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Attualità | 07 agosto 2024, 08:30

“Ho tredici anni ma per me il pallone non rotola più”: l’ingiusto sistema delle società calcistiche di fare selezione

Un tredicenne scrive al nostro giornale: “Sono stato scartato perché ho l’asma. Ma lo sport alla nostra età non dovrebbe essere inclusione? Come passerò ora i miei pomeriggi? A giocare con il telefono? Davvero ci volete così?”

“Ho tredici anni ma per me il pallone non rotola più”: l’ingiusto sistema delle società calcistiche di fare selezione

Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa lettera che ci giunge in redazione da parte di un giovane calciatore e che scoperchia un sistema purtroppo consolidato nel calcio giovanile e altrettanto insopportabile e ingiusto. Sinché i bambini fanno parte della scuola calcio, non esistono limiti nelle rose delle varie società, ma quando avviene il passaggio al settore giovanile, e con le partite a undici, si iniziano a scartare individualità, per i più disparati motivi, e lo sport ‘dimentica’ la sua missione principale in queste età: quella di essere formativo ma, soprattutto, inclusivo. Come ‘Voce di Genova’ racconteremo, a contorno di questa lettera, che cosa succede nelle società, e abbiamo chiesto una riflessione anche alla Federazione Italiana Giuoco Calcio. Intanto, cominciamo con la voce di un giovane protagonista, che da un momento all’altro si è ritrovato senza squadra. 

Gentile Redazione, 

Ho tredici anni, sono nell’anno del primo esame, dei baffetti che crescono incolti e delle prime vere cotte. C’è un tempo per ogni cosa mi dicono, ma c’è una cosa, invece, che non passerà mai, dico io. Ho tredici anni e da quando ne ho cinque gioco a calcio, mia mamma dice che se avessi potuto avrei iniziato anche prima, la palla è stata il mio gioco preferito di sempre, tranne quando ne avevo due di anni, quando avevo due anni volevo una Ducati e per Natale la ricevetti, di quelle cavalcabili ma la passione per la ‘velocità’ passò in fretta, quella per il pallone invece no.

Io che vedevo alla televisione i grandi calciatori, li ho imparati tutti a memoria, so persino la formazione di Italia ’90, il calcio lo sento nel Dna come la pasta e la pizza, come biasimarmi tra l’altro, visto che sono cresciuto in un quartiere popolare e ad ogni angolo, per le strade ho sempre visto ragazzi giocare, anche senza reti o strisce per terra, ogni muro andava bene. 

Ho tredici anni e ho sempre pensato di poter giocare per sempre a calcio, anche se non fossi diventato un grande campione, anche se non sarei mai diventato una figurina Panini, ma che ci volete fare: le passioni son passioni.

Poi ho scoperto che a tredici anni non sempre le cose vanno come si è sempre sperato, mi hanno detto un giorno di quest’estate che non avrei potuto più giocare nella mia squadra, di selezione hanno parlato, manco fossimo a Miss Italia… Ma come? Ho detto io… Lo sport non dovrebbe essere libero? “Scusaci, va avanti solo chi è più avvezzo, scusaci va avanti solo chi conosciamo di più, tu sei buono, ma non così tanto, poi soffri d’asma sai com’è”.

No, non lo so com’è e comunque anche Beckham è asmatico, avrei voluto rispondere, e invece ho trattenuto le parole e ingoiato le lacrime. Sì, perché per me il calcio non è solo uno sport, il calcio mi fa sentire vivo e in preadolescenza non c’è nulla di più grande che sentirsi vivo, per me non è solo uno sport, è uno sfogo, è il riuscire a buttare fuori l’energia che ho, “è come un fuoco, è come se volassi, è elettricità”.

Forse se magari faceste più squadre, aveste più campi a disposizione, magari ecco potrei continuare. Ma i campi non ci sono perché le amministrazioni preferiscono costruire più supermercati che palazzetti dello sport e perché per fortuna ci sono ancora le scuole calcio e fino ai dodici anni non possono mandare via nessuno, perché bisogna incoraggiare le attività sportive no? Ma solo a tempo determinato evidentemente. È così che il gioco del calcio è diventato anche competitività, antisportività, e invece di essere uno sport di squadra si sta trasformando inesorabilmente in uno sport individuale dove ognuno guarda per sé e la valenza educativa di un tempo l’hanno messa in panchina.

Dov’è andato a finire il vero significato di rete? Quella sociale? In cui ognuno faceva la propria parte? La scuola, le società sportive? Dov’è andato a finire il fine ultimo dell’aggregazione? Adesso che ho tredici anni e non posso giocare più a pallone nella società vicino a casa, come passerò i miei pomeriggi? Giocherò con il telefono? Diventerò un secchione? Dovrò per forza trovare un altro sport? E se non volessi? Chi si è messo in testa di decidere per me su una delle certezze che avevo nella vita?

Adesso mi sento perso, palleggio con i pensieri e la rimessa laterale è diventata la nausea per questi adulti che non ci pensano, questi adulti che fanno scelte sbagliate sulla nostra vita, magari potrei andare a giocare nel reparto surgelati dell’ennesima Esselunga costruita o fare goal davanti al garage di mamma o scendere in piazzetta sotto al cartello ‘vietato giocare al pallone e schiamazzi’ dove qualcuno di simpatico ha aggiungo con uno spray ‘allora mi drogo’, che alla fine non ci è andato così lontano.

Se ci lascerete soli, se non crederete in noi, nelle nostre qualità ma anche semplicemente nelle nostre passioni, se non farete qualcosa per noi, se non sapremo dove andare, forse perderete l’unica occasione per parlare con noi e per prenderci per mano come risorse, perché se crediamo nei sogni, è per quello che ci avete raccontato, per questo fare goal è così importante, in porta, così come nella vita.

Ho tredici anni e vorrei tanto continuare a giocare a calcio ma non posso. Questa è la mia lettera di denuncia.

Adesso la palla la passo a voi.

Lettera firmata

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