“Vogliamo la Regione a statuto speciale, servirà chissà cosa, ma penso che sia giusto chiederlo”.
Il presidente Marco Bucci non molla in quella che inizialmente sembrava una boutade elettorale e che, invece, nei corridoi del consiglio regionale assume le forme di una volontà concreta. La Liguria come Valle D’Aosta, Sicilia, Sardegna, Friuli-Venezia-Giulia e Trentino - Alto Adige, con una propria autonomia e una indipendenza dallo Stato su svariati aspetti della vita amministrativa. Ma anche con più responsabilità, come vedremo dopo.
“In Friuli hanno il ferrobonus per trasferire i container su ferro o la Zona Economica Speciale e la Zona Logistica Semplificata, mentre noi non possiamo - ha aggiunto Bucci - mi sembra una discriminazione. Anche noi confiniamo con uno Stato estero, anche da noi si parla un’altra lingua. Mi hanno detto che a Ventimiglia parlano il patois”.
Una vera rivoluzione per la Liguria e anche per un Paese che non vede una Regione ottenere la propria autonomia speciale dal 1963, con il Friuli-Venezia-Giulia che portò a termine il lungo e complesso iter amministrativo e politico puntando in particolare sulla protezione delle minoranze linguistiche e sulla gestione di alcune politiche economiche locali.
L'ultima regione a chiedere l'autonomia differenziata in Italia è stata la Lombardia. Nel 2017, la Regione ha avviato un processo per richiedere un maggiore livello di autonomia, seguendo l'iter previsto dalla Costituzione, che permette alle regioni a statuto ordinario di chiedere poteri aggiuntivi su materie specifiche. La Lombardia è stata seguita da Veneto ed Emilia-Romagna, che nel 2018 hanno presentato richieste simili, chiedendo l'autonomia su una serie di settori come la sanità, l'istruzione, i trasporti e l'ambiente. Tuttavia, nonostante il riconoscimento della possibilità di chiedere autonomia, la procedura richiede anche la determinazione dei Livelli Essenziali di Prestazione (LEP) per garantire che i diritti civili e sociali siano uniformemente garantiti in tutto il Paese. Fino ad oggi, nessuna di queste Regioni ha ancora ottenuto un’intesa definitiva, in quanto il processo è legato a negoziati con il governo centrale che potrebbero richiedere diversi anni.
Le Regioni autonome in Italia
Le Regioni autonome italiane sono cinque, e la loro particolarità risiede nello statuto speciale che le rende diverse dalle altre quindici Regioni del Paese. Questa autonomia rafforzata si traduce in una maggiore libertà legislativa, amministrativa e finanziaria, sancita direttamente dalla Costituzione italiana e regolata da statuti che hanno valore di legge costituzionale. Le ragioni di questa differenziazione sono storiche, culturali e geografiche, legate spesso alla necessità di tutelare minoranze linguistiche o di gestire situazioni territoriali peculiari.
La Valle d’Aosta, ad esempio, non ha province e vive un bilinguismo radicato: accanto all’italiano, il francese è lingua ufficiale, e questo legame con la cultura francofona è uno dei motivi principali della sua autonomia. Poi c’è il Trentino-Alto Adige, una Regione divisa in due province autonome, Trento e Bolzano, che di fatto esercitano gran parte delle competenze regionali. Qui, il tedesco è lingua ufficiale insieme all’italiano, e nelle zone ladine si tutela anche questa minoranza linguistica. L’autonomia è un retaggio di complessi equilibri storici e culturali, soprattutto legati alla tutela delle popolazioni di lingua tedesca e ladina.
Il Friuli Venezia Giulia, invece, si distingue per la sua posizione geografica di confine e per la presenza di minoranze linguistiche come gli sloveni e i friulani. Questo ne ha fatto una Regione con competenze speciali, pensate per garantire la coesistenza di culture e lingue diverse.
La Sicilia, prima Regione a ottenere lo statuto speciale nel 1946, ha una storia peculiare. L’autonomia siciliana fu una risposta alle forti spinte indipendentiste che si manifestarono nel dopoguerra, unite alla specificità economica, culturale e geografica dell’isola.
Anche la Sardegna gode di uno statuto speciale, motivato dalle sue caratteristiche insulari e dalla necessità di tutelare l’identità culturale e linguistica sarda.
Le Regioni autonome possono legiferare in ambiti molto ampi, che vanno dalla sanità all’istruzione, dai trasporti alla pianificazione del territorio. In alcuni casi, hanno anche il controllo esclusivo su aspetti fiscali, gestendo direttamente una parte rilevante delle imposte raccolte sul proprio territorio. Questa capacità di autogoverno le distingue profondamente dalle Regioni a statuto ordinario, il cui margine di autonomia è più limitato e vincolato a leggi dello Stato.
Rappresentano quindi un unicum nel panorama istituzionale italiano, un equilibrio sottile tra identità locale e unità nazionale, che si traduce in una pluralità culturale e amministrativa unica in Europa.
L’iter per l’autonomia
Ottenere lo statuto speciale per una Regione italiana è un processo complesso, che si intreccia con il diritto costituzionale e richiede la modifica della Costituzione stessa. Non esiste un iter codificato per trasformare una Regione a statuto ordinario in una Regione a statuto speciale, ma il percorso si basa su passaggi fondamentali che coinvolgono diversi livelli istituzionali e, inevitabilmente, un ampio consenso politico e sociale.
Il punto di partenza è la proposta di una legge costituzionale. Questa può essere avanzata da diverse parti: i membri del Parlamento, il Governo, o persino il consiglio regionale della Regione interessata. Una volta formulata, la proposta entra nel complesso iter parlamentare. Qui, le Camere devono approvare il testo con una procedura più rigorosa rispetto alle leggi ordinarie. È infatti richiesta una doppia approvazione e, nella seconda votazione, una maggioranza qualificata dei due terzi. Se questa maggioranza non viene raggiunta, la legge può comunque passare, ma solo a condizione di essere confermata da un referendum costituzionale.
Il referendum, obbligatorio in assenza della maggioranza qualificata, rappresenta un ulteriore livello di legittimazione. Può essere richiesto da almeno cinquecentomila cittadini, da un quinto dei parlamentari o da cinque consigli regionali. Solo con il consenso popolare, espresso attraverso il voto, la legge costituzionale può diventare effettiva.
Una volta approvata la modifica alla Costituzione, la Regione può procedere alla redazione del proprio statuto speciale. Questo documento è molto più di una formalità: definisce nel dettaglio le competenze legislative, amministrative e finanziarie della Regione, oltre a regolamentare i rapporti con lo Stato e a tutelare eventuali specificità linguistiche, culturali o territoriali. Anche lo statuto, tuttavia, deve essere approvato come legge costituzionale, richiedendo quindi nuovamente il coinvolgimento del Parlamento.
Nonostante la possibilità teorica di intraprendere questo percorso, nella pratica ottenere lo statuto speciale oggi appare estremamente difficile. Le Regioni attualmente autonome (Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Sicilia e Sardegna) hanno ricevuto questo riconoscimento in momenti storici particolari, come il dopoguerra, quando esistevano condizioni geopolitiche e culturali uniche, spesso legate alla tutela di minoranze linguistiche o a rivendicazioni locali molto forti. Oggi, invece, una simile richiesta incontrerebbe enormi resistenze politiche ed economiche, poiché le Regioni a statuto speciale trattengono una quota maggiore delle risorse fiscali raccolte sul proprio territorio, un aspetto che inevitabilmente genera tensioni con le altre Regioni.
La strada per ottenere lo statuto speciale, quindi, non è solo tecnica, ma profondamente politica, e richiede un consenso nazionale difficile da raggiungere nel contesto attuale.
I benefici di una Regione autonoma
Le Regioni a statuto speciale godono di una serie di vantaggi significativi che derivano dalla loro autonomia legislativa, amministrativa e finanziaria. Questa condizione permette loro di adattare norme e politiche alle specificità del territorio, rispondendo in modo più diretto alle esigenze locali. Uno dei principali benefici è la maggiore autonomia legislativa, che consente loro di legiferare in ambiti che per le altre Regioni sono di competenza esclusiva dello Stato. Settori come sanità, istruzione, trasporti, urbanistica e gestione del territorio possono essere regolati con leggi regionali autonome, in alcuni casi senza dover rispettare le direttive statali.
Un altro vantaggio rilevante riguarda l’autonomia finanziaria. Le Regioni a statuto speciale trattengono una quota più alta delle imposte raccolte sul proprio territorio, garantendosi così risorse economiche più consistenti. La Sicilia, ad esempio, trattiene quasi tutte le imposte dirette e indirette, mentre in Trentino-Alto Adige gran parte delle risorse fiscali sono gestite direttamente dalle province autonome di Trento e Bolzano. Questo meccanismo consente alle Regioni autonome di finanziare in modo più ampio e mirato i servizi pubblici, le infrastrutture e le politiche di sviluppo locale.
Un altro aspetto distintivo è la tutela delle minoranze linguistiche e culturali. Queste Regioni sono spesso caratterizzate dalla presenza di comunità linguistiche minoritarie, come i francofoni in Valle d’Aosta, i tedeschi e ladini in Trentino-Alto Adige o gli sloveni in Friuli Venezia Giulia. Gli statuti speciali garantiscono la promozione e la tutela di queste culture attraverso leggi specifiche, istruzione bilingue e politiche che valorizzano l’identità locale. L’autonomia permette anche una maggiore flessibilità amministrativa, come dimostra la Valle d’Aosta, che ha abolito le province e gestisce direttamente le funzioni che altrove sono delegate a questi enti.
Le Regioni autonome possono inoltre introdurre normative specifiche per questioni locali, come la gestione del territorio, delle risorse naturali o del turismo. In Sardegna, ad esempio, esistono leggi particolari per la protezione delle coste, mentre in Trentino-Alto Adige si presta grande attenzione alla tutela ambientale e alla valorizzazione delle Alpi. Infine, le Regioni a statuto speciale possono stipulare accordi diretti con lo Stato per acquisire ulteriori competenze, ampliando ulteriormente il proprio margine d’azione.
Tuttavia, questi vantaggi comportano anche delle responsabilità. L’autonomia implica una maggiore indipendenza, ma anche il dovere di gestire in modo efficiente le risorse e le funzioni. Le Regioni autonome non possono contare su un supporto diretto dello Stato in caso di difficoltà, ed eventuali inefficienze amministrative o sprechi ricadono interamente sulle loro spalle. In questo senso, l’autonomia rappresenta un’opportunità per valorizzare le peculiarità territoriali e culturali, ma richiede una gestione responsabile e un’elevata capacità amministrativa per garantire il benessere della popolazione.