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Attualità | 20 giugno 2024, 08:15

La stilista che va in controtendenza: "La vera moda? Far vestiti che durano nel tempo"

Beatrice Ferrucci da qualche anno si è stabilita a Genova con il suo progetto Le Chaperon: "I ragazzi oggi possono cambiare look ogni settimana, non sanno cosa sia un abito sartoriale. Le grandi catene di fast fashion le paragono a un supermarket ma io ho scelto di andare al mercato"

La stilista che va in controtendenza: "La vera moda? Far vestiti che durano nel tempo"

Tutto è iniziato con un cappuccio, cucito a un foulard.

Poi è diventato un tabarro, smontato della sua austerità e declinato in colori e dettagli che ne segnano il carattere; lo stesso che in estate si tramuta in un caftano, per avvolgere, impreziosire e coccolare.

Tra qualche giorno sarà un total look in cui le forme e le fantasie degli anni Sessanta e Settanta daranno vita a capi unici e borse dalle geometrie accattivanti.

Tanti elementi e coniugazioni diverse che fanno delle creazioni di Beatrice Ferrucci delle opere d’arte.

Non mi sento una stilista - racconta - non mi sento un’imprenditrice e non mi sento una commerciante. Sono semplicemente Beatrice, ho un mondo interiore e voglio esprimerlo”.

Un cammino nel mondo della moda, quello della creativa romana di stanza a Genova da due anni, iniziato una decina di anni fa e fortemente influenzato da due persone: la nonna e lo zio. “Mia nonna da parte di mio padre era una sarta mentre mio zio viveva e lavorava a Parigi ed era impiegato per Dormeuil, un’azienda che fa abiti da uomo. Viaggiava e cercava tessuti. É stato lui ha insegnarmi la sensibilità nel toccare i tessuti, nel capire quali sono i migliori per un taglio o per un capo”.

Il trasferimento dello zio a Marrakech, poi, è stato fondamentale per Beatrice: “Li c’è il mondo del colore. Sono stata a trovarlo e ho voluto produrre li la mia prima collezione, L’ispirazione è stata pazzesca e così è nato il primo capo di Le Chaperon”.

La stola, a cui è stato cucito un cappuccio, è un omaggio alla trazione italiana che, pur mantenendo la splendida ritualità di un gesto antico, si veste di nuove interpretazioni.

Il cappuccio è stato il guizzo. L’ho disegnato per il matrimonio della mia migliore amica che aveva questo straordinario tema glamour. È nata l’idea e ho iniziato a elaborarla giocando con i tagli e con i tessuti”. 

Da questa prima spinta creativa è nata poi la seconda produzione, quella legata alle mantelle: “Nel mondo arabo sono un oggetto di culto, ma nella cultura occidentale riprendono il tabarro, una mantella che si usava nel Medioevo e che era diffusissima nella moda maschile fino a qualche decennio fa”. Beatrice continua: “Ho iniziato a stravolgerlo, a renderlo moderno e ad adattarlo alle donne. Non è la solita mantella, nel mio disegno ha passamanerie e diventa molto più divertente”.

Il 27 e 28 giugno, a Roma, Beatrice presenterà la sua nuova collezione, una ‘follia’ come la chiama lei stessa: “Ho usato seta, taffetà e altre stoffe. Ogni singolo pezzo ha richiesto un lavoro di laboratorio differente rispetto al solito, un lavoro molto più sartoriale. Ho creato dei total look: borse, pantaloni, pantaloncini. I tessuti che ho impiegato sono anche irripetibili, saranno pezzi unici”.

Un lavoro dettagliato che porta i capi ad avere una vestibilità diversa e che è in contraddizione con il fast fashion che sembra dominare le produzioni contemporanee.

Oggi - aggiunge la creatrice - la boutique on line è un continuo di capi. Non esiste primavera, estate, autunno e in verno, puoi comprare sempre di tutto. Questo, oltre a portare allo sfruttamento di centinaia di persone che mangiano e dormono in azienda, ha completamente stravolto il mercato. I ragazzi oggi possono cambiare look ogni settimana, non sanno cosa sia un abito sartoriale. Le grandi catene di fast fashion le paragono a un supermarket ma io ho scelto di andare al mercato. Lì dialogo con chi vende il prodotto, capisco se e come acquistare. Lo stesso si fa con gli abiti. Quando sono in laboratorio, una cosa si fa e si disfa, c’è un tempo di lavoro, servono magari tre o quattro giorni. Il tempo oggi è lo stesso ma siamo noi che abbiamo bisogno di triplicarlo; tutto è più veloce, prima si facevano i cataloghi ora le storie durano appena ventiquattro ore poi si buttano via”.

Beatrice continua: “Visto che oggi non abbiamo bisogno di comprare e abbiamo tutto, la cosa meravigliosa sarebbe quella di cercare di comprare poco ma di qualità. Ci sono tessuti che fanno male alla pelle, che sono inquinanti, quando uno scopre cosa c’è dietro, certe cose non riesce più a comprarle”.

Per Beatrice Ferrucci la generazione di oggi avrà difficoltà a lasciare qualcosa ai nipoti mentre negli armadi di tanti, ancora oggi, vivono gli abiti delle nonne e dei nonni.

Ma perché da Roma, dove assieme ad altri artigiani aveva lavorato per realizzare una sinergia di brand e proporre creazioni sempre nuove in luoghi ricercati, Beatrice ha scelto Genova?

Tutto merito del cuore, che l’ha portata all’ombra della Lanterna e l’ha spinta a lasciare la Capitale per lasciarsi ispirare dalle coste liguri: “Qui si respira una tradizione di artigianato che è fortissima ma che si sta in qualche modo perdendo, spesso anche per colpa delle spese. Qui è nato il jeans e qui ancora qualche attenta signora sceglie di farsi cucire gli abiti ma trovare sarte e sarti competenti è un’impresa”.

A proposito del lavoro che sta mettendo in piedi e che lo scorso anno l’ha portata ad avere un temporary store alle Piscine di Albaro, Beatrice aggiunge: “Mi rendo conto che tutto quello che faccio è in antitesi con il mondo di oggi, fatto di conti economici, di volume e di efficienza che tra poco saranno delegati ai sistemi di intelligenza artificiale. Io invece ho la fortuna, e il privilegio, di poter fare le cose secondo il mio istinto e la mia passione, senza tempi predefiniti che strozzano la creatività e senza parametri finanziari che condizionano le scelte. Mi posso permettere che la meteoropatia mi detti i tempi e le scelte. Questo perché io sono fortunata”.

Creatività, spesso si sposa con il cambiare punto di vista: “Sto uscendo con i saldi, un disastro. Poi mi domando, un disastro per chi? Se mi etichetto con un mio brand, non posso essere concorrente a catene che hanno grosse distribuzioni, a maison affermate e a brand che sappiamo. Io sono un’altra realtà. La mia è affrontata da me da sola, io non posso dire altro, sono un umano Se compri da me, sai che c’è questo tipo di lavoro”.

Un percorso non certo semplice ma la meta è chiara: “Mi piace fare moda, mi diverte e mi fa esprimere ma il sogno non è quello di avere una maison, avrei paura di perdere la parte artistica”.

Allora, qual è il sogno? “Un casale in Toscana, con due sarte che lavorano con me, che creo mentre guardo gli ulivi”.

Isabella Rizzitano

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