Ogni domenica 'La Voce di Genova', grazie alla rubrica ‘Gen Z - Il mondo dei giovani’, offre uno sguardo sul mondo dei ragazzi e delle ragazze di oggi. Portata avanti per quasi due anni da Gaia Uccheddu, vede ora come autrice Martina Colladon, laureanda in Scienze della Comunicazione, che cercherà, settimana dopo settimana, di raccontare le mode, le difficoltà, le speranze e i progetti di chi è nato a cavallo del nuovo millennio.
Il tema della sicurezza è sempre attuale tra i giovani, e a un anno dalla morte di Giulia Cecchettin ci si trova, ancora una volta, a riflettere sulle difficoltà che ogni giorno affrontano i ragazzi e le ragazze anche solo camminando per le strade della propria città, giorno o notte che sia.
Rientrare a casa, specialmente la sera, dovrebbe essere un gesto quotidiano e innocuo: eppure, quante volte ci siamo trovati a guardare alle nostre spalle, a controllare chi ci segue o a scegliere percorsi più illuminati oppure più affollati anche se meno diretti? Il tema della sicurezza urbana non riguarda soltanto il camminare in strade ben illuminate o deserte, ma include anche l’atmosfera di fiducia o diffidenza che percepiamo.
Nel mio caso, camminare in città varia molto a seconda dell’orario e della zona in cui mi trovo. Di giorno, mi sento generalmente sicura, ma ci sono momenti in cui certi quartieri o vicoli isolati mi fanno accelerare il passo. Non sono poche le volte in cui, anche in pieno giorno, mi è capitato di entrare in un negozio per chiedere aiuto, sentendomi seguita.
Di notte, invece, la percezione del rischio si intensifica: anche il tragitto più breve può diventare fonte di preoccupazione. Sono frequenti le volte in cui evito le cuffie per ascoltare i suoni intorno a me o tengo il telefono in mano, pronto a inviare un messaggio di emergenza. Per me, la soluzione è spesso quella di stare in chiamata con qualcuno che possa sapere esattamente dove mi trovo e restare aggiornato su ogni mio passo. Questo mi dà un senso di compagnia e sicurezza, sapendo che, in caso di bisogno, c’è qualcuno dall’altra parte che può intervenire o allertare i soccorsi.
La scelta dell’abbigliamento diventa anch’essa un pensiero, soprattutto la sera. Se decido di indossare qualcosa di corto o scollato, cerco di coprirmi con un cappotto o una giacca in modo da mascherare il look e sentirmi meno esposta. Questo accorgimento mi dà un po’ di sicurezza in più, ma riflette una realtà triste: adattare il proprio stile non per gusto o comodità, ma per evitare attenzioni indesiderate. È un compromesso che non dovrebbe esistere, ma che continua a influenzare le scelte di molti giovani, uomini e donne, nella loro quotidianità.
Per molti giovani, le app di sicurezza sono diventate strumenti utili per condividere la propria posizione, chiamare un amico o segnalare un pericolo. Personalmente, però, non ne faccio uso. Preferisco affidarmi a metodi più diretti, come rimanere in contatto con qualcuno tramite una chiamata o scegliere percorsi che ritengo più sicuri. Credo che la tecnologia possa essere d’aiuto, ma non può essere l’unico mezzo su cui fare affidamento.
Dal punto di vista della Gen Z è fondamentale che le città e le amministrazioni migliorino l’illuminazione delle strade, aumentino la presenza di personale di sicurezza e promuovano una cultura di solidarietà, affinché tutti possano sentirsi protetti, senza dover dipendere esclusivamente da strumenti digitali. Camminare in città senza paura dovrebbe essere un diritto garantito a tutti. Non è solo una questione di infrastrutture, ma di atteggiamento collettivo, un impegno per costruire città dove il rispetto degli spazi altrui e il sostegno reciproco siano una norma e non l’eccezione.