Si conclude, almeno per ora, questa rubrica che in questi mesi ha voluto valorizzare il dialetto ligure in tutte le sue sfaccettature, dimostrando di essere una lingua ancora viva.
Dopo l'intervista a Gilberto Volpara (si può leggere qui), al professore Franco Bampi (si può leggere qui), ad Anto Enrico Canale (si può leggere qui), a ‘Cito’ Opisso (si può leggere qui), a Francesco Pittaluga, (si può leggere qui), ai Buio Pesto: Massimo Morini e Nino Cancilla (si può leggere qui), al rapper genovese Mike fC (si può leggere qui), a Rita Bruzzone (si può leggere qui), ad Andrea Di Marco (si può leggere qui), a Giampiero Cella (si può legge qui), a Paolo Regati (si può leggere qui) e a Marco Carbone, in arte “U Carbun” (si può leggere qui), allo storico e archeologo Ennio Cirnigliaro (si può leggere qui), al direttore di bande musicali Cesare Garibaldi (si può leggere qui), al giovane rapper Giovanni Cambiaso, in arte Garsonetto (si può leggere qui), Carlo Sparviero, titolare dell’Ottica Sparviero (si può leggere qui), al cantautore Beppe Gambetta (si può leggere qui), all’autore e rielaboratore di classici Bruno Gattorno (si può leggere qui), a Vladi Zullo, leader de I Trilli (si può leggere qui), alla compagnia di teatro dialetto “Quelli de na votta” (si può leggere qui), al cantautore Davide Cabona (si può leggere qui), a “I Demueluin” (si può leggere qui), a Vinicio Raso, forza motrice del centenario della stazione di Sestri Levante (si può leggere qui), a Franco Po, della sagra del Bagnun, (si può leggere qui), al “balinone” Tipo Mustopo (si può leggere qui), oggi abbiamo incontrato l’artigiano e artista Franco Casoni.
In un angolo di Chiavari, dove il passato glorioso delle botteghe artigiane sembra ancora echeggiare, Franco Casoni ha creato uno spazio unico che unisce la tradizione dell'intaglio con la creatività artistica.
Casoni, ottant’anni, l'ultimo intagliatore di polene, ha trasformato la sua bottega in un "museo d'impresa", un luogo dove l'artigiano e l'artista convivono in armonia.
L’INTERVISTA:
“A Chiavari si realizzavano tanti mobili intagliati. Qui c’erano manifatture importanti. Noi nasciamo come intagliatori. Ultimamente però sono cambiate le abitudini delle persone, i giovani preferiscono andare all’Ikea e comprano mobili di poco valore. Siccome ho fatto la scuola d’arte e sono scultore, ho deciso di fare lo scultore: realizzo immagini di persone come se fossero delle polene e lavoro su committenza”.
Come nasce la passione per questo mestiere? Come si è avvicinato a quest’attività?
“Mio padre, Arnaldo, faceva scarpe, era un bravo artigiano che aveva una calzoleria. Mio papà, intelligentemente, aveva notato che da piccolo mi piaceva disegnare così mi ha mandato da un bravo scultore di Portofino. Durante l’estate, tutti i ragazzini, figli di artigiani, andavano a imparare il mestiere da un altro artigiano. Non come ora che i ragazzi si annoiano e giocano continuamente con il telefonino e altre sciocchezze simili. Noi andavamo a imparare un mestiere. Un anno si andava dal ciclista, il secondo dal tipografo e così via. In questo modo ti rendevi conto di quale era la tua vera passione. Da quell’esperienza si faceva poi la scuola più adatta. Io, ad esempio, ho poi studiato all’istituto d’arte. Quindi l’artigiano mandava il figlio da un altro artigiano”.
È riuscito a portare avanti questa tradizione?
“Sì. Io sono del 1944 e quest’anno compio 80 anni. Sono 65 anni che faccio questo lavoro e in passato ho avuto diversi allievi. C’è chi poi ha fatto il restauratore di mobili, chi invece (pochissimi in realtà) ha fatto l’intagliatore. Nel frattempo è cambiato il mondo”.
Questa bottega si è dunque trasformata in una sorta di mostra?
“Attualmente questo luogo, considerando il cambio delle esigenze, è diventato un ‘museo d’impresa’. Qui accanto alla bottega c’è uno spazio: ora è presente una bella esposizione di un artigiano molto bravo che tornisce legno ‘esotico’. L’ho chiamato ‘spazio Casoni’, proprio perché mi chiamo Casoni. Lì ho ospitato bravi pittori, uno spazio per gli altri, molto interessante. Nel frattempo, oltre alla scomparsa delle botteghe, noto una chiusura delle gallerie d’arte. Ad oggi la galleria d’arte non può sopravvivere perché le persone, in questo periodo storico, ha altri pensieri. Mi dispiace dire questo”.
C’è un’opera a cui è particolarmente affezionato?
“Ne ho realizzato diverse. Penso ad esempio alle polene ma ce n’è una che ora ti faccio vedere in foto che per me è importante. L’ho realizzata nel 1985, è un Cristo morto che ho realizzato per un grande pittore, morto da giovane, Giovanni Job. Lui faceva delle incisioni, in questo caso una via crucis, molto grandi. Alla fine del percorso c’è la mia opera. Questa è un’opera a cui tengo.
Poi, nel 1979, ho realizzato questa grande cassa processionale della trinità. Qui trovi tutti i passaggi, dall’inizio con l’assemblaggio dei pezzi di legno fino all’opera conclusiva che hanno poi fatto rivestire d’oro a Genova.
Io sono felice quando l’opera esce dalla bottega. Non mi affeziono a nulla. L’opera è un po’ come i figli, li fai e poi devono andare per il mondo senza doverli sempre far ritornare a casa”.
Qui si parla il genovese?
“Pochissimo. Ci sono delle associazioni che stimolano ma mi fanno sorridere perché queste persone si illudono di parlare un dialetto corrente utilizzando però termini troppo antichi. Chi chiama ‘dirindon’ per dire comodino?! Mi fa piacere che queste persone siano colte ma se si vuole che la lingua sia affettivamente viva, bisogna uniformala con le esigenze della quotidianità”.
Franco Casoni rappresenta un esempio straordinario di come tradizione e innovazione possano coesistere. La sua capacità di adattarsi ai cambiamenti del mercato, mantenendo viva l'eredità dell'intaglio artigianale, è una testimonianza della sua dedizione e passione. La sua bottega non è solo un luogo di lavoro, ma un vero e proprio santuario dell'arte e dell'artigianato, dove ogni pezzo racconta una storia e ogni dettaglio riflette l'anima del suo creatore.