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Attualità | 06 luglio 2024, 08:00

Lo Sport che amiamo - Paolo Ragosa: "La pallanuoto: poco visibile, ma insegna la vita"

Il campione del mondo e allenatore, originario di Voltri: "Ma occorre più attenzione: se uno a scuola pratica sport ad alto livello, invece di essere un valore aggiunto è penalizzato"

Lo Sport che amiamo - Paolo Ragosa: "La pallanuoto: poco visibile, ma insegna la vita"

Prosegue questo sabato, e andrà avanti per tutti i sabati successivi, ‘Lo Sport che amiamo’, una rubrica dedicata a personaggi e storie di sport della nostra città e della nostra regione. Ci piace raccontare quel che c’è oltre il risultato sportivo: il sudore, la fatica, il sacrificio, il duro allenamento, l’impegno, le rinunce, lo spirito del gruppo. Tanti valori che vogliamo portare avanti e mettere in luce con quello che sappiamo fare meglio: comunicandoli. Comunicarli significa amplificarli, ed ecco perché lo sport può diventare, sempre di più, ‘Lo Sport che amiamo’. Ci accompagna in questo percorso un giovane di belle speranze: Federico Traverso, laureando in Scienze della Comunicazione. L'ospite di oggi è Paolo Ragosa, campione di pallanuoto.

Paolo Ragosa, una vita dedicata alla pallanuoto. Una passione che per lei nasce fin da subito, arrivando all’esordio in prima squadra in Serie B giovanissimo, a 17 anni.
“La passione per la pallanuoto nasce a Voltri, mio luogo d’origine, dove all’epoca c’era probabilmente l’unica piscina adibita alla pallanuoto, costruita nel 1954. Lì, tutti i bambini passavano per la pallanuoto, per cui mi sono trovato a sei o sette anni con il mio gruppo di amici in piscina, d’estate, a giocare a pallanuoto. Contemporaneamente, d’inverno si giocava a calcio ma non ero così portato, quindi scelsi la pallanuoto abbastanza presto”.

Durante la sua incredibile carriera ha giocato nei migliori club italiani, vincendo titoli nazionali e internazionali. Ha anche avuto modo di conoscere Eraldo Pizzo, per lei il più grande pallanuotista a livello mondiale. Com’è stato conoscerlo?
“Ho conosciuto Eraldo quando lui era capitano della Pro Recco. Avevo sedici o diciassette anni, e venne a bussare alla porta di casa chiedendo a mio papà se avessi potuto andare a giocare a Recco. Mio padre disse di no, anche perché non conosceva nemmeno la pallanuoto. Ho avuto l’onore di giocare con Eraldo e di vincere uno scudetto a Bogliasco, e di vincere la Coppa Campioni con lui come presidente. Lo definisco il più grande perché è uno dei pochissimi, se non l’unico, che giocherebbe molto bene ancora oggi. Eraldo Pizzo è un giocatore per ogni tempo. Ci sono stati altri giocatori di livello mondiale, lo stesso De Magistris era un grandissimo, ma Eraldo è stato il più grande di tutti”.

Ha fatto parte della squadra vincitrice del Mondiale a Berlino Ovest nel 1978, il primo nella storia della pallanuoto italiana. Cosa ricorda di quell’esperienza?
“È stato il primo titolo mondiale vinto da una Nazionale italiana dai tempi del Campionato del mondo di calcio del 1938. Ad oggi altre Nazionali hanno conquistato titoli nelle varie discipline, ma all’epoca eravamo gli unici. È stato un titolo sicuramente inaspettato, anche se eravamo tra le quattro nazionali più forti assieme all’Ungheria, l’URSS e la Jugoslavia. Io ero tra i più giovani della squadra, ed è stata un’esperienza meravigliosa che mi ha accompagnato per tutta la carriera e continua a farlo ancora oggi. È un qualcosa che rimane attaccato alla pelle”.

Come è cambiata la pallanuoto negli ultimi anni?
“Si tratta di uno sport che nasce scimmiottando il calcio portandolo in acqua. Il periodo più buio è stato quello degli anni Novanta, in cui lo sport “scopiazzato” era la pallamano: in quegli anni i giocatori slavi hanno portato un gioco statico, di forza, fatto di tiri piazzati che non mi piaceva per niente. Oggi, invece, l’evoluzione arriva dal basket ed è qualcosa, a mio avviso, di positivo. C’è meno fisicità rispetto a quindici anni fa, a beneficio del movimento. Per quanto riguarda la popolarità, la pallanuoto continua ad essere uno sport poco visibile dal punto di vista mediatico. In Italia siamo indietro rispetto ad altri Paesi: mi viene in mente la Spagna, che possiede una scuola di pallanuoto molto più organizzata in cui le ragazze e i ragazzi di dodici o tredici anni sono già selezionati e seguiti. Da noi ogni tanto emerge qualche talento, ma non c’è uno stile, una linea da seguire. È uno sport poco visibile, siamo popolari alle Olimpiadi perché si va quasi sempre a medaglia, ma per il resto siamo indietro”.

Dopo l’attività agonistica ha intrapreso la carriera da allenatore, anche quella ricca di successi. In che modo trasmette la sua esperienza ai giocatori/giocatrici?
“Mi riconosco un merito: trasmetto una passione che rimane per la vita. Ho trascorso otto anni a Roma dove ho messo le basi per una società di pallanuoto femminile che è tra le più importanti d’Italia, e leggo i nomi di quasi tutte le ragazze che sono passate da me nelle formazioni delle squadre. È questa la cosa più bella".

Per lei anche tanto lavoro nei settori giovanili, un’area fondamentale per la crescita dei singoli club e, più in generale, di tutto il movimento pallanuotistico italiano. 
“Sì, anche se tante volte le società trascurano questo settore. Non voglio generalizzare, anche perché tante società si basano sul settore giovanile, ma noto una cattiva gestione a livello di sport italiano. Rispetto ad altri Paesi, come la Francia, per quanto riguarda la pallanuoto siamo indietro anni luce. Ti faccio un esempio pratico: la Pro Recco è sì trainante, ma se dall’oggi al domani non ci fosse più, sprofonderemmo nell’abisso. Le squadre iniziano anche ad avere tanti stranieri, e i giovani non vengono fatti crescere correttamente. È un problema che parte dalle basi: se a scuola uno studente pratica sport ad alto livello, invece di essere un valore aggiunto è penalizzato. Bisognerebbe premiare chi dedica del tempo allo sport, perché contribuisce alla formazione della persona. Quando tornai a scuola felice dopo aver vinto gli Europei giovanili a Barcellona, l’insegnante di navigazione mi rifilò un due o un tre e mi chiese spiegazioni sul perché non avessi studiato".

Tra poco sarà tempo di Olimpiadi. Come vede la Nazionale a pochi giorni dall’inizio della competizione?
“Giusto l’altro ieri mi ha fatto impressione, guardando la Sardegna Cup, la quantità di giocatori che potrebbero giocare in Nazionale. È un gruppo di atleti nutrito, e non sarà facile per il tecnico fare delle scelte su chi giocherà e chi no. Questo è ovviamente un bel segnale, perché vuol dire che la rosa non è risicata. In campo maschile ci sono tante altre nazionali forti, come la Spagna o l’Ungheria: noi possiamo arrivare sia primi che sesti, e comunque andrà non sarà un disonore perché la competitività è alta.
 Nel femminile invece la mancanza di un settore giovanile più strutturato si fa sentire maggiormente, e quindi sarà difficile trovare un ricambio generazionale una volta che questo ciclo terminerà. Le nostre ragazze però hanno qualità ed esperienza, ed ogni risultato è possibile. Anche nel femminile le squadre sono molto forti, quindi anche non arrivare tra i primi non sarà un fallimento. E questo è sicuramente un bene per la pallanuoto”.

 

Federico Traverso

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