Lo studio elaborato dal Sole 24 Ore, che vede Genova posizionarsi al cinquantaquattresimo posto nella classifica annuale basata sul benessere e la qualità della vita in tutti i territori italiani, perdendo sette posizioni rispetto all’anno 2023, ha fatto scattare la preoccupazione delle autorità locali, che sono chiamate a riflettere sulle politiche future per invertire questa tendenza e migliorare il benessere dei cittadini. A tal proposito Gianni Pastorino, consigliere regionale capogruppo della lista Orlando Presidente, ha fatto il punto sui dati emersi e sulle possibili soluzioni da mettere in campo.
Quanto emerso dallo studio è un dato che preoccupa?
“È più che preoccupante, è un dato che deve farci riflettere seriamente. Non si tratta solo di una classifica, ma di uno specchio che ci mostra una città in sofferenza. Solitudine, disuguaglianze, difficoltà economiche: tutto questo si traduce nella vita quotidiana delle persone. È un segnale inequivocabile di una città che si sta impoverendo, dove i problemi vengono nascosti sotto il tappeto, mentre si punta solo su eventi spettacolari e facciate scintillanti. Genova è in difficoltà: oltre 45.000 persone dipendono dai punti di distribuzione alimentare, la disoccupazione cresce e i giovani continuano a emigrare. Questo significa che il modello proposto dall’amministrazione attuale ha fallito: ha alimentato l’individualismo, lasciando sole le persone, senza servizi e senza una vera visione di comunità”.
Parliamo di questi bisogni. Quali sono, secondo lei, i problemi più urgenti su cui intervenire?
“Guardiamo i numeri: il 47% delle famiglie genovesi è composto da persone sole. Questo significa una città che si sta spegnendo socialmente, dove manca quella rete di sostegno che rende vivibile una comunità. Poi c’è il gender pay gap: gli uomini guadagnano in media il 35% in più rispetto alle donne. È una vergogna per una città come la nostra. E non dimentichiamo la questione delle disuguaglianze: siamo penultimi in Italia per distribuzione del reddito. Chi è più fragile è lasciato indietro e questo genera frustrazione, rabbia e insicurezza. È sotto gli occhi di tutti. L’attuale amministrazione ha costruito una frattura tra il centro e le periferie, dimenticando quartieri vitali e popolosi, come se non facessero parte della stessa città. Serve una visione collettiva: non possiamo permettere che alcune aree di Genova siano isolate, tagliate fuori dai servizi e dalle opportunità. Quartieri vivi, mercati rionali, piccole attività commerciali: questo è il cuore di Genova e va tutelato. Altrimenti, avremo una città spezzata e impoverita nella sua identità più profonda. È come se Genova fosse divisa in due: da una parte una vetrina scintillante per pochi, dall’altra la realtà quotidiana di chi fatica ad arrivare a fine mese o di chi si sente solo, di una città nella morsa del traffico. Ecco, questa è la responsabilità politica più grave: aver dimenticato le persone”.
Cosa è andato storto secondo lei in questi anni?
“Non si costruisce una città solo con il cemento o con i tappeti rossi. È scandaloso vedere risorse destinate a progetti che non rispondono ai bisogni reali. Abbiamo quartieri senza spazi accessibili per chi ha difficoltà motorie, servizi sociali insufficienti, trasporti inadeguati. La verità è che questa amministrazione è brava a illuminare le piazze per qualche ora, ma incapace di illuminare la vita quotidiana delle persone. Genova ha bisogno di progetti per chi la vive, non di opere che alimentano speculazioni e disuguaglianze”.
Cosa crede sia necessario per invertire questa tendenza?
“Intanto un lavoro lungo. Credo serva ripartire dalle basi: rimettere le persone al centro. Questo significa investire in servizi pubblici, scuole, sanità territoriale e trasporto efficiente. Serve maggiore attenzione sui servizi essenziali: trasporto pubblico, sanità territoriale, spazi per i giovani. Investire nelle piccole cose che rendono la vita più semplice, perché sono quelle che fanno davvero la differenza. Poi, serve una nuova visione per il porto: non può essere un corpo estraneo alla città. Deve diventare un motore di sviluppo sostenibile, con buona occupazione e connesso al nostro entroterra. Infine, dobbiamo tutelare il commercio locale, perché i piccoli negozi sono l’anima dei nostri quartieri e della nostra identità”.
Come si immagina la Genova del futuro?
“Io immagino una Genova più inclusiva e umana. Una città che sappia creare lavoro e sviluppo perché Genova non è solo turismo ma deve rivitalizzare il proprio tessuto produttivo e creare delle condizioni affinché altri gruppi industriali vengano qui e creino opportunità di sviluppo nel rispetto dell’esigenze del territorio. Una città dove nessuno si sente lasciato solo, dove il lavoro è una garanzia e non un miraggio, dove ogni quartiere è un luogo vivo, con servizi efficienti e spazi di aggregazione. Non una città solo per i turisti, ma una città pensata per chi la vive ogni giorno. Una Genova che torni ad essere solidale, dove chi ha bisogno trova risposte concrete e dove ogni quartiere, ogni persona, è parte integrante di un’unica comunità. Per fare questo servono scelte coraggiose, che mettano al centro le persone e non i profitti. La Genova del futuro è quella che ascolta, che cura, che non lascia indietro nessuno”.
Quindi è ottimista sul futuro di Genova?
“Lo sono, perché credo nei genovesi e nella loro capacità di rialzarsi. Ma dobbiamo smettere di girarci dall’altra parte. Questa classifica ci dice che dobbiamo agire ora. Genova ha le risorse, le competenze e le energie per tornare ad essere una città migliore, ma serve un cambio di passo. Basta con le politiche di facciata, è tempo di guardare in faccia la realtà e lavorare, ogni giorno, per cambiarla. Credo fermamente che le prossime elezioni amministrative rappresentino un momento cruciale per questa città. Serve un vero cambio di rotta, una politica che metta al centro i bisogni delle persone, non gli interessi di pochi o gli eventi di facciata”.