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Attualità | 11 ottobre 2024, 08:00

Baccicin dü Carü, la trattoria di Mele a "kilometro emozionale" eletta come la migliore d'Italia

Nata nel 1890, oggi è gestita da Gianni Bruzzone, oste dal tono pacato, e dalla sorella Rosella, la cuoca regina dei fornelli. Recentemente, sono stati premiati dalla guida Il Golosario come la trattoria migliore d'Italia e che gli ha conferito la corona rossa unica

Baccicin dü Carü, la trattoria di Mele a "kilometro emozionale" eletta come la migliore d'Italia

Oltre tre generazioni, oltre un secolo di tradizioni: la storia dell'Osteria Baccicin dü Carü, nota attività dell'entroterra ponentino a Mele, inizia nel lontano 1890, oggi gestita dall'oste gentile Gianni Bruzzone e dalla sorella Rosella, la cuoca regina dei fornelli, recentemente premiati dalla guida Il Golosario come la trattoria migliore d'Italia e che gli hanno conferito la corona rossa unica.

Una storia fatta sì di tradizioni ma soprattutto di rispetto del prodotto e in particolare di una tipica calorosa accoglienza che dovrebbe sempre contraddistinguere un'osteria e il suo oste. 

Un punto di riferimento non solo culinario ma anche di storie e racconti. 

Un’avventura iniziata nel lontano 1890 Gianni…qual’è la storia della sua attività e come si è evoluta negli anni?
Inizio con il dire che noi ci troviamo a metà del passo del Turchino e la nostra storia affonda le radici nel 1870, quando è stata costruita la strada che collegava Genova con l’Alto Monferrato. Da quel momento in poi, lungo la via si era spostato il commercio e il transito di carri con i vini che prima percorreva altre strade. Venti anni dopo, precisamente nel 1890, il padre di mio nonno decide di aprire un’osteria così da poter offrire un pasto caldo ai carrettieri. Dopo qualche anno è subentrato mio nonno. Il noto “Baccicin du Carü”, che ha intuito fin da subito il potenziale dell’osteria e aveva avviato una vera e propria commercializzazione con altre osterie e privati, soprattutto agricoltori, per la vendita del vino. A quei tempi il rapporto con quest’ultimi era ben differente da oggi: ci lasciavano un campione di vino che poi a casa io e mia sorella assaggiavamo. Ci mettevamo in camera e bruciavamo il vino avvallandoci dell’ebullioscopio tipo malaga e misuravamo la gradazione alcolica del vino per poi campionarlo. Il fatto è che rimanevamo chiusi per un po' perché non potevamo aprire la stanza, se no rischiavamo di far cambiare la temperatura all’interno ed alterare il risultato. Insomma, uno, due o tre volte: oltre era un po' complicato”.

Perché proprio "Baccicin dü Carü"?
Il nome proviene da un mix di motivi: in primis, perché mio nonno essendo minuto, ai tempi lo chiamavano “baccicin”, termine derivato da “baciccia”; “dü Carü” perché era l’oste di riferimento dei carrettieri che transitavano lungo quella che poi è stata definita la statale 436. Il Turchino era una vera e propria stazione di riposo per i cavalli e nel frattempo i carrettieri riposavano e mangiavano in osteria. Insomma, Baccicin dü Carü era proprio mio nonno”.

Possiamo parlare di una cultura vera e propria del prodotto…
Assolutamente sì. Quando avevo cinque anni, con mio nonno andavamo in treno ad Ovada e lì mi portava a conoscere l’area cascine dove comprare il vino. Nel viaggio, andavamo anche a prendere la carne a Tagliolo da un macellaio di fiducia ed è proprio in quei momenti che mi ha trasmesso la ricerca, il rispetto e la cultura del prodotto, che per me è assolutamente fondamentale. Non solo rispetto nei confronti del prodotto ma anche verso chi ce lo forniva, quindi i contadini. Erano anni in cui non erano trattati bene ma noi rispettavamo chi ci forniva gli alimenti, coloro che ci davano da vivere. Io oggi continuo a portare avanti anche questo aspetto”.

Lei durante la nostra conversazione ha usato il termine kilometro sia in riferimento al prodotto, intendendone l’uso a “km zero”, ma esplicitamente affermando “km emozionale”: cosa intende dire?
Io con kilometro emozionale intendo parlare proprio di quella che è l’emozione nel suo essere tale. Perché non è solo una questione di prodotto a km zero ma è proprio anche nel modo in cui tratti le persone, il rapporto fra te che ti poni come padrone di casa e chi viene da te sedendosi a tavola. Io cerco sempre di non stressare le persone a tavola però, in base a chi mi trovo davanti, quando servo un piatto ci tengo a raccontargli la storia, dal prodotto alla lavorazione e anche il senso stesso del piatto. Ed è qui che trovo il senso di kilometro emozionale Bisogna sempre comprendere le necessità del cliente e ogni volta, seppur la storia apparentemente è sempre la stessa, in realtà cambia, perché ciascun cliente è diverso dall’altro e ogni volta le emozioni son diverse”.

Dovesse ripercorrere la sua clientela… le viene in mente qualche personaggio famoso che è passato dalla sua osteria?
Sì, quand’ero piccolo, seppur i ricordi siano sfocati, era passato Pertini quand’era ancora direttore del Corriere Mercantile; era passato in occasione della commemorazione dei Martiri del Turchino. Ricordo che mio papà gli preparava da mangiare, non era ancora Presidente della Repubblica. Di lui mi rimane in mente una persona umile, che si dava poche arie e che veniva in treno con Pasquale Taraffo per mangiare. Si mettevano a suonare insieme la chitarra classica e appena davano il via, in sala si fermavano tutti a mangiare perché creavano un’atmosfera bellissima”.

Assieme a sua sorella Rosella, lei cuoca e lei oste, come vedete il futuro? Quali progetti avete in campo?
Noi siamo arrivati alla quarta generazione e non abbiamo dei figli che vorranno portarla avanti e quindi io e mia sorella fintanto che le forze ce lo permetteranno, continueremo così. A noi fa piacere perché è un lavoro, l’osteria, che dà soddisfazione. Per noi l’osteria non è solo servire le persone. Le osterie, si dice, dopo le abbazie sono un punto di raccolta”.

Tra le sue creazioni, quali sono i suoi piatti preferiti?
Quella che in assoluto mi emoziona di più è la pastella per fare le frittelle perché me l’aveva insegnata mia mamma. E come secondo piatto direi gli gnocchi, perché ci vedo la manualità di mia nonna e che tutt’ora noi facciamo come li faceva lei ed è davvero importante, perché sono un vero e proprio ricordo”. 

Oggi il mondo del food è travolto da cambiamenti che puntano alla sostenibilità ma anche alla salute… 
Certamente, noi infatti ci teniamo moltissimo a mantenere vive le tradizioni e le ricette ma inserendo un po' di contemporaneità volta alla salute e alla sostenibilità. Ad esempio, abbiamo tolto il burro per il discorso dei grassi e nel sugo di carne, ad esempio, usiamo maggiormente l’olio. Nel corso degli anni ho avuto amici che mi hanno aiutato ad imparare nuove ricette però mi sento sempre ancorato alle buone vecchie ricette. Tutt’ora di queste mi chiedo come mia mamma e mia nonna siano riuscite a realizzarle”. 

Federico Antonopulo

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