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Attualità | 29 giugno 2024, 08:15

Lo Sport che amiamo - Bruno Danovaro: "A cinquantasei anni entro in palestra e ancora mi commuovo"

Campione di judo, ha vinto nella sua carriera 117 incontri su 117: "Per me fare sport è un godimento. La sera mi emoziono nel fare la borsa e piegare il kimono, come se avessi ancora nove anni"

Lo Sport che amiamo - Bruno Danovaro: "A cinquantasei anni entro in palestra e ancora mi commuovo"

Prosegue questo sabato, e andrà avanti per tutti i sabati successivi, ‘Lo Sport che amiamo’, una rubrica dedicata a personaggi e storie di sport della nostra città e della nostra regione. Ci piace raccontare quel che c’è oltre il risultato sportivo: il sudore, la fatica, il sacrificio, il duro allenamento, l’impegno, le rinunce, lo spirito del gruppo. Tanti valori che vogliamo portare avanti e mettere in luce con quello che sappiamo fare meglio: comunicandoli. Comunicarli significa amplificarli, ed ecco perché lo sport può diventare, sempre di più, ‘Lo Sport che amiamo’. Ci accompagna in questo percorso un giovane di belle speranze: Federico Traverso, laureando in Scienze della Comunicazione. L'ospite di oggi è Bruno Danovaro, campione di arti marziali.

Bruno Danovaro, come è nata la tua passione per le arti marziali?
“Avevo nove anni, vivevo in via Cantore a Sampierdarena con i miei genitori e fui folgorato dal judo. Era stato indicato dal professor Chiossi, all’epoca il vice primario del Gaslini in pediatria e amico di famiglia, a causa della mia esuberanza. Quindi, dopo aver provato vari sport come il nuoto, il pattinaggio, la ginnastica o il minibasket, su consiglio del professore andai a fare judo. In quell’anno mi trasferii con i miei genitori a Milano, e continuai a praticare il judo perché mi dava la possibilità di lottare, un qualcosa che fa parte del mio DNA”.

A vent’anni decidi di partire per gli Stati Uniti dove ottieni grandi successi, finendo per due volte ospite alla Casa Bianca. Hai detto che oltreoceano la «considerazione dello sport e degli sportivi è molto diversa da quella italiana», ce lo spieghi meglio?
“Nonostante eccellessi nel judo, tanto da fare una selezione olimpica per i Giochi di Seul nel 1988, ho capito che non si guadagnava molto. Per questo, data la mia forza naturale mi sono buttato nel power lifting, le alzate di potenza. Ho vinto molte gare in Italia, poi il Mondiale juniores a Göteborg e successivamente sono andato negli Stati Uniti. Lì, c’è una grandissima differenza rispetto all’Italia: non è importante lo sport che pratichi, conta il fatto che tu sia il numero uno. Negli Stati Uniti ho fatto il salto di qualità nella pesistica, pur continuando ad allenarmi nel judo e nella lotta, le mie vere passioni. Ho avuto successo, ho inanellato vari record e mi sono guadagnato il titolo di “uomo più forte del mondo”, sempre in maniera pulita. Una volta rientrato in Italia ho ripreso le arti marziali, vincendo e spaziando in ogni disciplina possibile: io amo lo sport a 360°, a prescindere dai risultati sia sportivi sia economici”.

Una tua giornata-tipo di allenamenti?
La sveglia è alle 4:30, alle 5:00 vado a correre per circa 10 chilometri, poi scalinate su e giù e un paio di riprese di sparring. Alle 15:00 il secondo allenamento di lotta, mentre alla sera allenamento funzionale e sparring. Oltre allo sport, le mie passioni sono i cavalli, il tiptap e il canto lirico, e all’alba dei cinquant’anni sono diventato ufficialmente stuntman: sento sempre il bisogno di provare cose nuove”.

Nella tua carriera hai infranto vari record, e tutt’oggi sei imbattuto con 117 vittorie su 117 incontri. Dove trovi la forza mentale e la motivazione per continuare a competere (e a vincere) dopo tutti questi anni?
Ho infranto vari record tanto che all’epoca il professor Dalmonte, il direttore delle cliniche del CONI, aveva rilasciato delle dichiarazioni ufficiali insieme all’ex medico dell’Inter Piero Volpi dicendo che nel mio caso c’era un “cocktail perfetto” tra apparato cardiocircolatorio e apparato scheletrico, il che portava a queste prestazioni. Feci però anche ricerche a livello celebrale e motivazionale e il dottor Michele Bianchi, primario di cardiologia, voleva capire cosa spingesse una persona ad avere queste prestazioni. Il 30 settembre compirò 56 anni, ma mi alleno tre volte al giorno e continuo a battere venticinquenni o trentenni, e questo ha un interesse anche a livello medico-scientifico. Dove trovo la motivazione? Tanti anni fa, il maestro cinese che portò in Italia il kung-fu, Chang Dsu Yao, vedeva in me un divertimento fisico e mentale come la ragione dei miei risultati. Quando entro in palestra quasi mi commuovo, è come se entrassi in un parco giochi, e questo vale per tutti gli sport che pratico, dalla corsa al tennis, dal golf alla bicicletta. Per me fare sport è un godimento. Ancora oggi la sera mi emoziono nel fare la borsa e piegare il kimono, come se avessi ancora nove anni. Oltre a questo, lo stimolo maggiore viene dalla possibilità che ho di aiutare gli altri, di restituire qualcosa alla comunità”.

Infatti, le arti marziali possono essere utili anche per imparare a difendersi e a difendere gli altri in situazioni di pericolo...
Assolutamente, dove posso, intervengo. Per le mie caratteristiche sono intervenuto molte volte per aiutare ragazze o ragazzi in pericolo. Il mio consiglio è quello di rivolgersi alle persone competenti e alle forze dell’ordine. Per imparare a difendersi, sarò sincero, ci vuole del tempo. Bisogna diffidare da chi promette di insegnare tutto in dieci lezioni: qui si parla di acquisire una mentalità di un certo tipo. Ho visto dei campioni del mondo di thai boxe o di pugilato non saper difendersi in strada, lo sport è un discorso a parte. Quando qualcuno mi contatta per la difesa personale, preferisco insegnargli tre o quattro tecniche essenziali e ripetute piuttosto che un’infinità, cosicché il cervello le applichi nel momento del bisogno. Tutto questo nonostante la violenza, nella vita, sia sempre da evitare a meno che uno non sia costretto”.

Ti sei sempre definito un ambasciatore dei valori sani dello sport e questo per te si traduce anche in un forte impegno sociale, ad esempio contro il doping.
“Per me lo sport deve essere qualcosa di salutare, con cui la chimica non deve avere nulla a che fare. Dal mio punto di vista lo sport è sacrificio, non deve essere mescolato con “porcherie”: secondo me è inutile arrivare a trent’anni vincendo tutto per poi morire a quaranta. Sono scelte personali, posso non essere d’accordo, ma nel caso in cui queste sostanze vengano usate sfruttando l’ingenuità dei più giovani allora intervengo. Lo sport deve affondare le sue radici anche su basi culturali”.

Quali sono i tuoi prossimi impegni?
“Il prossimo impegno sarà in Costa Azzurra, a Villeneuve-Loubet, cittadina a cui sono molto legato, e sarà un incontro di Kyokushinkai, il karate a contatto pieno. Oltre a questo, sto lavorando ad un progetto teatrale al Govi di Genova in cui vorrei ripercorrere la mia vita, focalizzando le varie tappe con una canzone che le rappresenti. È un progetto che vorrei sviluppare sia a livello teatrale sia a livello televisivo. È un mio sogno e ci stiamo lavorando.”

Federico Traverso

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