, però vedendo chi gioca i nostri tornei si ha una bellissima impressione anche a livello umano. Quando le persone mettono piede nel salone della parrocchia per la prima volta (e succede spesso, il passaparola è fondamentale e ci fa accogliere tanta gente nuova), escono di lì ringraziandomi e facendomi capire che torneranno perché si sono trovati molto bene. Lì dentro si percepisce una bellissima atmosfera: ciò che colpisce è che si gioca in amicizia. Poi ovviamente chi viene in parrocchia viene a conoscenza della mia altra attività, e si crea uno scambio continuo di persone”.
Si è creata quindi una bellissima tradizione.
“Quello del 2025 sarà il torneo numero quarantasei. Sul nostro sito, pinpong.altervista.org, c’è il nostro albo d’oro: ed è un albo d’oro bello lungo, perché sono riportati tutti i vincitori dal 1976 in avanti. Apparentemente è una cosa grossa, e nel nostro piccolo forse lo è davvero”.