Fare un tuffo al mare per rinfrescarsi sembra essere un ricordo. Il Mar Ligure ha infatti registrato, ormai da giorni, temperature record che superano anche i 28 gradi, secondo i dati captati dalla boa di Arpal posizionata a Capo Mele. Si tratta dell’unico strumento presente nel mar Ligure per misurare e trasmettere i dati utili per il monitoraggio e gli studi scientifici legati alle opere costiere e ai cambiamenti climatici. La boa è posizionata a due miglia al largo, è ancorata su un fondale di circa ottanta metri e si trova in un punto strategico che permette di caratterizzare sia il tratto costiero Ventimiglia-Andora, sia quello Alassio-Savona, grazie alla diversa azione delle correnti che risente di entrambi i tratti. Va sottolineato, però, che essendo posizionato al largo, questo strumento capta valori che possono essere in realtà più alti avvicinandosi alla costa.
Nonostante il funzionamento abbia avuto qualche periodo di interruzione dal 2012, anno in cui è stata posizionata, la temperature superficiale del mare registrata in questi anni ha raggiunto il valore massimo di 28,8 gradi nel luglio 2016 nello stesso mese del 2022.
L’aumento delle temperature del mare causa ovviamente problemi alle specie di pesci che, in quelle acque, ci vivono e che rischiano di lasciare le zone dove abitualmente si trovavano a trascorrere la stagione estiva: “Se l’acqua si riscalda, alcuni pesci cercano di andare più a largo per cercare acque più fresche - spiega Daniela Borriello, responsabile nazionale di Coldiretti ImpresaPesca -. Inoltre, le imbarcazioni dei pescatori sono spesso di sette, otto metri di lunghezza, e non riuscirebbero nemmeno volendo a spingersi più al largo. La maggior parte di queste ha le autorizzazioni della Capitaneria di porto per poter pescare entro tre o sei miglia, anche per motivi di sicurezza degli stessi operatori”. Il risultato è chiaro: “Se i pesci si spostano al largo, i pescatori non li trovano più nelle aree in cui di solito andavano. I nostri pescatori hanno notato che di alcune tipologie di pesci si trovano meno esemplari o non se ne trovano affatto, magari anche quelli che in questa stagione pescavano abbondantemente, come le cavalle, un pesce povero che non si riesce più a trovare nei nostri mari”.
IL PROBLEMA DELLA DIGA
Il Mar Ligure, e soprattutto quello davanti al capoluogo, si trova ad affrontare anche un altro fattore che mette a rischio la pesca: “A Genova c’è un altro elemento, oltre al riscaldamento delle acque, che incide sulla diminuzione del pescato, e cioè i lavori in corso per la costruzione della nuova diga. Purtroppo i detriti che stanno riversando in mare per realizzare la piattaforma su cui poi mettere i cassoni stanno impattando sui pesci. Alcuni pescatori mi hanno girato dei video, e le acque rispetto a prima sembrano un po’ più scure. Sarà la concomitanza dei due fattori, ma anche questo ha inciso sulla modifica della fauna ittica, quindi sul fatto che alcuni pesci non ci sono. Andremo a discutere in capitaneria proprio per trovare risposte a questi temi”.
L’AUMENTO DEI PREZZI
Se diminuisce la disponibilità di alcune specie di pesce, il mercato vuole che, naturalmente, il prezzo aumenta: già in questi giorni si è assistito a un generalizzato innalzamento dei costi di alcune tipologie, che potrebbero avere un importante impatto sulle abitudini di consumo: “Se alcune tipologie non si trovano, se ne trovano altre. Il rischio è che in pescheria si trovi del pesce di importazione, che non arriva dai nostri mari, a discapito del pescato locale. Chi fa vendita diretta vende solamente quel che è riuscito a pescare, ma è diverso per le altre realtà”. Il consiglio di Borriello è quello di sostenere i pescatori locali: “Quello che io consiglio sempre è di acquistare direttamente produttori. Coldiretti a Genova ha il mercato della Darsena, ma comunque in generale in tutta la Liguria ci sono tanti punti di vendita diretta, banchetti dove i nostri pescatori vendono direttamente il pescato proprio appena arrivati in porto. Questi acquisti aiutano i nostri operatori, aiutano l'ecosistema e premiano anche a livello economico: esistono tante tipologie di pesce povero, come le triglie per esempio, e che costano poco. Acquistare il pesce dei nostri mari è anche garanzia di freschezza: il pesce che arriva da fuori è sicuro e di qualità, ma ha comunque qualche giorno di viaggio alle spalle e non sarà mai fresco come il pescato locale. Nelle etichette, sia in pescheria che nella grande distribuzione, dovrebbe essere indicata la zona FAO 37.1 che è tutto il Mediterraneo, però poi nel dettaglio dovrebbero essere indicata anche la zona specifica di provenienza”.
Uno dei pesci più amati e cucinati a Genova è l’acciuga: che sia fritta, ripiena o al verde, è uno dei simboli della città. Anche queste sono a rischio? “A oggi dobbiamo dire che di acciughe ce ne sono: tendenzialmente si pescano da marzo / aprile e fino a settembre, si muovono a banchi e anche se si spostano per cercare punti dove l’acqua è più fredda si riescono comunque a prendere. Le dimensioni poi dipendono dalle annate, ma non dipende dal riscaldamento globale: ci sono state stagioni in cui le pezzature erano più grandi, anche per lunghi periodi, oppure momenti in cui si trovano solamente esemplari più piccoli: questo dipende da altri fattori”.
IL REPORT DEL WWF SUL MAR MEDITERRANEO
È stato pubblicato nel giugno 2024, in occasione della Giornata mondiale degli Oceani il report del WWF sul ‘Mediterraneo bollente’, che spiega come il triste primato del nostro mare sia ormai un vero e proprio indicatore del cambiamento climatico. “A causa dell’assorbimento del calore in eccesso provocato dal surriscaldamento globale, gli oceani stanno subendo un costante aumento della temperatura sin dagli anni ’70. Nel periodo 2011-2020 la temperatura ha subito un aumento medio dello 0,88°C rispetto al periodo 1850-1900. Le proiezioni indicano che questa tendenza continuerà. Nell’aprile 2023, infatti, la temperatura media della superficie del mare ha raggiunto un nuovo record di 21,1°C” si legge sul sito dell’organizzazione. Il fenomeno crea disagi anche irreversibili sugli ecosistemi marini, che comportano conseguenze su pesca, turismo e sulla salute dell’uomo. “L’impatto più rilevante è però sul ruolo chiave che hanno gli oceani per la termoregolazione del clima globale (con il sistema di correnti oceaniche, noto come “Nastro Trasportatore” o “Circolazione Termoalina” che trasporta le acque calde dalle regioni tropicali verso le latitudini più elevate, dove si raffreddano, affondano e ritornano verso i tropici in un ciclo continuo), la produzione di ossigeno (50% dell’ossigeno generato sul nostro Pianeta, in gran parte attribuibile al fitoplancton marino) e l’assorbimento di anidride carbonica (ogni anno circa un quarto dell’anidride carbonica che viene emessa, corrispondente ad almeno il 30% di tutte le emissioni di CO₂ generate dalle attività umane in tutto il mondo). Sotto il peso degli effetti del cambiamento climatico globale il ‘respiro’ degli oceani è sempre più in affanno: è necessaria un’azione urgente per abbattere ulteriori emissioni di gas serra e per aumentare la resilienza dell’ecosistema marino agli impatti del cambiamento climatico, proteggendo la biodiversità” spiega ancora il WWF.