Nel 1982 dalla fantasia dello scrittore britannico Roald Dahl nasce il GGG, il Grande Gigante Gentile: personaggio solo all’apparenza spaventoso agli occhi dei bambini a causa delle sue dimensioni al di sopra del comune, ha in realtà un cuore grande e un buffo modo di parlare. Rime, storpiature, licenze poetiche sono all’ordine del giorno, spesso provocando sorrisi nella sua piccola interlocutrice, Sofia.
Nel 1951 nasce Melina Riccio, precisamente il 1° aprile, ad Ariano Irpino, in provincia di Avellino. Dopo un periodo complicato, legato a una profonda delusione professionale, Melina trova il conforto di Dio cogliendo i segnali che, secondo lei, ha lasciato per confortarla. In una mela mezza marcia abbandonata riesce a cogliere l’essenza della vita, nei fiori l’energia della natura, nei rifiuti un elemento di passaggio verso una trasformazione più grande.
I genovesi, e non solo, conoscono bene l’arte di Melina, che come il GGG parla un personale linguaggio, fatto, appunto, di rime e storpiature. Anche se, al contrario del personaggio della letteratura, non è troppo alta, l’artista è tutt’altro che fragile: nel loro essere diversi dal mondo in cui abitano sta la loro forza, nel circondarsi di sentimenti positivi e di volerli in qualche modo trasmettere all’esterno.
L’artista, ormai famosa ben al di fuori dei confini della città, sarà all’ ’Atelier Melina’ allestito in Galleria Gaspare De Fiore, dalla facoltà di Architettura, ogni pomeriggio fino al 21 dicembre, dalle 15 alle 18, per incontrare il pubblico e raccontare un po’ di quello che la spinge a rendere arte tutto quello che incontra. Avvicinandosi a lei si capisce come la fede e l’amore siamo parte integrante della sua stessa essenza: pensa al presente, accoglie con delicatezza tutto quel che arriva, senza paura. “Ci sono quarant’anni di travaglio dietro le mie opere, non si può capire in un attimo”, spiega, mentre ritaglia stelle e quadrifogli di carta, mentre dà loro un cuore di stoffa e li rende vivi grazie a un fiore fresco innestato.
In ogni passaggio c’è un ragionamento, forse complesso per chi non la conosce davvero, forse complesso anche per chi, con lei, ha percorso qualche pezzo di strada: “Il telefonino, tutti guardano quella scatoletta, ma perdono tempo, non vedono la realtà” afferma, mentre è intenta a realizzare, creare, lasciare una traccia.
“Mi chiamo Melina perché quando mangi una mela, se la tagli orizzontale, dentro c’è una stella. Dentro la stella ci sono i semi, e la vita nasce da un seme” spiega con una semplicità disarmante. Tutto è naturale, tutto si ricollega a Dio: la terra è madre amorevole e feconda, mentre “stati e chiese sono spese” da cui star lontani il più possibile.
Le sue opere, fatte di fiori freschi, materiale di recupero, tenacia e resistenza, sono state esposte anche al Centre Pompidou di Parigi, il Museo Nazionale d’Arte Moderna della Ville Lumiere: “Dio mi ha dato l’amore, mi ha messo in croce e mi ha donato la vita per vincere. Uso la testa, uso il cuore, uso le mani per salvare il domani” spiega Melina, che con il suo dolore ha, in qualche modo, espiato i peccati, forse non del mondo, ma sicuramente i suoi. “Il mondo è migliore se ognuno fa la sua parte” è uno dei messaggi che non si può fare a meno di portar via, insieme alla consapevolezza che non si deve perdere tempo inseguendo inutilità, che siano pensieri, oggetti, persone che non comprendono.
“Non sono impazzita, sono fiorita” afferma mentre le mani veloci realizzano arte, mentre la testa veloce ritorna con la mente a quando ha trascorso in ospedale il periodo più buio della sua intera vita. E, mentre racconta, continua a donare le sue creazioni a chi la ascolta, mentre in cambio chiede l’attenzione all’intera essenza, non solo alla superficie.