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Meraviglie e leggende di Genova | 24 novembre 2024, 08:00

Meraviglie e leggende di Genova - Quella ‘panna nera’ nata da un garzone distratto

Panna fresca, polvere di caffè arabica e zucchero, questi sono gli ingredienti della pànera, semifreddo tipico della tradizione gastronomica genovese. La sua nascita, però, è avvolta dal mistero

Meraviglie e leggende di Genova - Quella ‘panna nera’ nata da un garzone distratto

Tutto attorno, le stoviglie sembravano non finire mai. Il rumore dei mestoli che sbattevano contro le pentole stava diventando ritmico e lo aiutava nel suo compito: montare la panna.

Lo sguardo attento del mastro pasticciere lo metteva in soggezione ma cercava di far finta di nulla, sarebbe riuscito nel suo compito e avrebbe dimostrato al suo maestro di essere all’altezza.

Poi, improvvisamente, una distrazione e la polvere di caffè che frana inarrestabile nella panna.

Gli occhi del mastro pasticciere saettano tra lui e la ciotola dove il composto era diventato scuro: “cöse t’äe combinou? T’ äe faeto a panna neigra” (cosa hai combinato? Hai fatto la panna nera?).

Nessuna parola, nessun fiato. Il sudore che imperla la fronte del giovane e si fa sempre più freddo.

Ma per qualche strano motivo, il pasticciere infila un dito nella panna e si porta il composto alla bocca. Un gusto sublime, delicato e particolare: è nata la pànera.

Così, secondo la leggenda, a metà Ottocento, sarebbe nato uno dei dolci più amati della tradizione gastronomica genovese.

Nel nome, la pànera racchiude in parte questa storia: si tratta infatti di una contrazione di panna nera, la colorazione tipica che assume la panna con l'aggiunta del caffè.

Le prime tracce di questa ricetta, le cui proporzioni ancora oggi non sono del tutto chiare, si incontrano ne ‘La Cuciniera Genovese’ dei Ratto, risalente al 1863.

Alla voce ‘Panna Gelata’ o ‘pànera’, infatti, si legge che panna, zucchero e caffè devono formare un composto continuamente rigirato all’interno di un secchiello da riempirsi con strati alternati di neve, sale macinato e ghiaccio.

Quindi, quali sono le origini di questo dolce?

In tanti rivendicano la paternità della pànera: da ‘Amedeo’, la gelateria di Boccadasse dal 1927, alla ‘Cremeria di Buonafede’, passando  per la storica Preti, azienda del 1851.

Proprio alla Cremeria Bonafede, vista la tradizione familiare dell’attività che affonda nella seconda metà dell'Ottocento, qualcuno tende ad affidare la paternità della pànera.

Dora, una delle figlie di Giacomo Parodi, a inizio Novecento conosciuto con il soprannome di ‘Buonafede’, perché solito dichiarare la sua buona fede al dazio ogni qual volta si recava a prendere il latte nella valli alle spalle della città, andò in sposa a Nicola Carrea.

Introdotto dunque nell’attività di famiglia, Nicola iniziò ad ampliare le produzioni della latteria, aggiungendo, per esempio, il gelato. 

Sarebbero stati proprio i clienti della latteria Carrea ad apprezzare la pànera, allora poco più di un caffè con la panna montata sopra.

La ricetta del semifreddo sembra comparire per la prima volta con il nome di ‘panna gelato’ nel volume ‘Vera Cuciniera Genovese’ di Emanuele Rossi del 1865: “635. Gelato di panna al caffè. Prendete 2 litri di panna, unitevi un ettogr. di eccellente caffè grossamente macinato, e fatelo scaldare sul fuoco. Quando sarà quasi bollente ritiratelo, aggiungetevi 4 ett. di zucchero fino, facendovelo scioglier bene, lasciate riposare il caffè e colate la panna a traverso un pannolino o staccio molto fitto. Raffreddata che sia, versatela nella sorbettiera, e fate il gelato al modo descritto al n. 632”. 

Nel 1911 Carrea aprì la sua latteria in via Orefici, ancora oggi attiva; due anni dopo le latterie erano nove. 

Punto di riferimento è quella in via Lucoli, Cremeria Buonafede, appunto, gestita dagli eredi del fondatore per linea materna.

Al giorno d’oggi, questo concentrato di delicatezza è una delle tante meraviglie che Genova custodisce e che lascia a chi l’assaggia un piacevole abbraccio di dolcezza e stupore, dati proprio dal connubio dei sapori di panna e caffè.

Ma attenzione a non sbagliare l’accento, cari amici di Milano e dintorni.

Isabella Rizzitano

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