Attualità - 13 dicembre 2024, 08:00

Due mesi di ritardo e sette cassoni che mancano all’appello: Genova aspetta la sua nuova diga con un occhio al mare e uno al calendario

Il mastodontico progetto da un miliardo e trecento milioni di euro (che ora sembrano non bastare più) punta ad allargare il porto consentendo l’ingresso di navi portacontainer lunghe oltre quattrocento metri, ma pesa l’incognita dei tempi

Per scattare una fotografia del progetto della nuova diga foranea di Genova, serve partire dalla fine, da mercoledì 11 dicembre, giorno dell’affondamento del quinto cassone. Sarebbe dovuto sprofondare il 22 settembre, lo ha fatto con quasi tre mesi di ritardo. E si parte da qui, dalla fine, perché è l’emblema di un progetto mastodontico che racconta tra le righe della capacità di pensare in grande che spesso va a sbattere contro le lungaggini.

Il progetto

L’obiettivo è chiaro: un porto capace di accogliere le navi più grandi, portacontainer lunghe oltre 400 metri e larghe 60 che oggi sono il fulcro del traffico marittimo globale. Senza dimenticare le navi da crociera. Ma il cammino è tutt’altro che lineare.
La nuova diga, distante circa 450 metri dalla struttura esistente, sarà lunga oltre tre chilometri, con fondali che scendono fino a 70 metri. Una costruzione pensata per garantire sicurezza e operatività, ma che richiede una tecnologia complessa: 93 cassoni in cemento armato, ognuno pesante migliaia di tonnellate, che andranno posati e riempiti con materiali dragati. E anche qui c’è stato tanto da discutere, con i dubbi sollevati in merito all’impatto ambientale, fino al decreto del Governo che ha sbloccato il riempimento con il materiale di scarto dei cantieri.
Sette milioni di tonnellate di roccia, questa la portata del basamento che servirà per accogliere i cassoni dalle dimensioni imponenti: circa 30 metri di altezza e larghezza per oltre 60 metri di lunghezza.

I ritardi

Finora solo cinque cassoni sono stati collocati, un dato che fotografa un avanzamento del 21%, lontano dal 34% previsto. Secondo il cronoprogramma del consorzio PerGenovaBreakwater, infatti, entro la fine del 2024 i cassoni affondati sarebbero dovuti essere dodici. Obiettivo ora chiaramente irraggiungibile e che testimonia, nella pratica, il ritardo del progetto.
In campagna elettorale, quello del ritardo della diga era argomento tabù per Marco Bucci, evidentemente infastidito da ogni domanda in merito.  Lo faceva scattare come una molla, pronto a ribattere con uno dei suoi “falso” a chi gli faceva notare che i lavori erano in ritardo. Ora, però, a elezioni vinte e davanti all’evidenza dei numeri, anche il neo-governatore ha ammesso che l’intervento non sta seguendo il cronoprogramma per alcuni problemi in fase di collaudo, ma a Vado sarebbero già pronti il sesto e il settimo cassone. Il ritardo, quindi, ammonta a una sessantina di giorni ma, sempre secondo Bucci, il tempo verrà recuperato nei prossimi mesi.

Gli inciampi, la questione ambientale e i conti

Non sono mancati i problemi. Il consolidamento dei fondali, con la posa delle colonne di ghiaia, procede a rilento. Le chiatte, strumenti fondamentali per il cantiere, risultano spesso fuori servizio e talvolta il loro lavoro viene bloccato dalle condizioni del mare. A tutto questo si aggiungono le difficoltà legate alle prescrizioni ambientali sull’uso dei materiali dragati, sbloccate solo di recente grazie a un decreto del Ministero dell'Ambiente. Senza tralasciare chi, anche supportato da fotografie ormai note, sostiene che alcuni cassoni fossero parzialmente danneggiati già prima del loro affondamento, arrivando a mettere in dubbio la resistenza stessa della ‘colonna’ di cassoni che sta prendendo forma al largo di Genova.
Non è solo una questione tecnica. Le associazioni ambientaliste osservano con preoccupazione l’impatto sull’ecosistema marino e sulle attività di pesca, mentre chi vive vicino al cantiere, in zone come Sestri Ponente, lamenta rumori e disagi legati al traffico pesante.
E poi c’è il capitolo economico: il budget iniziale di 1,3 miliardi di euro non basta più, con richieste di fondi aggiuntivi per almeno 160 milioni, complice il caro materiali.

Le prospettive

Nonostante tutto, l’orizzonte resta il 2026. Gli addetti ai lavori, oltre al presidente Marco Bucci, promettono di recuperare il tempo perduto, anche grazie all’esperienza maturata nei primi passi del progetto. E intanto Genova guarda al mare con la consapevolezza di essere di fronte a una sfida che non è solo tecnologica, ma anche simbolica. La nuova diga foranea non è solo un’infrastruttura: è un banco di prova. Per la città, per il sistema portuale e per un Paese che spesso fatica a tradurre i progetti in realtà. Il rischio che resti l’ennesima occasione mancata non si può e non si deve correre. La speranza è che diventi un punto di svolta. Intanto il cantiere va avanti con un occhio al futuro e uno al calendario.