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Un Occhio sul Mondo | 24 agosto 2024, 09:00

Cosa ci fa l'Ucraina in Africa?

Il punto di vista di Marcello Bellacicco

Cosa ci fa l'Ucraina in Africa?

Se attualmente si parla di Ucraina, l'immaginario collettivo vola, senza alcun dubbio, verso l'immagine di una Nazione che è stata proditoriamente aggredita dalla Russia e che sta cercando strenuamente di difendersi, impiegando tutte le sue risorse, comprese quelle ingenti che sta continuamente ricevendo dai Paesi Occidentali.

In tale quadro, sulla cui veridicità ognuno di noi scommetterebbe la propria camicia, tutto ci si aspetterebbe tranne che il Paese, da tutti considerato martire, venga associato ad alcune operazioni speciali, condotte nel Mali da un Gruppo indipendentista, in concorso con gruppi jihadisti.

Non ci si aspetterebbe neanche che tre Nazioni africane, Mali, Niger e Burkina Faso, si premurino di rompere le relazioni diplomatiche con Kiev e una quarta, il Senegal, ritenga necessario convocare l'Ambasciatore ucraino per chiarimenti.

Non ci si aspetterebbe neanche che il portavoce del Servizio di Intelligence militare ucraino Andriy Yusov, con tono trionfante dichiari che i ribelli in Mali “hanno ricevuto i dati necessari che hanno permesso loro di portare a termine l’operazione contro i criminali di guerra russi”.

Invece sono tutti eventi successi negli ultimi giorni, creando un certo imbarazzo in chi si impegna quotidianamente, con le proprie opinioni pubbliche, per giustificare la montagna di denaro che viene riversata nelle casse di Zelensky, per combattere l'aggressore Putin.

Vediamo in concreto di cosa si tratta.

Il 27 luglio scorso, presso il villaggio di Tinzaouaten nel nord del Mali, forze jihadiste e gruppi Tuareg dell'Azawad, hanno attaccato una colonna di truppe governative e di nuclei della Wagner, la compagnia militare privata russa, provocando la morte di 47 soldati e 82 contractors, nonché la distruzione di materiale bellico, compresi blindati ed un elicottero.

Il Gruppo Wagner è presente da tempo in molti Paesi africani, a supporto dei governi, nella preparazione delle loro Forze Armate e, qualora necessario, come in Mali, a sostegno diretto delle truppe locali nella condotta delle operazioni. In tal modo, Mosca, colmando il vuoto lasciato da alcune Nazioni occidentali che, più o meno forzatamente, hanno abbandonato il campo, sta cercando di assicurarsi importanti risorse di vario genere, fondamentali anche per il prosieguo della guerra contro l'Ucraina.

In particolare in Mali, la Russia ha recentemente rinforzato la sua presenza, in sostituzione di quella francese che, peraltro, non si rassegna facilmente a tale perdita. Putin ha ottenuto concessioni minerarie e un’influenza politica significativa, in cambio del sostegno militare al governo di Bamako, soprattutto nella sua lotta contro i ribelli tuareg ed i gruppi jihadisti, da sempre ostili al governo centrale, di qualsiasi natura sia.

L'azione condotta alla fine di luglio è stata il maggiore successo ottenuto sinora dai ribelli ed ha scosso fortemente il governo maliano e Mosca, sia per le perdite subite sia, soprattutto, per il modo con cui è stato conseguito. Infatti, gli attaccanti hanno goduto di un consistente aiuto informativo da parte francese ed ucraina, che è stato importante, ma non determinante quanto il supporto fornito da un gruppo di militari di Kiev, che ha addestrato e, molto probabilmente, “mentorizzato sul campo” i combattenti ribelli nell'impiego di droni armati di missili, che nello scontro hanno distrutto molti blindati ed abbattuto l'elicottero.

Come detto, questo significativo contributo è stato rivendicato quasi subito dall'Ucraina, con una imprudente (o sfuggita?!) dichiarazione che ha portato il Mali ad imputare a Kiev una “palese aggressione” e, in particolare, un “sostegno al terrorismo internazionale”. Due accuse che non sono assolutamente peregrine, in quanto trovano fondamento nel Diritto Internazionale, visto che la fazione Tuareg dell'Azawad viene universalmente considerata ribelle ed indipendentista da molto tempo ed i gruppi jihadisti coinvolti sono direttamente legati sia ad Al Qaeda che all'Isis.

Questo coinvolgimento così concreto e tangibile ricorda molto quanto successo in Afghanistan negli anni '80, allorché gli Stati Uniti, pur di contrastare l'invasione sovietica, non esitarono ad armare e sostenere i mujaheddin, compresi quelli di un tale Osama Bin Laden che non si fece poi problemi a rivolgere le sue attenzioni omicide verso l'Occidente, quello che da sempre considerava il suo vero nemico. Oltre al fatto che una parte di quegli armamenti, da usarsi contro le truppe di Mosca, passarono poi nelle mani dei Talebani, divenendo un serio rischio per i reparti della Coalizione Internazionale, compresi quelli italiani, che si preoccupavano su che fine avessero fatto i micidiali Stinger (missili contraerei), che gli USA avevano disseminato nel territorio afghano.

Qualcuno potrà dire “Corsi e ricorsi della storia”, ma parimenti si può ricordare che il Manzoni sosteneva che “la storia insegna che la storia non insegna nulla”, perchè nessuno può giurare sull'affidabilità di questi gruppi terroristici jihadisti, con cui Francia e Ucraina si sono alleati in funzione anti russa, con il probabile “silenzio assenso” americano. Infatti, rimane alta la possibilità che siano gli stessi Jihadisti a sfruttare gli alleati francesi ed ucraini e non viceversa. E se nel passato, i terroristi riuscirono a partire dalle loro basi afghane per colpire in Occidente, figuriamoci se non lo possono fare dal Sahel, che è molto più vicino all'Europa, soprattutto quella meridionale.

Appare chiaro che l'iniziativa francese possa essere finalizzata a recuperare influenza e, possibilmente, anche presenza in un'area di sua tradizionale gravitazione. Tuttavia, proprio in considerazione della sua profonda conoscenza di tale regione, appare altresì ovvio che Parigi sia conscia delle potenziali conseguenze che potrebbe subire e, ancor di più, sia disposta a correre il rischio di pagarle, anche sul proprio territorio.

Per l'Ucraina il discorso risulta essere diverso, come dimostra la reazione internazionale al suo coinvolgimento nell'attacco di fine luglio. Niger, Mali e Burkina Faso fanno parte della Alleanza degli Stati del Sahel, un accordo militare stipulato nel 2023, proprio per garantire la sicurezza in un'area travagliata da tempo, che non ha di certo bisogno di un nuovo attore che, per proprie finalità, agisce in maniera destabilizzante. Di qui la richiesta del Mali di portare all'attenzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU l'operato di Kiev, con le già citate accuse, che non sono di poco conto e possono essere facilmente “cavalcate” da Russia e Cina, con l'eventuale appoggio di uno o più degli attuali 3 Membri non permanenti africani, tra cui spicca l'Algeria (gli altri sono Mozambico e Sierra Leone), che confina con il Mali ed è tradizionalmente un riferimento economico-commerciale per il Paesi del Sahel.

D'altra parte, la possibilità che si vada alla discussione nel Consiglio di Sicurezza viene rinforzata dal fatto che la partecipazione dell'Ucraina agli eventi africani non costituisce una novità. Infatti, già alla fine dello scorso anno, il Kyiv Post, uno dei principali quotidiani ucraini (con versione in lingua inglese), vantava l'apertura del “nuovo fronte africano” da parte di Zelensky, il quale aveva inviato proprie forze speciali in Sudan, a sostegno delle truppe governative, nella lotta contro le milizie ribelli del Gen. Dagalo, a sua volta supportato dalla Russia, tramite la Wagner.

Pertanto, l'impegno di Kiev in Africa sembra far parte di un piano ben stabilito e che, probabilmente, sta cercando di consolidarsi, come comprovano le affermazioni dell'Ambasciatore ucraino in Senegal, che hanno provocato il risentimento del governo locale. Yurii Pyvovarov, immediatamente dopo l'azione di fine luglio, ha pubblicato un trionfalistico post, affermando tra l'altro che “Il lavorò continuerà. Ci saranno sicuramente altri risultati”. I post sono stati poi rimossi, ma i contenuti sono inequivocabili, circa l'intenzione di Zelensky di continuare ad operare in Africa, impegnando risorse economiche, truppe tra le migliori e armamenti tecnologicamente avanzati.

E allora la prima domanda più logica riguarda il fatto se Kiev, in una situazione in cui appare in affanno per la disponibilità di combattenti, da contrapporre ai Russi, si possa permettere il lusso di mandare in Africa aliquote di quelli migliori a cooperare con la Jihad.

Ma la seconda domanda più lecita è inequivocabilmente quella che porta a chiedersi da dove arrivano questi soldi e queste armi utilizzate in Sahel. La risposta potrebbe essere imbarazzante, perchè in un momento in cui i Paesi occidentali, mentori e sostenitori di Kiev a suon di imponenti finanziamenti e cospicui rifornimenti, si stanno interrogando sulla legittimità di utilizzare i propri armamenti sul territorio russo, scoprire che sia quei denari che quelle armi vengono utilizzate da Zelensky per aiutare gruppi legati ad Al Quaeda e all'Isis, sarebbe veramente una bella beffa.

Marcello Bellacicco

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